Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14205 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/06/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 14/06/2010), n.14205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33864-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1616/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 29/11/2005 r.g.n. 1237/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI per delega ROBERTO PESSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI PIETRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 29 novembre 2005 la Corte di appello di Firenze, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra C.S. e la società Poste Italiane per il periodo 16 luglio/29 settembre 2001, con la conseguente trasformazione del rapporto di lavoro subordinato in quello a tempo indeterminato, ed ha condannato la società a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora, ritenuta con la ricezione della convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione.

La Corte di merito, accertato che l’assunzione dell’appellante era avvenuta in base a contratto stipulato per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè a fronte della necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, ha affermato l’illegittimità della clausola di apposizione del termine, in quanto l’azienda non aveva indicato nella lettera di assunzione il nominativo del dipendente da sostituire ed il periodo della sostituzione. Ha aggiunto che la prova dedotta dalla società riguardava il processo generale di ristrutturazione operato a livello nazionale e genericamente richiamato a giustificazione dell’assunzione a tempo della C. quale portalettere, senza che fosse concretamente individuato il collegamento tra clausola autorizzatoria e ricorso al contratto a termine in esame, basato contemporaneamente su distinte ragioni (di ristrutturazione e di sostituzione per ferie).

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società, con ricorso basato su due motivi, poi illustrati con memoria.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa fase del giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1, comma 2, e degli artt. 1362 e ss. cod. civ., nonchè vizio di motivazione. Censura la sentenza impugnata, perchè pur avendo ritenuto sussistenti le esigenze derivanti dalla ristrutturazione della società, correttamente ed esaurientemente individuate dalla clausola collettiva, ha poi affermato la necessità di concretizzare la previsione contrattuale in un’altra causale, diversa per ogni singolo contratto di lavoro, che avesse specificato la particolare situazione dell’ufficio di destinazione del lavoratore assunto a termine e delle mansioni in concreto assegnate: di certo, si sostiene in ricorso, le assunzioni non potevano essere decise dall’azienda una per una, come sembra aver ritenuto il giudice del merito, ma tenendo conto di macro-dati su tutto il territorio nazionale, ed approvando di volta in volta le assunzioni di numerosi lavoratori. La gestione di tali risorse lavorative doveva essere fondata soltanto sulla causale collettiva, e addebita inoltre alla Corte territoriale l’errore in cui è incorsa nel ritenere, contro il diverso consolidato orientamento giurisprudenziale, che ai fini della legittimità del termine per i contratti stipulati per far fronte alla necessità di sostituire lavoratori assenti per ferie, dovesse essere indicato il nominativo del lavoratore sostituito e il periodo della sostituzione.

Il motivo è fondato in relazione ad entrambi i profili di censura.

Riguardo alla correlazione fra esigenze aziendali che legittimano le assunzioni a tempo e singoli contratti di lavoro, questa Corte decidendo in casi analoghi (v. fra le numerose altre, le pronunce 26 settembre 2007 n. 20162, 1 ottobre 2007 n. 20608) ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva dichiarato illegittimo il termine apposto ad un contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In particolare, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, quindi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, aveva affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato.

Parimenti, poi, va accolta la censura rivolta contro la affermazione della nullità del termine in relazione all’altra causale, riguardante la “concomitanza di assenze per ferie”.

Sul punto, premesso che “l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice dello stesso” (v. Cass. 17 giugno 2008 n. 16396), con riferimento a tale causale, in particolare già Cass. 13 giugno 2005 n. 12632 ha affermato che “in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e non dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto per difetto di forma nè la conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma prevista dalla legge applicabile al rapporto “ad substantiam”, stante il principio di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento”.

Nel contempo, più in generale, come si è innanzi osservato, si è consolidato l’indirizzo secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”.

In specie, poi, questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie simile a quella in esame (anche se con riferimento alla analoga precedente previsione collettiva ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, relativa alla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, ponendosi in contrasto col principio di diritto della “delega in bianco” enunciato dalle Sezioni Unite.

Altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, sempre con riferimento alla precedente analoga previsione collettiva) hanno confermato la decisione di merito che aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Tale orientamento va confermato anche con riferimento alla nuova previsione collettiva contenuta nell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 (che, del resto, parimenti non prevede alcun obbligo di indicazione nel contratto individuale del nominativo del dipendente da sostituire).

Accolto il primo motivo, resta assorbito il secondo con il quale si denuncia vizio di motivazione e si censura la Corte territoriale per avere disatteso senza fornire alcuna spiegazione le richieste istruttorie avanzate dalla società per dimostrare l’aliunde perceptum, oggetto di specifica eccezione sollevata proprio ai fini della determinazione del risarcimento spettante alla lavoratrice.

Pertanto, ritenuto che le ragioni per le quali la apposizione del termine ai contratti in esame è stata ritenuta illegittima, sono basate su una violazione di legge che ha altresì comportato una interpretazione errata della norma collettiva de qua, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va decisa nel merito, con il rigetto delle domande introduttive proposte dalla C..

Infine, in considerazione dell’alternanza dell’esito delle precedenti fasi di merito e del consolidamento della giurisprudenza sulle questioni trattate soltanto in sede di legittimità, ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità e di quelli di merito.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da C.S. con il ricorso introduttivo del giudizio; compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

 

 

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