Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14197 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 24/05/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 24/05/2021), n.14197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19645-2016 proposto da:

N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

n. 56, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA ABBONDANZIERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PATRIZIO CITTADINI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI FROSINONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TENUTA DI SANT’AGATA n. 13, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO VENTURINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALESSANDRO D’AMBROSIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4504/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/08/2015 R.G.N. 7009/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI, che ha concluso per inammissibilità, in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato PATRIZIO CITTADINI;

udito l’Avvocato ALESSANDRO D’AMBROSIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’ Appello di Roma, adita dall’Azienda Unità Sanitaria Locale di Frosinone, ha riformato la sentenza del Tribunale che aveva accolto il ricorso di N.G., dirigente medico di primo livello, ed aveva condannato la Ausl a corrispondere la complessiva somma di Euro 8.747,89, a titolo di differenze di retribuzione di posizione fissa e variabile.

2. La Corte territoriale, per quel che ancora rileva in questa sede, ha premesso che il dirigente medico aveva agito in giudizio ponendo a fondamento della domanda, oltre alla disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, la Delib. 7 agosto 1998, n. 1822 con la quale l’Azienda aveva graduato le posizioni dirigenziali, individuando il relativo trattamento accessorio. Nel ricorso, peraltro, non erano state fornite indicazioni in ordine all’incarico ricoperto, alla sua natura ed alla durata e pertanto la domanda, per ciò solo, doveva essere disattesa in quanto il dirigente medico con oltre cinque anni di attività non ha alcun diritto soggettivo al conferimento di uno degli incarichi previsti dall’art. 27 del CCNL. Il consulente tecnico d’ufficio aveva quantificato le somme dando atto della carenza delle allegazioni contenute nell’atto introduttivo ed aveva riconosciuto all’originario ricorrente l’importo della retribuzione di posizione variabile prevista dalle delibere aziendali per l’incarico di minor peso che, però, il N. non aveva dimostrato di avere espletato.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.G. sulla base di due motivi, ai quali la AUSL di Frosinone ha resistito con controricorso.

7. Con nota del 17 luglio 2019 la controricorrente ha depositato verbale di conciliazione sottoscritto il 7 febbraio 2017, all’esito di accordi raggiunti in sede sindacale in date 24 novembre e 1 dicembre 2016.

8. La causa, fissata per l’udienza pubblica del 10 dicembre 2019, è stata rinviata a nuovo ruolo su richiesta delle parti, per valutare l’incidenza, rispetto alla controversia, del verbale di conciliazione sopra indicato.

9. Nel corso della discussione orale le parti non hanno rassegnato sul punto conclusioni conformi ed il difensore della ASL ha ribadito le richieste formulate nel controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente rileva il Collegio che non può essere dichiarata l’intervenuta cessazione della materia del contendere in quanto la stessa presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conformi conclusioni in tal senso (Cass. S.U. n. 8980/2018; Cass. n. 11813/2016; Cass. n. 16866/2015).

La Asl di Frosinone, che inizialmente aveva ritenuto la controversia definita dal verbale di conciliazione del 7 febbraio 2017 ed aveva prodotto copia dell’atto, ha precisato nel corso della discussione orale che l’accordo era stato raggiunto in relazione ad altro giudizio pendente fra le stesse parti ed ha, pertanto, insistito per la decisione del ricorso.

In effetti il verbale di conciliazione sopra indicato, pur riferendosi al contestato ammontare della retribuzione di posizione del quale anche qui si discute, non copre tutte le annualità che vengono in rilievo in questa sede, con la conseguenza che si è in presenza di un fatto sopravvenuto non idoneo ad eliminare ogni ragione di contrasto fra le parti.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, violazione da parte della Azienda Asl di Frosinone dell’art. 88 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 1, nonchè degli artt. 1175 e 1176 c.c. in merito ai comportamenti secondo correttezza e diligenza nell’adempimento delle obbligazioni”. Sostiene di avere ricevuto fin dall’anno 1997 l’incarico di attività ambulatoriale di chirurgia vascolare e diagnostica angiologica (presso il P.O. di (OMISSIS) e, successivamente, di (OMISSIS)) come dimostrato dalla certificazione della medesima AUSL n. 4474/1997. Detto incarico non era stato formalizzato dalla AUSL ma era stato svolto e retribuito, seppure in misura inadeguata, contravvenendo alla Delib. n. 1822 del 1998, che fissava l’importo minimo dovuto. La stessa azienda con Delib. n. 183 del 2008 aveva rideterminato la retribuzione di posizione sia per la parte fissa che per la parte variabile, attribuendola a tutti i dirigenti medici con anzianità superiore a cinque anni di servizio. Nello stesso senso era la nota della direzione sanitaria del 12.9.2008, con la quale era stato determinato il valore del punto pari a 52 per quantificare la parte variabile, a prescindere dagli incarichi ricevuti, relativa al periodo 1998/dicembre 2008.

3. Con la seconda censura il ricorrente si duole della violazione degli artt. 13, 27, 28, art. 35, n. 1, lett. B del CCNL 8 giugno 2000 per la dirigenza medica del Servizio Sanitario Nazionale.

Addebita alla Corte territoriale l’erronea lettura della normativa contrattuale, nella parte in cui ha ritenuto che il dirigente medico con oltre cinque anni di attività non avesse diritto a ricevere un ulteriore incarico, ed assume che, anche alla luce del regolamento aziendale, sussisteva un obbligo della ASL di attribuire gli incarichi di natura professionale.

Ribadisce di avere svolto ininterrottamente l’incarico, attribuito di fatto, dal 1997 al 2010 e richiama ancora gli atti deliberativi indicati nel punto che precede per sostenere che la retribuzione di posizione parte variabile doveva essere quantificata e corrisposta sulla base della graduazione effettuata dall’azienda la quale aveva stabilito di attribuire il valore 22 ai dirigenti con servizio inferiore a 5 anni e il valore 52 ai dirigenti con maggiore anzianità.

4. Il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni perchè, sotto l’apparente deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla violazione del CCNL per la dirigenza medica del S.S.N., contesta la valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla Corte territoriale quanto all’interpretazione ed all’incidenza della Delib. n. 1822 del 1998 e ciò fa senza assolvere agli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Nel giudizio di cassazione, a critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di completezza e di specificità imposti dall’art. 366 c.p.c. perseguono la finalità di consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto, mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo.

Occorre poi che la parte assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 n. 4 c.p.c., perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (Cass. n. 19048/2016).

I richiamati principi sono stati ribaditi dalle Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che “in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. S.U. n. 34469/2019).

4.1. Parimenti consolidato è l’orientamento secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è, dunque, segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di ausa (cfr. fra le più recenti Cass. n. 26033/2020; Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 640/2019; Cass. n. 24155/2017).

Nel caso di specie la censura formulata quanto all’interpretazione dell’art. 27 del CCNL 8.6.2000 non è sufficiente a contrastare il decisum della sentenza impugnata perchè, come evidenziato nello storico di lite, la Corte territoriale non si è limitata ad escludere l’automaticità del conferimento di un incarico al dirigente medico con anzianità di servizio superiore a cinque anni, ma ha anche posto l’accento sulla necessità che la retribuzione di posizione sia commisurata all’incarico affidato, non provato dall’originario ricorrente, e quest’ultimo profilo è censurato con argomenti che attengono al giudizio di fatto, riservato al giudice del merito.

5. Le spese del giudizio di cassazione possono essere interamente compensate fra le parti in ragione dei fatti sopravvenuti che hanno inciso, sia pure solo parzialmente, sulla materia controversa ed in considerazione del comportamento processuale tutt’altro che lineare tenuto dalla ASL di Frosinone la quale, dopo avere depositato il verbale di conciliazione prospettando in tal modo l’intervenuta cessazione della materia del contendere, ha concluso in maniera difforme anche rispetto alle richieste formulate in altri giudizi, definiti all’udienza del 10 dicembre 2019, nei quali venivano in rilievo transazioni di eguale contenuto.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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