Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14198 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 07/06/2017, (ud. 10/03/2017, dep.07/06/2017),  n. 14198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9469/2016 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

189, presso lo studio dell’avvocato EMILIO CAPOANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato EMILIO CUCURNIA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA AUTONOMA TRENTO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

VIMINALE 43, presso lo studio dell’avvocato FABIO LORENZONI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 09/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.S. propose opposizione avverso un’ordinanza-ingiunzione emessa nei suoi confronti dalla Provincia Autonoma di Trento per aver omesso la denuncia scritta di abbattimento di un camoscio, chiedendone la revoca. Il Tribunale di Trento accolse l’opposizione. Il gravame proposto dalla Provincia Autonoma di Trento fu accolto dalla Corte di Appello di Trento con la sentenza n. 193/2015 del 9 settembre 2015, che rigettò l’originaria opposizione. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre C.S. sulla base di due motivi; resiste con controricorso la Provincia Autonoma di Trento.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’errata interpretazione dell’art. 394 c.p.c., ovvero dell’art. 434 c.p.c., per non aver la Corte di Appello rilevato che l’appello proposto dalla Provincia non conteneva alcuna censura relativa alle norme di legge asseritamente violate dal giudice di primo grado, essendosi limitato a riproporre le argomentazioni già sviluppate dinanzi al Tribunale) è inammissibile. Tale censura, oltre ad invocare in rubrica a parametro di legittimità della decisione impugnata una norma che non è applicabile nel caso in esame (quale l’art. 394 c.p.c.), non osserva il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non reca specifica indicazione del contenuto dell’avverso atto d’appello, in tal modo precludendo a questa Corte la possibilità di valutare la decisività della doglianza, vieppiù se si considera che la Corte di Trento ha statuito circa la sufficiente specificità dei motivi di appello e riferito che la Provincia aveva sviluppato le censure in due distinti capitoli (cfr. pag. 5 della sentenza).

In ogni caso, il primo motivo di ricorso è privo dei necessari requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della stessa, la quale si sostanzia non nell’aver addebitato al C. di non aver eseguito personalmente la consegna del capo abbattuto, bensì nell’aver omesso di controllare che il capo abbattuto fosse effettivamente arrivato a destinazione, che risultasse dopo il trasporto integro (salvo privazione eventuale dei soli organi interni) e che non fosse stato sottoposto a congelamento (cfr. pag. 10 della sentenza).

Il secondo motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non aver la Corte di Appello rilevato che mai la Provincia gli aveva contestato, anche in corso di causa, alcunchè in merito alla violazione dell’art. 9.6 delle prescrizioni tecniche 2012/2013 per l’esercizio della caccia e per avergli, con motivazione errata, addebitato l’abbattimento in data 5.12.2012 di due capi di camoscio, nonostante la totale assenza di prova sul punto) è, in parte, inammissibile e, in parte, manifestamente infondato. In ordine al secondo rilievo, il ricorrente non coglie la ratio decidendi della pronuncia, la quale si sostanzia non nell’aver abbattuto due camosci, ma, una volta consegnato al macello un camoscio difforme (per età e per tipologia di ferita mortale riportato), cui inevitabilmente (se si prescinde dalla deposizione del teste F.G.) doveva ritenersi riferita la denuncia scritta di abbattimento, nel non aver presentato quest’ultima con riferimento al camoscio effettivamente da lui abbattuto (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). In merito alla prima doglianza, per quanto l’accoglimento dell’appello si fondi sull’analisi di due elementi (cfr. pag. 8), il secondo dei quali si riferisce alla violazione dell’art. 9.6 delle prescrizioni tecniche per l’esercizio della caccia in provincia di Trento, la ragione su cui si fondava la sentenza di primo grado (l’aver condiviso la tesi difensiva del C., siccome confermata dalle affermazioni del teste F., secondo cui quest’ultimo, nel portare al macello il camoscio abbattuto dal primo, l’avrebbe sostituito con altro da lui abbattuto in una riserva austriaca) è stata depotenziata nell’analizzare il primo elemento (rappresentato dalla inattendibilità del F. e dalla inverosimiglianza della sua deposizione). Tale valutazione di inattendibilità del teste non è stata oggetto di censura in questa sede, e perciò essa è di per sè in grado di sostenere autonomamente l’impianto motivazionale, non avendo più alcun supporto probatorio la giustificazione addotta dal C. secondo cui sarebbe stato il F., a sua insaputa, a sostituire il camoscio di tre anni con quello di sei anni. Si giustifica così la contestazione di aver omesso la denuncia di abbattimento del camoscio di tre anni.

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Relazione predisposta dall’assistente di studio Dott. P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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