Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14195 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 24/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19210-2018 preposto da:

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROSAZZA n.

32, presso lo studio dell’avvocato UGO DE LUCA, rappresentato e

difeso dagli avvocati SANDRO MATINO, BARBARA TAURINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 18/04/2018 R.G.N. 1175/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Dott. ROBERTO MUCCI

visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Lecce ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto dal Ministero del Lavoro, nelle forme di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, avverso la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale era stata accolta l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dal Ministero del Lavoro nei confronti del proprio dipendente M.R..

La Corte territoriale riteneva che la comunicazione della sentenza di primo grado effettuata in cancelleria al funzionario incaricato della difesa in quella sede del Ministero fosse regolare e giustificasse quindi il decorso del termine per il reclamo, in quanto non poteva operare la norma del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, conv. con mod. in L. n. 221 del 2012, mancando, nel c.d. Reginde, l’indirizzo Pec del medesimo funzionario e risultando errato l’indirizzo Pec di altro funzionario parimenti incaricato della difesa. Riteneva altresì la Corte che non fosse fondato l’assunto del Ministero secondo cui la notificazione avrebbe dovuto essere eseguita presso l’indirizzo Pec dell’Amministrazione, indicato nel processo di primo grado.

Da altro punto di vista la Corte di merito riteneva che la conoscenza derivata alla P.A. dalla successiva e documentata estrazione di copia conforme della sentenza da impugnare, consentisse di far decorrere i termini per l’impugnazione i quali, anche prendendo come dies a quo quella data, erano stati comunque superati.

2. Il Ministero del Lavoro ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti da controricorso del M..

3. La causa, dapprima avviata alla trattazione presso la sezione di cui all’art. 376 c.p.c., comma 1, veniva da tale sezione trasmessa alla sezione ordinaria, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., u.c., ritenendone il valore nomofilattico sotto il profilo processuale.

In esito all’entrata in vigore del D.L. n. 137 del 2020, art. 8, comma 23-bis conv. con mod. in L. n. 176 del 2020, nonostante fosse stata già fissata pubblica udienza, si dava corso alla trattazione nelle forme camerali, venendo rigettata, in quanto tardiva, l’istanza di trattazione orale presentata dal controricorrente.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Il controricorrente poi depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16, commi 6, 7 e 12, conv. con mod. in L. n. 221 del 2012, nonchè della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 61, e dell’art. 327 c.p.c., rilevando che la norma prevede la comunicazione per gli enti difesisi con funzionari esclusivamente a mezzo Pec, sottolineando altresì la presenza in Reginde dell’indirizzo Pec del Ministero, peraltro indicato anche nell’atto di costituzione in giudizio di primo grado.

Il secondo motivo afferma, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 159 e 327 c.p.c., nonchè della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 e 61, osservando che l’estrazione della copia della sentenza ad opera della parte non comporterebbe il raggiungimento dello scopo e quindi non sanerebbe la nullità dell’omessa notificazione via Pec.

2. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente.

3. Come è noto, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, il reclamo avverso la sentenza di primo grado che decide sull’impugnativa del licenziamento secondo il c.d. rito Fornero, “si propone con ricorso da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”, risultando invece proponibile, in mancanza di valida o efficace comunicazione o notificazione, nel termine c.d. “lungo”, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1.

Non risultando la notificazione della sentenza, il tema è dunque quello della comunicazione di essa, nel caso particolare in cui nel giudizio di primo grado il Ministero si sia difeso mediante funzionari, come consentito dall’art. 417-bis c.p.c., comma 2.

Per costante giurisprudenza, in tali casi, “la notifica della sentenza di primo grado ai fini del decorso del termine di impugnazione va effettuata allo stesso dipendente; la citata norma, infatti, va interpretata nel senso che essa attribuisce al dipendente di cui l’amministrazione si sia avvalsa tutte le capacità connesse alla qualità di difensore in tale giudizio, ivi compresa quella di ricevere la notificazione della sentenza, ancorchè tale atto si collochi necessariamente in un momento successivo alla conclusione del giudizio stesso” (Cass. 22 febbraio 2008, n. 4690 e successive sempre conformi, tra cui Cass. 26 ottobre 2017, n. 25483 e Cass. 16 settembre 2016, n. 18154).

3.1 Tale giurisprudenza, tuttavia, ratione temporis non ha potuto considerare le disposizioni del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 cit.

In particolare, la norma, al comma 4, prevede che “nei procedimenti civili (…), le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Al comma 7, ultima parte, è poi previsto che “tutte le comunicazioni e le notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica comunicati a norma del comma 12”.

Comma 12 in forza del quale “al fine di favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, comunicano al Ministero della giustizia, con le regole tecniche adottate ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24, entro il 30 novembre 2014 l’indirizzo di posta elettronica certificata conforme a quanto previsto dal D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e successive modificazioni, a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni. L’elenco formato dal Ministero della giustizia è consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni. esecuzioni e protesti, e dagli avvocati”.

La norma ha infine ricevuto una recente integrazione, qui non applicabile ratione temporis, ma da tenere presente ai fini interpretativi. Il D.L. n. 76 del 2020, art. 289, comma 1, lett. a), conv., con mod. in L. n. 120 del 2020, ha infatti stabilito che “all’art. 16, comma 12, al primo periodo, le parole “entro il 30 novembre 2014” sono soppresse e, in fine, sono aggiunti i seguenti periodi: “Con le medesime modalità, le amministrazioni pubbliche possono comunicare altresì gli indirizzi di posta elettronica certificata di propri organi o articolazioni, anche territoriali, presso cui eseguire le comunicazioni o notificazioni per via telematica nel caso in cui sia stabilito presso questi l’obbligo di notifica degli atti introduttivi di giudizio in relazione a specifiche materie ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale. Per il caso di costituzione in giudizio tramite propri dipendenti, le amministrazioni pubbliche possono altresì comunicare ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata, riportati in una speciale sezione dello stesso elenco di cui al presente articolo e corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio”.

L’art. 16, comma 13, sia nella versione originaria, sia in quella modificata con il D.L. n. 76 cit., regolamentano altresì le modalità di comunicazione allorquando manchino le indicazioni di cui al comma 12, nel senso che esse vanno effettuate mediante deposito in cancelleria oppure nelle forme ordinarie, a seconda che la mancanza dell’indirizzo elettronico sia dovuta o meno a causa non imputabile al destinatario. Ma si tratta di particolarità che, secondo quanto si dirà di seguito, finiscono per non essere qui rilevanti.

3.2 In effetti il collegio ritiene che la previsione di cui all’art. 16, comma 7, con riferimento alle comunicazioni e notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio mediante propri dipendenti, stabilendo che esse siano da eseguire “esclusivamente” per via telematica presso gli indirizzi di posta elettronica comunicati ai sensi del comma 12, allorquando essi siano disponibili, superi l’orientamento giurisprudenziale in ordine idoneità della comunicazione o notificazione ai funzionari e renda nulle le comunicazioni non eseguite presso l’indirizzo individuato dalla normativa sopravvenuta.

Non vi è dubbio che le comunicazioni interne al grado processuale, se effettuate con altre modalità presso il funzionario delegato alla difesa della P.A. consentono la sanatoria per raggiungimento dello scopo, ogni qual volta risulti la piena conoscenza del contenuto dell’atto da parte del medesimo.

Ciò in quanto esse hanno riguardo ad un’attività da svolgere a cura del medesimo dipendente, sicchè non avrebbe senso opinare altrimenti

Tale conclusione non può invece valere per le comunicazioni (o notificazioni) riguardanti il provvedimento finale di un processo di primo grado, per cui sia consentita la difesa a mezzo funzionari, che abbiano effetto riguardo alla impugnativa di tale provvedimento, in quanto essa non può essere condotta dai funzionari.

Del resto, l’indirizzo di cui all’art. 16, comma 12, già nel testo originario e qui da applicare, non è indirizzo di un funzionario incaricato della difesa in uno specifico giudizio, ma è indirizzo generale dell’Amministrazione di riferimento ed anche gli ulteriori indirizzi poi introdotti dal D.L. n. 76 cit. non riguardano singoli funzionari delegati alla difesa in una data causa, ma “specifiche aree organizzative omogenee” e dunque la P.A. in quanto tale, individuata attraverso propri uffici.

Pertanto, l’unificazione delle comunicazioni e notificazioni presso l’indirizzo di cui all’art. 16, comma 12, avendo riguardo, sia nel testo qui applicabile ratione temporis, sia in quello ora integrato dal D.L. n. 76 del 2020, a indirizzi Pec specificamente indicati nel registro (e, con il D.L. n. 76 cit., quando si tratti di costituzione mediante dipendenti, in un’apposita sezione di esso) non consente, per gli effetti preclusivi che derivano dalla conseguente applicazione del termine c.d. “breve”, di ragionare in termini di raggiungimento dello scopo in ragione della circostanza che le comunicazioni o notificazioni siano state fatte, con qualunque modalità, al funzionario delegato alla difesa nel singolo giudizio. Infatti, la necessità di interpretare restrittivamente la norma in tema di decadenza dall’impugnazione, già analogamente valorizzata da questa Corte allorquando ha negato che nel rito c.d. Fornero la lettura in udienza del provvedimento decisorio potesse tenere luogo della sua comunicazione (Cass. 26 luglio 2018, n. 19862) esclude la possibilità di individuare un momento di decorrenza diverso da quello che scaturisce da una comunicazione effettuata nel rispetto delle forme telematiche specificamente individuate dalla legge, allorquando la P.A. si sia difesa in primo grado mediante propri funzionari e non con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.

3.3 Ciò posto, nel caso di specie il Ministero afferma che il proprio indirizzo “(OMISSIS)” sarebbe stato presente nel c.d. “Reginde” (rectius, nel registro ministeriale degli indirizzi della P.A. di cui all’art. 16, comma 12, cit).

Il controricorrente, nella memoria finale, contesta che tale indirizzo corrispondesse a quello comunicato ai sensi dell’art. 16, comma 12, che invece, afferma, sarebbe stato “(OMISSIS)”.

L’affermazione della non reperibilità della P.A. all’indirizzo della “div3” desta qualche perplessità, in quanto tra gli allegati al documento 3 prodotto nel giudizio di cassazione risulta una schermata del PST che riporta quell’indirizzo come inerente al Ministero del Lavoro, indicandolo come “attivo”.

In ogni caso, è pacifico che un indirizzo del Ministero del Lavoro nel registro di cui all’art. 16, comma 12, vi fosse e dunque, per quanto sopra detto, era presso lo stesso che andava fatta la comunicazione utile a fini impugnatori.

3.4 Nè, a sanare la nullità e comunque ad integrare la fattispecie comunicatoria e a far decorrere il termine per il reclamo poteva valere il rilascio di copia autentica, profilo su cui si radica la seconda ratio decidendi della sentenza impugnata.

L’incertezza rispetto alla persona destinataria di tale rilascio avvenne non consentirebbe comunque di avvalersi dell’orientamento di Cass. 1 giugno 2017, n. 13858 o Cass. 3 gennaio 2019, n. 1, secondo cui il rilascio di copia a persona individuata e riferibile al destinatario sanerebbe il mancato rispetto delle forme di comunicazione formale (v. per la necessità di una rigorosa pertinenza della comunicazione al soggetto destinatario, Cass. 12 giugno 1987, n. 5152, in tema di regolamento di competenza).

Ma in realtà non è questo il punto che rileva in prima battuta nel caso di specie, ove è la stretta tipicità della forma di comunicazione ed il rilievo che essa assume rispetto alla decadenza dall’impugnazione a non consentire che il rilascio di copia sia idoneo al raggiungimento dello scopo della comunicazione quale ora regolata dalla legge, a meno di non avvenire, qualora si tratti di Amministrazioni dello Stato, a favore diretto (come non risulta essere) della competente Avvocatura.

4. La sentenza resa in sede di reclamo va quindi cassata con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, al fine di celebrare il giudizio di gravame impedito dall’erronea pronuncia di inammissibilità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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