Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14201 del 07/06/2017

Cassazione civile, sez. VI, 07/06/2017, (ud. 04/04/2017, dep.07/06/2017),  n. 14201

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8516/2016 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

PALUMBO, 12, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE BINDA,

rappresentato e difeso dall’avvocato NOEMI ERRICO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE UVAC LAZIO, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

Io rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5648/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Ritenuto che:

– C.F., in proprio e quale legale rappresentante della Poltrans s.r.l., propose opposizione avverso plurime ordinanze-ingiunzione emesse dal Ministero della Salute, chiedendone l’annullamento;

– l’opposto resistette alla domanda;

– il Tribunale di Civitavecchia convalidò le ordinanze;

– sul gravame proposto dal C., la Corte di Appello di Roma dichiarò inammissibile il gravame per essere decorso il termine breve per impugnare;

– per la cassazione della sentenza di appello ricorre C.F., nella duplice veste, sulla base di tre motivi;

– resiste con controricorso il Ministero della Salute U.V.A.C. Lazio;

Atteso che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce la “Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per non aver la Corte di Appello ritenuto che l’istanza di revoca per errore materiale del provvedimento di convalida delle ordinanze impugnate non aveva prodotto effetti esterni sul piano del rapporto processuale e, come tale, non poteva essere considerata idonea a condizionare la decorrenza dei termini di impugnazione);

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., e art. 133 c.p.c., per apparire la decisione impugnata “illogica e contra legem” alla luce dei principi contenuti negli articoli menzionati;

– con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e la erronea applicazione degli artt. 325, 326, 327 e 434 c.p.c., per non aver la Corte di Appello considerato che la decorrenza del termine breve per impugnare è prevista solo a partire dalla notificazione del provvedimento, e non dalla conoscenza dello stesso;

Il primo motivo non appare meritevole di accoglimento, in quanto sebbene sia denunciata violazione degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c., il vizio viene poi contraddittoriamente, oltre che cumulativamente, inquadrato nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5.

Inoltre, non è dato comprendere, in assenza di ulteriori esplicitazioni, in quali termini sarebbero state violate le disposizioni menzionate, se solo si considera che l’eccezione di inammissibilità dell’appello è stata sollevata dal Ministero della Salute (cfr. pag. 1 della sentenza impugnata), che non è revocabile in dubbio che la corte territoriale abbia pronunciato secondo diritto e che non è in gioco una erronea valutazione delle risultanze istruttorie, avendo la corte di merito deciso solo una questione giuridica.

Il secondo motivo è del pari infondato atteso che la dedotta violazione dell’art. 111 Cost., e art. 133 c.p.c., peraltro accompagnata dall’apodittica affermazione secondo cui la decisione impugnata apparirebbe “illogica e contra legem”, non è in alcun modo pertinente rispetto alla fattispecie in esame, nel cui contesto non assumono alcuna rilevanza nè il principio di ragionevole durata del processo nè la pubblicazione o comunicazione della sentenza.

Appare invece al Collegio che meriti accoglimento il terzo motivo di gravame.

Costituisce orientamento spesso ribadito nella giurisprudenza quello per il quale il termine breve di impugnazione decorra, oltre che a seguito della notifica della sentenza, anche e soltanto in forza di una conoscenza “legale” del provvedimento da impugnare, e cioè di una conoscenza conseguita per effetto di un’attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che essa stessa ponga in essere, e che sia normativamente idonea a determinare ex se detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale (Sez. 1, Sentenza n. 7962 del 01/04/2009; Sez. 2, Ordinanza n. 15359 del 10/06/2008).

In tal senso, e con riferimento alle deduzioni di parte ricorrente si è ritenuto che al cospetto di una mera istanza di correzione di errore materiale, la stessa non possa essere ritenuta equipollente, sempre ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione, alla notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’art. 326 c.p.c., trattandosi di un’attività compiuta per un fine specifico, incompatibile con l’impugnazione (Sez. 2, Sentenza n. 17122 del 09/08/2011).

Con specifico riferimento al caso in esame, questa Corte già in passato, ha avuto occasione di affermare, in tema di impugnazione di un’ordinanza del giudice di pace di convalida di un verbale di contestazione della polizia stradale, ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 5, che la proposizione, da parte dell’intimato, di un’istanza di revoca dell’ordinanza e di prosecuzione del giudizio costituisce adeguata dimostrazione della legale conoscenza del provvedimento da parte del medesimo; ne deriva che da quel momento decorre per l’intimato il termine breve di impugnazione, mentre resta esclusa l’applicabilità del cosiddetto termine lungo (Sez. 2, Ordinanza n. 11446 del 18/05/2009).

Ritiene tuttavia il Collegio che debba dissentirsi da tale orientamento, e che militino in maniera non controvertibile in tal senso le importanti precisazioni compiute da questa Corte, nella sua più autorevole composizione nella recente sentenza delle Sezioni Unite n. 12084/2016.

In tal caso, sebbene riferito alla rilevanza della notifica di un primo atto di impugnazione, cui abbia fatto seguito la notifica di una seconda impugnazione, la Corte ha ribadito il prevalente orientamento affermatosi in passato, secondo cui la notifica dell’appello dimostra la conoscenza legale della sentenza da parte dell’appellante, sicchè la notifica da parte sua di un nuovo appello anteriore alla declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del primo deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data del primo appello.

Tuttavia, nella motivazione, al fine di giustificare la soluzione prescelta, e legittimare per l’ipotesi esaminata la decorrenza del termine breve, ancorchè non espressamente previsto dal codice di rito, le Sezioni Unite hanno fatto essenzialmente leva sull’impulso acceleratorio, impresso al processo con la proposizione del gravame, che costituisce appunto il fattore che giustifica la decorrenza del termine breve per impugnare in capo a chi propone l’impugnazione.

Questo atto infatti innesca una dinamica processuale che fa trascendere il processo in un’orbita impugnatoria, dalla quale non può regredire per rientrare in una fase di stasi meditativa. In tal senso, se la posizione di chi notifica la sentenza ex art. 285 c.p.c., ha una dimensione dinamica, a maggior ragione lo è quella di chi non solo conosce la sentenza (che deposita in cancelleria nel costituirsi dopo la notifica del gravame), ma la impugna.

Ebbene se questo è il discrimen che giustifica la decorrenza del termine breve per una condotta diversa dalla notificazione della sentenza, senza che possa apparire di per sè risolutiva la sola circostanza della conoscenza piena del provvedimento (che ad esempio ben può ricorrere anche nel caso di richiesta di correzione di errore materiale – che denota nella parte la perfetta consapevolezza del contenuto del provvedimento di cui segnala le inesattezze non idonee a legittimare la proposizione del gravame ma suscettibili di essere emendate dallo stesso giudice autore del provvedimento, ovvero di chi notifica la sentenza a fini esecutivi), appare al Collegio che ciò imponga a maggior ragione di dover escludere che la richiesta di revoca dell’ordinanza di convalida possa reputarsi evento idoneo a far decorrere il termine breve.

Supporta tale conclusione, oltre alle suddette considerazioni, anche la tradizionale opinione di questa Corte secondo cui, proprio in relazione all’ordinanza di convalida di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, l’istanza diretta a provocare la revoca del provvedimento da parte dello stesso giudice che lo ha emanato, dopo che lo stesso con la pronuncia si è spogliato della “potestas iudicandi”, è estranea ad ogni schema processuale e quindi non determina neanche il potere – dovere di pronunciare (così ex multis Cass. n. 272/2007; Cass. n. 12874/2006; Cass. n. 69/2007).

Una volta quindi esclusa la riconducibilità della richiesta di revoca alla logica ed al sistema delle impugnazioni, e ponendosi la richiesta stessa con evidente carattere di antiteticità rispetto all’intento della parte di voler trasferire il processo in un’orbita impugnatoria, come appunto evidenziato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, palesandosi piuttosto l’aspirazione (peraltro non conseguibile) ad una regressione del processo ad una fase ormai definita in primo grado, secondo il Collegio deve quindi escludersi che la presentazione dell’istanza de qua, sebbene connotata da una conoscenza in capo alla parte del contenuto del provvedimento, possa reputarsi idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione.

Deve pertanto essere affermato il principio secondo cui, laddove sia stata emessa ordinanza di convalida ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 5, la proposizione, da parte dell’intimato, di un’istanza di revoca dell’ordinanza e di prosecuzione del giudizio, ancorchè possa costituire dimostrazione della conoscenza del provvedimento da parte del medesimo, non è comunque idonea a far decorrere per l’intimato stesso il termine breve di impugnazione.

Il ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

 

Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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