Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14196 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017, (ud. 02/03/2017, dep.07/06/2017),  n. 14196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24628-2015 proposto da:

MANPOWER S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso

lo studio degli avvocati FRANCESCO GIAMMARIA, TIZIANA SERRANI che la

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FABIO MASSIMO 45, presso lo studio degli avvocati GIOVANNI

PELLETTIERI, ROSA TRONCELLITI che lo rappresentano e difendono,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

e sul ricorso 24835-2015 proposto da:

B.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FABIO MASSIMO 45, presso lo studio degli avvocati GIOVANNI

PELLETTIERI, ROSA TRONCELLITI che lo rappresentano e difendono,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MANPOWER S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso

lo studio degli avvocati FRANCESCO GIAMMARIA, TIZIANA SERRANI che la

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2907/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/04/2015 R.G.N. 9615/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato TIZIANA SERRANI;

udito l’Avvocato ROSA TRONCELLITI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza in data 13 aprile 2015, in parziale accoglimento del ricorso da parte della Società Manpower s.r.l. contro B.M. e in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 7/6/2012, ha confermato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti del dipendente, condannando la società a risarcirgli il danno, quantificato detraendo dalle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla data di esercizio dell’opzione, l’aliunde perceptum tenuto fermo il limite minimo inderogabile di cinque mensilità.

Il licenziamento era stato intimato al B., Coordinatore di Area a tempo indeterminato, per vicende collegate agli esiti di una procedura di selezione del personale, curata su incarico della Me.Tro. (Metropolitana di Roma), annullata a causa di varie violazioni nell’applicazione dei criteri di formazione delle graduatorie, occorse allo scopo di favorire l’utile collocazione di soggetti segnalati dall’esterno.

A conferma della sentenza del giudice di prime cure, la Corte d’Appello ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare, con ogni conseguenza di legge, riscontrando l’assenza di qualsiasi condotta intenzionalmente censurabile da parte del B., all’epoca dei fatti in ferie autorizzate, ed evidenziando, altresì, come dal complesso delle risultanze istruttorie fosse emersa la sua indiscussa buona fede.

La Corte d’Appello ha poi riformato la decisione di prime cure, nella parte in cui quest’ultima aveva rigettato l’eccezione in merito all’aliunde perceptum, basandosi sul mancato assolvimento da parte della società dell’onere di provarne la sussistenza.

Avverso la sentenza interpongono ricorso sia la Manpower s.r.l. con due motivi, cui resiste con controricorso il B., sia lo stesso B.M., con tre motivi, cui resiste la Manpower con controricorso.

Trattandosi di ricorsi contro la stessa sentenza se ne dispone la riunione. Entrambe le parti presentano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Iniziando dal ricorso di Manpower s.r.l., la Società affida le sue ragioni ai seguenti tre motivi:

1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3 nonchè dell’art. 2106 c.c., e dei c.c.n.l., nell’avere la sentenza gravata ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento in ragione dell’assenza di qualsivoglia prova circa la natura dolosa del comportamento del dipendente.

Il motivo è inammissibile, perchè incompleto per quanto riguarda il riferimento alle norme collettive violate, che parte ricorrente omette di riportare. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione di norme dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto e accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione del contratto collettivo di livello nazionale. (Sez. Un. n. 20075/2010; Cass. Sez. lav. n. 4350/2015). Ove pure la Corte rilevasse la presenza dei contratti o accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati questi depositati ritualmente (Cass. Sez. lav. n.11614/2010).

Il primo motivo è, altresì, generico, per quanto riguarda l’indicazione delle parti della sentenza gravata che incorrerebbero nel vizio denunciato, il che si traduce nella sostanziale richiesta a questa Corte di un nuovo giudizio sul fatto, inammissibile in sede di legittimità. L’indagine sui fatti racchiusi nella contestazione disciplinare posta a base del licenziamento oggetto di causa, e il giudizio sul “…se essi abbiano rappresentato o meno la manifestazione di un inadempimento sanzionato dalle norme asseritamente violate”, per consolidato orientamento non può essere demandata al giudice di legittimità, in quanto “…una tale richiesta di tipo esplorativo finisce per investire questa Corte di una indagine di merito che non è consentita nel presente giudizio” (Così Cass. 5/11/2015, n.22611).

2) Omesso esame del fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, concernente l’accertamento dell’esistenza di un connotato di colpa grave nel comportamento del dipendente.

Il motivo è egualmente inammissibile, in quanto rivolto a indurre codesta Corte al riesame dei fatti posti a base della decisione gravata che hanno indotto il giudice d’Appello ad escludere la colpa grave del B. nella contestata vicenda. Non indica, infatti, parte ricorrente quale sia il fatto controverso e decisivo per il giudizio, per cui vi è stata omessa o insufficiente considerazione da parte del Giudice di merito, ma prospetta nella sede di legittimità la mera possibilità di un migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti nel proprio interesse.

Nessun vizio logico è dato, al contrario, riscontrare, nel percorso formativo del convincimento della Corte territoriale e nell’iter argomentativo, rispetto al quale, la richiesta rivolta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto non è ammissibile, data la peculiare natura e finalità del giudizio di Cassazione.

Quanto alla specifica censura circa l’omessa valutazione dell’elemento intenzionale tipico della colpa grave, va rilevato come tale doglianza appare ulteriormente indebolita per essere stata proposta in entrambi i motivi di ricorso, il che dovrebbe far ritenere che una stessa parte della sentenza impugnata possa essere inficiata da due distinti vizi neanche attribuibili a profili diversi della statuizione.

Venendo a trattare il ricorso di B.M., questa Corte statuisce quanto segue:

1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 327, 434, 436, 416 e 342 c.p.c., là dove la Corte d’Appello avrebbe ritenuto impugnato il capo della sentenza del Tribunale che statuiva come l’eccezione relativa all’aliunde perceptum non avesse trovato riscontro nel giudizio di prime cure.

La censura è infondata.

La Corte d’Appello, nel confermare la sentenza del Tribunale riguardo all’illegittimità del licenziamento, l’ha parzialmente riformata ritenendo che dal risarcimento del danno dovuto al B. dovesse essere detratto quanto da lui percepito dalla data del licenziamento fino alla data di esercizio dell’opzione relativa all’indennità sostitutiva. Dal contenuto della decisione sul punto, si evince che la Corte territoriale ha formulato il suo giudizio sulla base delle ragioni dedotte e rappresentate dall’istante, senza peraltro arrestarsi al tenore meramente letterale degli atti che le contengono, ma avuto riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere. L’ipotetica censura di una scelta siffatta da parte del giudice d’Appello, sotto il dedotto profilo, costituirebbe un giudizio sul fatto, precluso in sede di legittimità.

All’esito auspicato il ricorrente avrebbe potuto – eventualmente – pervenire deducendo l’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, vizio che, tuttavia, non risulta invocato.

2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., là dove il Giudice d’Appello avrebbe mancato di censurare la violazione dell’onere della prova sull’aliunde perceptum, cui la Società era tenuta, esercitando poteri d’ufficio nell’acquisizione dei mezzi probatori.

Il motivo è infondato.

La ricorrente sostiene che la Corte territoriale abbia errato nel sostituirsi alla parte nell’acquisire le prove istruttorie relative all’aliunde perceptum emanando un’ordinanza con la quale chiedeva alla Società di produrre i documenti attestanti l’effettivo reimpiego del lavoratore dal 2009 al 2012 fino alla data di esercizio dell’opzione, nonchè di individuare esattamente i compensi dal medesimo percepiti in tale lasso di tempo.

La decisione gravata, motiva sul punto statuendo che l’eccezione era stata svolta in modo specifico, ed era supportata da istanze istruttorie altrettanto specifiche sulle quali il giudice di prime cure aveva ingiustamente omesso di provvedere, fino a disattendere la regola riguardante la detrazione di quanto percepito dal lavoratore per altri redditi.

Anche riguardo alla censura da ultimo esaminata, pertanto, questa Corte non ravvisa vizi nell’iter logico – argomentativo della decisione gravata. Lungi dal disconoscere l’onere del datore di provare l’aliunde perceptum, la Corte territoriale ha esercitato poteri d’ufficio, statuendo su un’eccezione che la società aveva proposto fin dall’inizio, la cui consistenza probatoria è andata arricchendosi nel corso dell’istruttoria, sostenuta da allegazioni mai contestate dal ricorrente e per mezzo delle specifiche richieste resesi necessarie per lo svolgersi dei fatti di causa, così come verificati e qualificati nel giudizio di merito.

Questa Corte ritiene, pertanto, di confermare il proprio consolidato orientamento secondo cui, l’eccezione riguardante l’aliunde perceptum, è rilevabile anche d’ufficio dal giudice quando le circostanze di fatto risultino ritualmente acquisite al processo, anche se per iniziativa del lavoratore (Cass. Sez.Lav. n. 18093/2013).

3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., nonchè degli artt. 1241 c.c. e ss. con riferimento sempre all’art. 2697 c.c., sul punto della sentenza che indica la compensazione tra quanto ricevuto in primo grado dal lavoratore e quanto lo stesso deve restituire in esito al giudizio d’Appello, censurato per genericità quanto alle ragioni e al criterio di calcolo della detrazione.

Il motivo è infondato. La pronuncia gravata appare precisa e circostanziata in ordine sia alla modalità, sia alla misura delle detrazioni da applicare al risarcimento del danno liquidato al B. per gli anni in cui egli risulta essere stato occupato dalla data del licenziamento alla data dell’esercizio del diritto di opzione, contenuta, comunque, entro il limite minimo inderogabile delle cinque mensilità.

Sulla base delle suesposte considerazioni entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

PQM

 

Riunisce i ricorsi RG24628 e 24835/2015 e li rigetta. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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