Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14194 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. II, 27/06/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.G. (OMISSIS), Z.M.L.

(OMISSIS), Z.R. (OMISSIS), Z.L.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato CHIOZZA ANNA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCIO ANTONELLO;

– ricorrenti –

contro

IMM SAN VITTORE DI SASSO SEVERINO & C SAS (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ADREANI MAURIZIO;

– controricorrente –

e contro

Z.E. (OMISSIS), Z.R. (OMISSIS),

Z.M.P. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1678/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato CHIOZZA Anna, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso peri il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12.8.92 i sig.ri E., G., L., M.P., M.L., R. e R. Z., premesso di essere proprietari di un fondo sito in Verbania catastalmente censito al f. 62, mapp. 293, confinante con il mappale 286 di proprietà della Immobiliare San Vittore di Sasso Severino &

C. Sas e che quest’ultima aveva eseguito dei lavori per trasformare il suo cortile in autorimesse a due piani, in parte interrate, sopraelevando l’originario piano dello stesso cortile; tanto premesso convenivano in giudizio la nominata società per sentirla condannare:

a convogliare nel colatoio comunale ai sensi dell’art. 908 c.c., comma 2, le acque piovane originate dall’inversione di pendenza del cortile; ad arretrare a distanza legale la griglia destinata alla raccolta di tali acque ai sensi dell’art. 891 c.c.; ad eliminare la veduta diretta verso i mappali 293 e 189 conseguente all’innalzamento delle autorimesse; ad arretrare ai sensi degli artt. 873 e 907 c.c. le costruzioni eseguite su mappali 189,191 e 191/1; ed infine a risarcire i danni ai fabbricati esistenti cagionati dagli scavi eseguiti sul mappale 196.

Si costituiva la società convenuta contestando la domanda attrice di cui chiedeva il rigetto, dicendosi disposta soltanto all’eliminazione dei danni derivati all’immobile degli attori a seguito degli scavi eseguiti sul confine. L’adito tribunale di Verbania, espletata la CTU,con sentenza n. 181/2000, accoglieva in parte la domanda attrice, condannando la sas Immobiliare San Vittore ad arretrare a distanza legale la griglia adibita alla raccolta delle acque piovane; ad eliminare la veduta diretta realizzata a seguito della costruzione della autorimesse, mediante l’innalzamento del muro di confine sino all’altezza di m. 2 dal piano di calpestio della copertura delle autorimesse, e ciò al fine di evitare l’affaccio nella proprietà Z.; a risarcire i danni subiti dai fabbricati esistenti in conseguenza degli scavi, mediante il pagamento della somma complessiva di L. 14.280.000, oltre IVA e rivalutazione monetaria;

regolava infine in vario modo le spese processuali.

Avverso la predetta sentenza proponevano separato atto d’appello sia i sigg.ri Z. che la sas Immobiliare San Vittore di Sasso Severino & C. Previa riunione degli appelli, l’adita Corte d’Appello di Torino con sentenza n. 1678/04 depositata in data 18.10.2004, rigettava l’impugnazione proposta dalla società ed accoglieva in parte quella formulata dagli Z., riguardo all’eliminazione della veduta diretta verso i mappali 293 e 189, disponendo l’eliminazione della stessa veduta mediante ripristino della situazione preesistente, compensando interamente le spese del grado. Secondo la corte distrettuale, per quanto riguarda lo stillicidio, mancavano i presupposti di fatto per ottenere l’allacciamento ex art. 908 c.c. in quanto il colatoio non era pubblico; circa la veduta diretta, riteneva che andava disposto sic et simpliciter il ripristino della situazione originaria, senza disporre l’innalzamento del muro di confine; quanto alla distanza tra gli edifici, le autorimesse – come rilevato dal CTU – erano state costruite in aderenze rispetto al muro di cinta; quanto alla cd. pensilina, e alle griglie di areazione, si trattava di questioni non formulate con la domanda originaria, così come lo era la domanda di risarcimento danni per mancato utilizzo dei locali.

Avverso la predetta pronuncia, le sig. re G., L., M. L. e Z.R. ricorrono per cassazione sulla base di n. 6 mezzi; resiste con controricorso la soc. Immobiliare San Vittore di Sasso Severino & C.; non hanno svolto difese gli altri intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso le esponenti denunziano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ed il vizio di motivazione sulla questione relativa all’illegittimo stillicidio.

Deducono in specie che: a) la Corte d’Appello non si era pronunciata sulla domanda proposta in via alternativa di ripristino dell’originaria pendenza del piano di campagna ai fini dell’eliminazione dello stillicidio; b) che stessa corte aveva erroneamente ritenuto che difettavano i presupposti per l’allacciamento previsto dall’art. 908 c.c. non sussistendo elementi per ritenere pubblico il colatoio in questione.

Le suddette censure sono infondate.

Quanto alla prima questione (ripristino della pendenza del cortile) la relativa domanda era stata ritenuta inammissibile dal Tribunale in quanto domanda nuova, proposta dagli originari attori solo in sede di precisazione delle conclusioni. Tale punto della pronuncia peraltro non era stata oggetto di specifica impugnazione, e quindi la sua riproposizione in sede d’appello doveva ritenersi inammissibile. Al riguardo questa S.C. ha statuito che “l’omessa pronuncia, qualora cada su una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1: Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 24445 del 02/12/2010).

Quanto all’insussistenza dei presupposti di fatto per l’applicazione dell’art. 908 c.c., le valutazioni censurate attengono al merito della controversia e non sono quindi sindacabili in questa sede, anche perchè nel ricorso non vengono riportati con indispensabile completezza, gli elementi probatori che si assumono mal valutati.

Con il 2^ motivo: (“la veduta diretta”), si lamenta: a) la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di abbassamento e/o arretramento della costruzione dalla quale si esercita la veduta; b) violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 5, perchè la sentenza reca un dispositivo di condanna inadeguato, assolutamente generico,incompleto ed impreciso, quindi, inesistente ed inidoneo, perchè di fatto, per la sua concreta attuazione, vi è una totale delega al giudice dell’esecuzione; c) motivazione omessa, apparente o contraddittoria, nella parte in cui “la Corte afferma che il motivo è fondato, ma si limita ad enunciare principi generali in materia di eliminazione delle vedute e obblighi di fare, fornendo motivazione insufficiente e comunque in contraddizione poi con il dispositivo”.

Danno atto le ricorrenti che la corte si è pronunciata in proposito accogliendo l’appello, condannando la resistente a ripristinare la preesistente situazione, al fine di eliminare la veduta; ma essi esigono che si disponga espressamente l’abbassamento o arretramento della costruzione, perchè non condividono la generica” affermazione della Corte di merito secondo cui per eliminare le vedute non è necessario disporre demolizioni, ma che ben possono diversamente contemperarsi i reciproci interessi delle parti e che spetta al giudice dell’esecuzione stabilirne in concreto le modalità. Del resto ai fini del ripristino della situazione preesistente nella fattispecie (costituita dal fatto che non esisteva alcuna veduta) necessariamente occorrerebbe disporre la demolizione dei nuovi manufatti.

La doglianza non ha pregio, essendosi la corte distrettuale conformata alla giurisprudenza di legittimità (che si condivide) secondo cui “l’eliminazione delle vedute abusive, le quali consentono di affacciarsi e guardare nel fondo altrui, non deve necessariamente essere disposta dal giudice mediante la demolizione di quelle porzioni immobiliari costituenti il “corpus” della violazione denunciata, ben potendo, invece, la violazione medesima essere eliminata per altra via, mediante idonei accorgimenti, i quali, pur contemperando i contrastanti interessi delle parti, rispondano ugualmente al precetto legislativo da applicare al caso concreto (Cass. n. 1450 del 24/02/1996; Cass. n. 9127 del 14.9.98; Cass. n. 9640 del 27.9.06). Del resto è rimessa al giudice dell’esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell’opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni (Cass. Sez. 3, n. 10649 del 04/06/2004).

Con il 3^ motivo: (“La distanza tra edifici: le autorimesse”) si lamenta: a) la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omesso esame dei motivi d’appello ritenuti erroneamente inconferenti;

b) la violazione degli artt. 15 e 116 c.p.c. in quanto la Corte di merito aveva messo in discussione un dato pacifico e non controverso tra le parti e cioè la natura del muro di confine come muro di cinta.

Osservano le esponenti che esse avevano chiesto, con l’originaria domanda, l’arretramento delle autorimesse realizzate dalla convenuta sul fondo, siccome erette senza il rispetto delle distanze delle costruzioni e che la società convenuta si era difesa unicamente affermando che quanto realizzato non era qualificabile come costruzione in quanto creata nel sottosuolo. Il CTU osservava però nella sua relazione, che la costruzione era comunque legittima siccome in aderenza con il muro di confine e la convenuta faceva propria la considerazione del C.T.U. ma solo in sede di conclusionale. Le esponenti a questo punto avevano in replica eccepito che le costruzioni in aderenza sono possibili con riferimento alle altre costruzioni, ma non con riguardo al muro di cinta ex art. 878 c.c.. Il tribunale però aveva respinto la domanda attrice ritenendo tardiva la proposta eccezione ex art. 878 c.c..

La decisione del tribunale dunque era solo in rito, pregiudiziale e non riguardava in alcun modo la natura del muro che è questione di merito.

La corte distrettuale aveva dunque l’obbligo di prendere in esame il motivo, formulato in rito perchè unicamente in rito era stata la decisione impugnata. D’altra parte la corte aveva messo in discussione un dato di fatto pacifico tra le parti, incontrovertibile in quanto non contestato, riguardante la natura del muro come muro di cinta. La doglianza non è fondata.

Si rileva che la questione in esame era stata sollevata dal CTU ed era comunque entrata nel thema decidendum della causa, tant’è che la convenuta, dopo il deposito della CTU, con memoria 27.2.06 aveva aderito al rilievo dell’ausiliare. Pertanto l’eccezione ex art. 378 c.p.c.(cioè della non applicabilità della normativa che consente le costruzioni in aderenza) poteva e doveva essere tempestivamente sollevata dagli attori in corso del giudizio e non soltanto in sede di memoria di replica alle conclusionali di controparte,come poi avvenuto, perchè in tal modo veniva¯¯ introdotta tardivamente una questione (accertamento delle caratteristiche del muro posto a confine tra le due proprietà) che andava esaminata nel rispetto del contraddicono e con specifica istruttoria sulla natura del muro stesso. Peraltro non si può affermare che la natura del muro fosse pacifica tra le parti perchè mai contestata, proprio perchè nel giudizio di primo grado tale questione nella sostanza non era stata mai posta.

Con il 4^ motivo: La distanza tra edifici: la cd. tettoia-pensilina.

Si lamenta la violazione degli artt. 112 e 242 c.p.c. e art. 163 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte aveva erroneamente affermato che la domanda attrice non comprendeva tra “le costruzioni eseguite al confine” anche la pensilina, ritenendo la domanda stessa generica e meramente esplorativa. In realtà la domanda aveva una formulazione assai ampia e non era certo riferita alle sole costruzioni poste sul confine ma a tutte le costruzioni eseguite sui fondi finitimi e sol in tal senso doveva intendersi l’inciso “confine” contenuto nella domanda.

La doglianza non è fondata.

In realtà la questione involge l’interpretazione della domanda, che è operazione riservata al giudice di merito, in quanto accertamento di fatto non censurabile in questa sede di legittimità, apparendo logica e giuridicamente corretta la motivazione su tale specifico punto. Inoltre tale valutazione si basa su dati fattuali che, in questa sede, vengono del tutto genericamente contestati.

Con il 5^ motivo: “le griglie di areazione (intercapedini)” le esponenti lamentano la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. e art. 163 c.p.c., n. 4, cpv, c p laddove la Corte afferma che la domanda attorea non concerneva anche le griglie-intercapedini. Anche in questo caso il tribunale aveva rigettato la domanda relativa all’arretramento o eliminazione delle griglie di areazione poste a confine con la loro proprietà, costituenti illegittima intercapedine. In realtà tale domanda – secondo i ricorrenti – era ricompresa nell’atto di citazione (sub 3 e 5) e riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, in cui si faceva riferimento ad opere ed interventi riscontrati dal CTU e contra legem; non si trattava dunque di domanda nuova come stabilito dalla Corte che aveva erroneamente ritenuto di non pronunciarsi sul punto.

La censura è infondata per le argomentazioni svolte a proposito del motivo n. 4. In ogni caso ha puntualmente osservato al riguardo la Corte distrettuale che le conclusioni sub 3 e 5 della citazione sono invero generiche e hanno natura esplorativa.

Infine con il 6^ motivo le esponenti deducono che la società convenuta doveva essere condannata al pagamento per intero delle spese di entrambi i gradi, mentre invece erano state compensate (in parte o in tutto) dai giudici di merito.

La censura non è fondata.

La compensazione delle spese, motivata con l’esito complessivo del giudizio e la parziale soccombenza delle parti, è qui incensurabile.

Com’è noto, la valutazione operata al riguardo dal giudice di merito può essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale Cass. ordinanza n. 24531 del 02/12/2010; Cass. n. 6970 del 23/03/2009).

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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