Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14196 del 14/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 14/06/2010), n.14196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33696-2006 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA

GRAZIOLI 20, presso lo studio dell’avvocato ROMANO GIORGIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GAROFALO LUCIANO, giusta mandato

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, DE ROSE EMANITELE, giusta mandato in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 871/2005 del TRIBUNALE di TRANI, depositata il

18/01/2006 r.g.n. 2479/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato GAROFALO LUCIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 28 dicembre 1999, l’INPS proponeva appello avverso la sentenza n. 2146/99, pronunciata dal Giudice del lavoro del Tribunale di Trani in data 20/10 – 22/10/99, con cui era stata accolta la domanda proposta da P.P., diretta ad ottenere l’accertamento del diritto al trattamento di integrazione salariale straordinaria per il periodo 1/5/94 – 30/9/95, a suo dire illegittimamente negatagli con il provvedimento del 27/10/96, con cui era stata dichiarata la sua decadenza da tale integrazione..

Esponeva l’appellante che l’appellato P. era stato dichiarato decaduto dal beneficio della CIGS in quanto dall’anagrafe tributaria era risultato che egli aveva dichiarato di aver percepito nel 1994 e nel 1995 redditi di lavoro e di partecipazione e che tuttavia egli non aveva adempiuto all’obbligo di comunicare lo svolgimento di attività lavorativa nel periodo di integrazione salariale, cosi violando il D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, comma 5 convertito nella L. 20 maggio 1988, n. 160 e che in conseguenza era stato dichiarato decaduto dal beneficio. Tanto premesso, in fatto, sosteneva quindi l’appellante che il Giudice di primo grado aveva errato ammettendo la prova testimoniale diretta a contrastare le risultanze dell’anagrafe tributaria e in diritto, aveva illegittimamente superato la decadenza conseguente all’omessa preventiva comunicazione sul presupposto della mancata percezione di remunerazione.

Chiedeva, dunque, l’Istituto che in riforma dell’impugnata sentenza fosse rigettala la domanda proposta in primo grado e condannato il P. alla rifusione delle spese, sussistendo i presupposti della temerarietà della lite.

Si costituiva l’appellato contestando la fondatezza delle avverse pretese e chiedendone il rigetto con ogni statuizione conseguente; in particolare, il P. sosteneva che il reddito da impresa, attribuitogli, non era classificabile come reddito da lavoro autonomo e che la decadenza era sanzione eccessiva in considerazione dell’eseguita del reddito percepito.

Con sentenza del 6 ottobre 2005-18 gennaio 2006, il Giudice di Appello in accoglimento dell’impugnazione, rigettava la domanda proposta dal P..

A sostegno del decisum osservava che era risultato che quest’ultimo aveva svolto nel periodo in oggetto attività produttiva di reddito, di per sè incompatibile col trattamento di CIGS e che in ogni caso avrebbe dovuto comunicare alla sede provinciale dell’Istituto l’espletamento di tale attività, ai sensi del D.L. n. 86 del 1988, art. 8, comma 5 convertito in L. n. 160 del 1988.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre P.P. con due motivi. ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con due mezzi di impugnazione il P. denuncia: 1) violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, commi 4 e 5, convertito in L. 20 maggio 1988, n. 160 nonchè, per quanto di ragione, in relazione al D.Lgt. 19 novembre 1945, n. 788, artt. 1 e 3), ed, ancora, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2009 c.c. e 324 c.p.c. nonchè omessa insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2082 ss., 2094 ss. e 2229 ss. c.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Il particolare, il ricorrente afferma con il primo motivo che l’INPS non avrebbe contestato, con il ricorso in appello, gli accertamenti di fatto svolti nel corso del giudizio di primo grado risultanti dalle prove testimoniali, limitandosi ad affermare la prevalenza su quelle delle prove documentali prodotte dall’Istituto (risultanze dell’anagrafe tributaria), e che pertanto la mancala contestazione di tali circostanze avrebbe determinato “il formarsi di un giudicato interno sulle medesime circostanze ed esterno sul relativo ancorchè implicito capo della sentenza …”.

Afferma ancora il ricorrente, con il secondo motivo, che il Giudice di secondo grado gli avrebbe erroneamente disconosciuto il diritto ad ottenere la percezione dell’integrazione salariale per il periodo dal 1.5.1994 al 30.09.1995, poichè il reddito percepito dallo stesso nel suddetto periodo era unicamente un reddito derivante dalla partecipazione alla Linea Sport di D’Amato Paola & C. s.n.c., e non un reddito derivante dallo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo, con conseguente illegittimità della affermata decadenza dal diritto al trattamento in oggetto.

Le argomentazioni addotte a sostegno di tali censure non sono condivisibili.

Il quadro normativo applicabile alla fattispecie concreta risulta dai del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, commi 4 e 5 convertito in L. 20 maggio 1988, n. 160 – Norme in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di mercato del lavoro, nonchè per il potenziamento del sistema informatico del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.

Il comma 4 dispone: Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate.

Ai sensi del successivo comma 5: il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede provinciale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dello svolgimento della predetta attività.

Va quindi, osservato che il comma 4 non prevede una sanzione di decadenza, bensì stabilisce l’incompatibilità tra attività lavorativa retribuita (il cui svolgimento deve essere dal lavoratore preventivamente comunicato all’INPS) e fruizione del trattamento di integrazione salariale, disponendo conseguentemente la sospensione del trattamento per le giornate di lavoro effettuate. E il comma 5, invece, che contempla una specifica sanzione, comminando al lavoratore, che non adempia all’obbligo di comunicazione preventiva, la decadenza dal diritto all’integrazione salariale.

Orbene, occorre per un verso considerare che la natura della sanzione e del fatto sanzionato escludono la possibilità di graduazione secondo un criterio di proporzione, il quale non potrebbe essere attuate se non limitando, contraddittoriamente, la decadenza alle giornate effettuate, cioè sopprimendo in realtà la sanzione ed equiparando i cassaintegrati che svolgono un lavoro retribuito senza informarne l’INPS e quelli che correttamente assolvono l’obbligo di comunicazione.

Per altro verso come questa Corte ha rimarcato in analoghe occasioni (Cass. n. 5019/2004, 3690/2001. 6338/1999) – la decadenza dal diritto alle integrazioni salariali risulta comminata per l’omissione, da parte dei lavoratori beneficiari del trattamento, della comunicazione preventiva – rispetto allo svolgimento – di qualsiasi attività lavorativa, in funzione dello scopo (ratio) di consentire all’INPS la verifica circa la compatibilità dell’attività – da svolgere – con il perdurare del rapporto di lavoro, presupposto delle stesse integrazioni salariali. Ne discende che, pur nella configurazione del carattere di reddito da impresa per effetto dell’attività prestata, non sia possibile escludere nella fattispecie, l’applicabilità della L. n. 160 del 1988, citato art. 8, commi 4 e 5 la cui ratio consente – come sopra cennato – di ritenere l’incompatibilità del trattamento di integrazione guadagni con qualunque attività di lavoro autonomo (oltre che subordinato), ancorchè non rientrante nello schema “contrattuale” di cui agli artt. 2222 e ss. e 2230 e ss. c.c.; ed anzi, proprio il riferimento operato dal suddetto comma 4 all'”attività” lavorativa piuttosto che al “contratto” di lavoro, avalla tale interpretazione (cfr. Cass. 26 febbraio 2001 n. 2788).

Alla luce dei principi di diritto enunciati, la sentenza impugnata – che ha dichiarato la decadenza dell’attuale ricorrente, dal diritto alle integrazioni salariali pretese (ai sensi D.L. n. 86, convertito nella L. n. 160 del 1988, art. 8, e art. 2697 c.c. cit.), in dipendenza della omissione di qualsiasi comunicazione all’INPS circa l’attività lavorativa svolta non merita, quindi, le censure – che le vengono mosse con il ricorso – in quanto le censure stesse non investono, appunto, nè lo svolgimento dell’attività, come sopra rappresentata, nè l’omissione di qualsiasi comunicazione all’INPS, che sono, da sole, idonee a sorreggere la decisione adottata.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese de presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ne testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11 nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2010

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