Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14198 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 24/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 24/05/2021), n.14198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2152-2019 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA POGGIOLI

n. 2, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MAURO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CIRO MARCELLO ANANIA;

– ricorrente –

contro

ENTE DON ORIONE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE (ENDO-FAP), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PASTORE FAUSTOLO N. 7, presso lo studio

dell’avvocato GIULIA GRASSO, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANGELO CACCIATORE, e FRANCESCO IACONO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1087/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/11/2018 R.G.N. 705/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CIRO MARCELLO ANANIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’ Appello di Palermo, adita con reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, da Endo-Fap – Ente Don Orione Formazione Aggiornamento Professionale -, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, all’esito del giudizio di opposizione, aveva accolto l’impugnazione proposta da C.F. avverso il licenziamento collettivo intimato dall’ente in ragione dello stato di crisi aziendale derivato dalla riduzione dei corsi di formazione.

2. Il Tribunale aveva ritenuto fondata la censura del lavoratore relativa all’applicazione dei criteri di scelta ed aveva evidenziato che il C. nell’anno 2012/2013 era stato assegnato anche a corsi di “riparazione veicoli a motore” e, quindi, non vi era necessità di considerare esuberante la sua professionalità. Doveva, infatti, essere applicato il criterio principale stabilito dallo stesso ente, il quale si era impegnato a “salvaguardare i formatori in grado di prestare la loro opera nei corsi professionali ancora operativi”.

Il primo giudice, con motivazione espressa, aveva ritenuto infondate le ulteriori censure riguardanti: l’insussistenza dello stato di crisi, la mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali, l’omessa indicazione dei criteri di scelta, la verbalizzazione degli incontri sindacali, la comunicazione al lavoratore dell’elenco dei dipendenti inseriti nel suo profilo professionale, la violazione del termine previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5, il reperimento dopo il licenziamento di professionalità esterne, la revoca di alcuni recessi e lo spostamento del personale, l’applicazione del criterio dell’anzianità aziendale anzichè di quello dell’anzianità maturata nel settore.

3. La Corte d’appello, richiamato il principio della ragione più liquida, ha ritenuto assorbente la fondatezza del motivo di reclamo proposto avverso il capo della decisione che aveva fatto discendere l’illegittimità del licenziamento dalla sola errata applicazione dei criteri di scelta, omettendo di considerare che il C., nell’ambito del profilo professionale “formatori settore meccanico”, era preceduto da due lavoratori dello stesso profilo, in relazione al quale era previsto un esubero. Ha, quindi, accertato che, anche qualora l’ente avesse valorizzato gli insegnamenti in precedenza assegnati al reclamato, quest’ultimo sarebbe stato comunque licenziato.

4. Il giudice del reclamo, attraverso il rinvio alla giurisprudenza di questa Corte, ha evidenziato che la violazione dei criteri di scelta può essere utilmente fatta valere dal lavoratore solo nel caso in cui sia stato concretamente pregiudicato dall’illegittima applicazione dei criteri di selezione, evenienza questa non riscontrata nella fattispecie per le ragioni sopra indicate.

5. Infine, quanto agli ulteriori profili di illegittimità, ha rilevato l’inammissibilità della mera riproposizione, nella memoria difensiva, delle questioni ed ha evidenziato che il C. avrebbe dovuto proporre impugnazione incidentale della decisione che, con argomentazioni espresse, aveva escluso la sussistenza delle denunciate violazioni procedurali.

6. Per la cassazione della sentenza C.F. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi, ai quali Endo Fap ha resistito con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. – violazione L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5” ed insiste innanzitutto nel sostenere che la sua professionalità non poteva essere considerata esuberante, perchè in precedenza era stato addetto anche a corsi di “riparazione veicoli a motore”. Richiama giurisprudenza di questa Corte sulla necessità di effettuare la comparazione nel rispetto del principio di correttezza e buona fede e, quindi, anche con i lavoratori addetti ad altri reparti non interessati dalla riduzione di personale. Riporta la motivazione della sentenza di primo grado e, quanto alla decisione qui impugnata, sostiene che il giudice del reclamo non poteva, in violazione dell’art. 112 c.p.c., escludere l’interesse ad agire del lavoratore giacchè l’ente non aveva mai eccepito il difetto di legittimazione.

2. La seconda censura addebita alla Corte territoriale la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 perchè, una volta accertata la violazione dei criteri di scelta, il giudice del reclamo non poteva ritenere legittimo il licenziamento e rifiutare le tutele previste dal legislatore. Precisa che il principio di diritto affermato da questa Corte si riferisce a fattispecie verificatesi in epoca antecedente le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012 e, pertanto, non è più attuale.

3. Infine con il terzo motivo il ricorrente censura il capo della sentenza relativo al regolamento delle spese di lite e sostiene, in via principale, che lo stesso dovrà essere rivisto in ragione della fondatezza del ricorso, in subordine che le spese dovevano essere compensate dalla Corte d’appello in ragione della soccombenza reciproca, atteso che era stata rigettata la censura basata sulla natura di organizzazione di tendenza dell’ente.

4. E’ fondata l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso, sollevata dalla difesa del controricorrente.

Quanto alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., la censura è formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, perchè il ricorrente non riporta nel ricorso, quanto meno nelle parti essenziali, il reclamo a suo tempo proposto dall’Endo – Fap e ciò impedisce alla Corte, a prescindere da ogni altro rilievo, di valutare ex actis se la critica mossa alla sentenza impugnata tenga conto dell’effettivo contenuto dell’atto processuale.

Il requisito imposto dal richiamato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto ai quali la Corte è giudice del “fatto processuale”, perchè l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012). La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019).

4.2. Per il resto il motivo, oltre a svolgere considerazioni non riferibili al decisum, sovrappone e confonde questioni che attengono alla ricostruzione dei fatti oggetto di causa e profili giuridici, sicchè finisce per assegnare inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 26790/2018).

Va ricordato, infatti, che l’orientamento secondo cui un singolo motivo può essere articolato in più profili di doglianza, senza che se ne debba affermare l’inammissibilità (Cass. S.U. n. 9100/2015), trova applicazione solo nel caso, che qui non ricorre, di formulazione che permetta di cogliere con chiarezza quali censure siano riconducibili alla violazione di legge e quali, invece, all’accertamento dei fatti, contestato, tra l’altro, nella fattispecie senza il rispetto dei limiti fissati dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053/2014.

5. Il secondo motivo è infondato perchè correttamente il giudice del reclamo ha deciso la controversia sulla base del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui, in caso di violazione dei criteri di scelta, l’annullamento non può essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati, bensì solo da chi non sarebbe stato ricompreso nella platea dei destinatari dell’atto espulsivo ove la violazione non fosse stata realizzata. Ciò perchè l’azione di annullamento, a differenza di quella di nullità, presuppone un interesse qualificato e richiede che il vizio abbia avuto incidenza determinante nell’adozione dell’atto contestato (Cass. n. 13871/2019; Cass. n. 13803/2017; Cass. n. 24558/2016).

Il richiamato orientamento, condiviso dal Collegio e qui ribadito, non ha perso attualità a seguito della riformulazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, perchè il legislatore, che in precedenza aveva espressamente qualificato annullabile il licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta, nell’adeguare le tutele al nuovo regime stabilito dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, ha rinviato per la violazione dei criteri di scelta al comma 4 del testo modificato, non al comma 1, confermando in tal modo la precedente qualificazione del vizio ed escludendo che lo stesso possa essere ritenuto causa di nullità del recesso (cfr. Cass. n. 4409/2021, pronunciata in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa).

6. Il terzo motivo è inammissibile.

La Corte territoriale non ha respinto il motivo di reclamo fondato sulla natura dell’ente, bensì ha ritenuto di doverlo assorbire sulla base del principio della ragione più liquida. La censura, con la quale si sostiene che ai fini del regolamento delle spese, doveva essere valutata la “soccombenza reciproca” è quindi priva della necessaria specifica attinenza al decisum.

Si deve aggiungere che in tema di spese processuali il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui dallo stesso esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri motivi (Cass. n. 24502/2017 e la giurisprudenza ivi richiamata).

7. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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