Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14193 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 24/05/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22867-2015 proposto da:

EQUITALIA SUD S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA n. 403,

presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FIORINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato IVANA CARSO;

– ricorrente principale –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione

dei Cediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO,

GIUSEPPE MATANO;

– resistenti con mandato al ricorso principale –

nonchè da:

D.D.B. COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANAMA N. 74, presso lo studio degli Avvocati GIANNI EMILIO

IACOBELLI, CARLO COLAPINTO, rappresentata e difesa dall’avvocato

RAFFAELE D’INNELLA;

– controricorrerite – ricorrente incidentale –

Nonchè contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione

dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO,

GIUSEPPE MATANO;

– resistenti con mandato al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2016/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 02/07/2015 R.G.N. 2146/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2021 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 2016 del 2015, la Corte d’appello di Bari, accogliendo per quanto di ragione l’appello proposto da Equitalia Sud s.p.a. nei riguardi dell’INPS e della “Dr D.D. Costruzioni” s.r.l. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta dalla società ad intimazione di pagamento di Euro 278.547,74, relativa a precedente cartella esattoriale pacificamente notificata e non opposta, ha confermato la prescrizione dei contributi pretesi (ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3) essendo trascorsi più di cinque anni tra la data di notifica della cartella (avvenuta l’11 giugno 2001) e quella di notifica dell’intimazione di pagamento (31 marzo 2008);

la Corte territoriale ha accolto il solo capo d’appello relativo alla condanna Di Equitalia Sud s.p.a. alla rifusione delle spese di primo grado in favore dell’opponente, compensandole tra le medesime parti;

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Equitalia Sud s.p.a., con tre motivi;

resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la s.r.l. Dottor D.D. Costruzioni;

l’INPS ha rilasciato delega in calce alla copia notificata del ricorso proposto da Equitalia sud s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso, Equitalia Sud s.p.a. deduce violazione e o falsa applicazione dell’art. 25, comma 2 vigente ratione temporis, D.Lgs. n. 46 del 1999 e dell’art. 2935 c.c. in ragione del fatto che la sentenza impugnata, nel verificare l’effettivo decorso del termine di prescrizione, non aveva dato rilevanza alla sospensione della riscossione adottata dall’INPS il 9 luglio 2002 e poi revocata il successivo 4 settembre 2007 considerandola come mero impedimento di fatto con ciò violando il disposto del citato art. 25 che espressamente prevede la possibilità per l’Ente creditore di sospendere la riscossione;

con il secondo motivo, si denuncia, sempre relativamente alla ritenuta irrilevanza della sospensione della riscossione disposta dall’INPS, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50 e dell’art. 2935 c.c., posto che in tal modo era stata violata la regola della sostanziale autonomia della situazione soggettiva dell’esattore rispetto alla posizione del soggetto creditore, come era stato rilevato dalla giurisprudenza di legittimità che si era occupata della individuazione del termine di prescrizione dei contributi portati dalla cartella esattoriale non opposta (Cass. n. 4338 del 2014);

con il terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 c.c. e art. 421 c.p.c., nonchè del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 24, 25 e 49 laddove la sentenza impugnata aveva rigettato l’eccezione di interruzione del decorso del termine di prescrizione sollevata da Equitalia Sud s.p.a. ritenendo non provato, attraverso la produzione della relativa quietanza, che il pagamento parziale di Euro 90,23, del 9 maggio 2006, costituisse valido atto di riconoscimento del credito; si imputa alla sentenza di non aver adeguatamente valutato i dati riportati sull’estratto del ruolo e, comunque, di non aver utilizzato i poteri d’ufficio per sopperire alla insufficienza del quadro probatorio;

i primi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto entrambi incentrati sulla rilevanza giuridica della sospensione della riscossione accordata dall’Inps il 9 luglio 2002 e poi revocata il successivo 4 settembre 2007, sono infondati;

il D.Lgs. n. 46 del 1999, comma 2 abrogato dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, prevedeva “Dopo l’iscrizione a ruolo l’ente, in pendenza di gravame amministrativo, può sospendere la riscossione con provvedimento motivato notificato al concessionario ed al contribuente. Il provvedimento può essere revocato ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione”;

tale facoltà di sospendere la riscossione dei contributi non realizza alcuna ipotesi di sospensione del termine prescrizionale;

come è noto, per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. n. 3584/2012; Cass. n. 10828/2015; Cass. n. 22078/2018; Cass. n. 21026/2014) la decorrenza della prescrizione risulta impedita solo da cause giuridiche che impediscano l’esercizio del diritto, non già da ostacoli di mero fatto, come il ritardo indotto dalla necessità di accertamento del diritto medesimo;

è stato infatti affermato (tra le tante Cass. n. 21495 del 07/11/2005) che l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione: non sono, dunque, ammissibili cause di interruzione e di sospensione della prescrizione fuori dei casi espressamente previsti dalla legge e sono insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazione estensiva, in quanto il legislatore regola inderogabilmente le cause di sospensione, limitandole a quelle che consistono in veri e propri impedimenti di ordine giuridico, con esclusione degli impedimenti di mero fatto (Cass. nn. 340/1967; 1482/1971; 4191/1975);

nel caso di specie, come ha rilevato la sentenza impugnata, non ricorre alcun impedimento giuridico o causa di interruzione o di sospensione prevista della legge perchè il disposto dell’art. 25, comma 2, sopra ricordato non contiene una simile previsione;

peraltro, vale la pena di precisare, che l’azione esecutiva (unica spettante al concessionario della riscossione) non può confondersi con il diritto alla contribuzione sul cui decorso del termine di prescrizione la ricorrente fonda i motivi in esame;

in altri termini, una volta accertata la prescrizione del credito contributivo a suo tempo iscritto a ruolo, irrinunciabile, in ragione del principio di “ordine pubblico” vigente in materia di previdenza e assistenza obbligatoria riaffermato da Cass. SS.UU. n. 23397/2016 (che ricorda le precedenti Cass., Sez. lav., 15 ottobre 2014, n. 21830; Id. 24 marzo 2005, n. 6340; Id. 16 agosto 2001, n. 11140; Id. 5 ottobre 1998, n. 9865; Id. 6 dicembre 1995, n. 12538; Id. 19 gennaio 1968, n. 131) è evidente che il diritto che si pretende di portare ad esecuzione, nelle forme indicate dal D.Lgs. n. 46 del 1999, non risulta più esistente con la conseguente chiusura del procedimento esecutivo, così come avviene nelle ipotesi di accoglimento dell’opposizione prevista dall’art. 615 c.p.c.;

peraltro, neanche può aderirsi alla tesi sostenuta sostanzialmente dalla ricorrente, secondo la quale dalla mancata opposizione alla cartella di pagamento discenderebbe la sostanziale coincidenza tra il diritto alla contribuzione, spettante all’Istituto previdenziale, ed azione esecutiva affidata al concessionario;

tale ricostruzione del rapporto tra Ente previdenziale e concessionario per la riscossione, al fine di impostare sistematicamente l’intangibilità del credito previdenziale portato da cartella non opposta, è stata esplicitamente disattesa dalla citata sentenza delle Sezioni Unite di questa corte n. 23397 del 2016 laddove, è stato precisato che il D.Lgs. n. 112 del 1999, attuativo della Legge di Delega n. 337 del 1998 (dedicato ai rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione), si limita a contenere un complessivo riordino della disciplina della riscossione mediante ruoli principalmente riferito alla materia tributaria e che, dalla procedura del discarico per inesigibilità prevista dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, nel testo introdotto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 683, – che ha sostituito integralmente il suddetto art. 20 – non può trarsi alcun argomento per sostenere che il credito contributivo, una volta iniziata la procedura di riscossione, assuma diversa natura equiparabile al titolo di cui all’art. 2953 c.c. al fine di poter fare applicazione del relativo termine decennale di prescrizione;

anche il terzo motivo è infondato;

ad avviso della ricorrente, in primo luogo, i documenti allegati sarebbero significativi del riconoscimento del debito ed avrebbero dovuto essere valutati quali atti interruttivi del termine di prescrizione dell’obbligazione contributiva;

a tal proposito, fatto salvo quanto si è sopra riferito sul ruolo del concessionario, è consolidato l’orientamento secondo cui il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere la prescrizione, non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito, e può quindi anche essere tacito e rinvenibile in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore. Pertanto, il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere come riconoscimento, rimanendo comunque rimessa al giudice di merito la relativa valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata (da ultimo Cass. n. 7820/2017);

nel caso di specie, la Corte d’appello ha spiegato le ragioni per le quali dal pagamento di Euro 90,23 (contestato dalla controparte e privo di quietanza con relativa imputazione), avvenuto il 9 maggio 2006 a fronte dell’avvenuta notifica della cartella in data 11 giugno 2001, non potesse desumersi alcun consapevole riconoscimento del debito giacchè tale esiguo pagamento era intervenuto in un momento in cui l’INPS non si era ancora pronunciato sulla effettiva spettanza degli sgravi pretesi e la società non poteva avere contezza degli importi effettivamente eventualmente dovuti;

tale accertamento non è certo censurabile in questa sede di legittimità, non essendo stato neanche criticato nei limiti in cui lo consentirebbe il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5);

del tutto inammissibile è anche il profilo del motivo che si riferisce al mancato utilizzo dei poteri officiosi al fine di integrare la ritenuta inidoneità della documentazione offerta dalle parti, posto che la ricorrente si limita a rilevare che la Corte d’appello avrebbe dovuto acquisire d’ufficio la “documentazione ritenuta necessaria” per rimuovere ogni dubbio ed incertezza sulla effettiva sussistenza dell’atto interruttivo della prescrizione;

va, infatti, applicato il principio secondo il quale nel rito del lavoro, il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cass. n. 22628 del 2019);

in definitiva, il ricorso principale va rigettato; è fondato l’unico motivo del ricorso incidentale;

la sentenza impugnata, una volta accolto il motivo d’appello relativo alle spese proposto da Equitalia Sud s.p.a. e riformando sul punto la sentenza di primo grado, avrebbe dovuto provvedere alla regolazione delle spese del giudizio di quel grado anche relativamente al rapporto tra INPS ed opponente;

la sentenza d’appello, invece, riformando parzialmente la decisione di primo grado, si è limitata a disporre la compensazione delle spese tra Equitalia Sud s.p.a e l’opponente, tenendo ferma l’integrale accoglimento della domanda che era rivolta nei confronti sia dell’Inps che di Equitalia Sud s.p.a, confermando nel resto le statuizioni della sentenza impugnata, ma tale decisione non può essere intesa come una implicita regolazione delle spese tra INPS ed opponente, che è stata del tutto omessa;

ciò in base al principio fissato dall’art. 336 c.p.c., comma 1, secondo il quale la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cosiddetto effetto espansivo interno), per cui la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina la caducazione “ex lege” della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse (Cass. n. 13059 del 2007; Cass. n. 15112 del 2005);

la sentenza impugnata deve, dunque, quanto al ricorso incidentale accolto, essere cassata e la causa – ricorrendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, – va decisa nel merito con la condanna dell’INPS al pagamento in favore della ricorrente incidentale delle spese del giudizio di primo e secondo grado, liquidate quanto al primo grado in Euro 6.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge e, quanto al giudizio d’appello, in Euro 7.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge;

le spese di legittimità seguono la soccombenza di Equitalia Sud s.p.a., in favore della s.r.l. D.D. Costruzioni, nella misura indicata in dispositivo, mentre nulla deve disporsi quanto al rapporto tra INPS ed Equitalia Sud s.p.a., non avendo l’Istituto svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, condanna Equitalia Sud s.p.a. al pagamento in favore della ricorrente incidentale delle spese del giudizio di primo e secondo grado, liquidate quanto al primo grado in Euro 6.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge e, quanto al giudizio d’appello, in Euro 7.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15 % e spese accessorie di legge;

condanna, altresì, Equitalia Sud s.p.a. al pagamento, in favore della ricorrente incidentale, delle spese di giudizio di legittimità che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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