Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14200 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. II, 27/06/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA BENACO 5, presso lo studio dell’avvocato MORABITO MARIA

CHIARA, rappresentata e difesa dall’avvocato BEBTI GIAMPIERO;

– ricorrente –

contro

D.M.G. (OMISSIS), M.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VOLSINIO

8/A, presso lo studio dell’avvocato PICCARRETA ALDO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARRERA ALESSANDRO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2707/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato PUNGI Graziano, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato BERTI Giampiero, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato PICCARRETA Aldo, difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato M.M. conveniva in giudizio la confinante V.F., per sentirla condannare alla rimozione dei manufatti da quest’ultima illegalmente realizzati, al ripristino di una servitù di passaggio, all’abbattimento di alberi posti a distanza illegale, nonchè al risarcimento dei danni.

La convenuta si costituiva negando ogni addebito.

Intervenivano volontariamente nel processo M.G. e D.M.G., genitori dell’attore e acquirenti da quest’ultimo, facendo proprie le domande attoree.

Con sentenza depositata il 19-1-2001 il Tribunale di Vigevano, in accoglimento della domanda, condannava la convenuta: a) a demolire e rimuovere il muretto sul lato sud del portico e relativa gronda, nonchè lo zoccolo in calcestruzzo posto sul retro del fabbricato, così come indicati e descritti nella relazione tecnica d’ufficio ai punti D) ed E); b) a demolire parzialmente il fabbricato descritto al punto D) della consulenza tecnica d’ufficio, sino a ripristinare la distanza legale di m. 5 dal p confine attorco; c) a rimuovere le due piante sempreverdi e il cespuglio di rose di cui alla consulenza tecnica d’ufficio.

Con sentenza depositata il 22-10-2004 la Corte di Appello di Milano rigettava l’appello proposto avverso la predetta decisione dalla convenuta.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la V., sulla base di un unico motivo.

M.G. e D.M.G. resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso la V. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo.

Deduce che la Corte di Appello, oltre ad avere male interpretato le risultanze processuali, e in particolare il certificato rilasciato dal Comune di Sannazzaro dè Burgundi in data 24-4-1998, nel quale si attestava che la V. aveva eseguito tutti “i lavori di riduzione in pristino delie opere realizzate in difformità dalla C.E. rilasciata”, ha omesso completamente di valutare il verbale di sopralluogo del 27-3-2003 redatto dall’Ufficiale Giudiziario nell’ambito della procedura di esecuzione degli obblighi di fare.

Rileva che in tale documento, prodotto dall’appellante nel giudizio di gravame, si da atto che entrambi i garages, oggetto di parziale demolizione, erano attualmente utilizzati conformememte alla destinazione d’uso di accessorio rispetto all’abitazione, essendo stati rimossi gli elementi che potevano configurare un uso diverso.

Sostiene che la Corte di Appello, non avendo preso in alcuna considerazione siffatta risultanza processuale, ha erroneamente ritenuto la non conformità della costruzione in questione alla disciplina sulle distanze, sul presupposto che la stessa avesse ancora una destinazione d’uso tale da non poter essere qualificata come accessorio dell’immobile adibito ad uso abitativo. Censura altresì la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto l’inammissibilità dei capitoli di prova dedotti a sostegno del proposto gravame.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un documento può essere denunciato in sede di legittimità, sotto il profilo della omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, solo quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultante istruttorie su cui si fonda il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. Sez. 2, 23-2-2009 n. 4369; Cass. Sez. 1, 5-4-2005 n. 7086; Cass. 9 Sez. 2, 13-2-2006 n. 3075; Cass. Sez. 2, 23-2-2009 n. 4369).

Nel caso di specie, il documento di cui la ricorrente lamenta la mancata valutazione (verbale di sopralluogo redatto in data 27-3-2003 dall’Ufficiale Giudiziario G.P. nel procedimento per l’esecuzione degli obblighi di fare, alla presenza delle parti, dei loro difensori e del C.T.U. arch. C.G.) è privo di qualsiasi connotato di decisività.

Giova premettere, per una migliore comprensione della vicenda, che nella sentenza impugnata la Corte di Appello ha dato atto che dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado è emerso, tra l’altro, che la V. ha costruito un corpo di fabbrica (costituito da due autorimesse, ripostiglio, servizio al piano terra e terrazzo a primo piano) a distanza (m. 4-4,10) inferiore a quella (m. 5) prescritta dal P.R.G.; e che tale manufatto, avente un’altezza di m. 3,60, non può rientrare nella statuizione prevista per le costruzioni accessorie, costruite sul confine e di altezza non superiore ai m. 2,80.

La Corte territoriale, disattendendo il primo motivo di gravame, ha ritenuto, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, che la documentazione invocata dall’appellante non valeva a dimostrare l’avvenuta regolarizzazione della costruzione.

Essa ha osservato, infatti, da un lato che la nota del 24- % 4-1998 del Comune di Sannazzaro dè Burgundo nulla attestava al riguardo, e dall’altro che il consulente tecnico d’ufficio arch. C., incaricato dal giudice dell’esecuzione di verificare lo stato dei luoghi, pur riscontrando che la copertura del fabbricato era stata portata ad un’altezza inferiore a m. 2,80 dal piano cortile (ad eccezione di una piccola parte terminale avente un’altezza di m.

2,85), aveva constatato che una delle autorimesse era utilizzata dall’appellante come accessorio e che il disimpegno era attrezzato come cucina. Di qui la conclusione secondo cui la costruzione continuava a non essere conforme alla disciplina delle distanze, a nulla rilevando che, nel corso del sopralluogo effettuato dal consulente tecnico d’ufficio, la V. avesse manifestato la volontà di rimuovere l’arredo residenziale, in modo che sia l’autorimessa che il disimpegno potessero essere qualificati come accessori.

Ad avviso di questa Corte, il verbale dell’Ufficiale Giudiziario del 27-3-2003, di cui la ricorrente denuncia l’omesso esame, non vale ad incrinare la decisione del giudice di appello, privandola di una valida base motivazionale.

Secondo quanto si legge nel predetto verbale, nel testo trascritto nel ricorso, il difensore della V. “chiede che l’arch.

C. che ha redatto come CTU la relazione datata 21 ottobre 2002 nel procedimento conseguente alla richiesta degli obblighi di fare, voglia dare atto in questo verbale che entrambi i garages, oggetto di parziale demolizione, siano oggi utilizzati conformemente alla destinazione d’uso di accessorio rispetto all’abitazione.

L’arch. C., al riguardo, dichiara che sono stati rimossi quegli elementi che potevano configurare un uso diverso rispetto a quello di accessorio”.

Orbene, appare evidente che le dichiarazioni asseritamente rese nell’occasione dall’arch. C. su sollecitazione del difensore della V., per il loro contenuto generico e la mancanza di una concreta descrizione della reale situazione dei luoghi, non possono ritenersi di per sè idonee a dimostrare con assoluta certezza che la costruzione in questione è stata definitivamente destinata ad uso esclusivo di accessorio della casa di abitazione della ricorrente, e che è stata eliminata ogni difformità alla disciplina prevista dallo strumento urbanistico in materia di distanze.

Non può ritenersi, pertanto, che il documento in questione, ove fosse stato preso in considerazione dal giudice di appello, avrebbe sicuramente dato luogo ad una decisione diversa. E’ chiaro, comunque, che l’eventuale regolarizzazione della costruzione, ove effettivamente avvenuta, potrà essere fatta valere dall’interessata in sede di esecuzione.

Quanto alle doglianze mosse nel ricorso in ordine all’interpretazione data dal giudice di appello ai documenti dal medesimo esaminati, si osserva che con le stesse la ricorrente, lungi dal denunziare vizi di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si limita, in buona sostanza, a sollecitare una diversa valutazione delle risultanze processuali, preclusa in questa sede.

Le ulteriori censure inerenti alla mancata ammissione della prova testimoniale sono inammissibili, non avendo la ricorrente specificato le circostanze che formavano oggetto dei capitoli di prova articolati. Secondo un principio consolidato in giurisprudenza, infatti, il ricorrente che in sede di legittimità denuncia il difetto di motivazione su una istanza di ammissione di un mezzo di prova, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (tra le tante v.

Cass. 10-2-2006 n. 2977; Cass. 12-6-2006 A n. 13556; Cass. 10-8-2007 n. 17606; Cass. 30-7-2010 n. 17915).

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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