Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14193 del 12/06/2010

Cassazione civile sez. II, 12/06/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 12/06/2010), n.14193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AVV. G.F., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al

ricorso, dagli Avv. CAPURSO FRANCESCO SAVERIO e Andrea Cuccia, elettivamente

domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, piazza Augusto Imperatore,

n. 22; – ricorrente –

contro

S.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv. CONTE RICCARDO e Fabrizio Conte, elettivamente

domiciliato nello studio dell’Avv. Giuseppe Miani in Roma, via dei Gracchi,

n. 6; – controricorrente –

e contro

V.V.; – intimato –

avverso la sentenza della Corte dr appello di Milano n. 942 dell’8 aprile 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 8 marzo 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “La controversa ha per oggetto la richiesta, proveniente dall’avv. G.F., di pagamento della somma di denaro di L. 6.093.632, oltre accessori, nei confronti di S.G., importo che, ai sensi dell’art. 68, della Legge Professionale forense, l’avv. G. ritiene dovutogli per l’attività professionale prestata in favore di V.V. che, difeso dal professionista, aveva convenuto in giudizio il S. per il risarcimento del danno cagionato da quest’ultimo, giudizio conciliato direttamente con la società assicuratrice del S. senza però liquidazione delle spese legali che quest’ultimo, sebbene sollecitato, non provvedeva a versare.

Il Tribunale di Milano rigettava la domanda. Il presupposto per l’applicabilità dell’art. 68 della legge professionale forense, il quale consente al legale rappresentante di agire anche contro l’avversario del proprio cliente, è costituito – ha osservato il primo giudice – dalla effettiva e totale definizione transattiva della controversia intervenuta tra le parti, e dal conseguente obbligo solidale delle parti stesse di soddisfare le ragioni creditorie dei rispettivi avvocati. Quando, al contrario, la causa è stata definita dal giudice, il quale, pur dando atto dell’avvenuto pagamento delle somme pretese in linea capitale e della conseguente cessazione della materia del contendere, provvede tuttavia sulle spese, ancorchè disponendone la compensazione, fa difetto il presupposto stesso per l’applicazione del citato art. 68, il quale implica l’esistenza di un accordo diretto a porre termine alla controversia e conseguentemente a sottrarre al giudice anche tale specifica pronuncia.

La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata l’8 aprile 2008, ha rigettato il gravame del G., condannandolo al rimborso delle spese di entrambi i gradi sostenute dal S. (e condannando quest’ultimo al pagamento delle spese sostenute dal terzo chiamato in garanzia, V.V.). L’obbligo solidale della parte avversa al proprio cliente sussiste – ha rilevato la Corte territoriale – soltanto se la transazione sia stata stipulata dal cliente e comporti la definizione del giudizio in cui esso è coinvolto, laddove nella specie la transazione stipulata dalle parti non ha comportato la definizione del giudizio.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l’avv. G. ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo.

Ha resistito, con controricorso, l’intimato S., mentre il V. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Con l’unico mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 68 della legge professionale) il ricorrente pone il quesito di diritto se l’accordo transattivo raggiunto dalle parti, comprensivo dell’obbligo espresso di abbandonare il giudizio, sia condizione necessaria e sufficiente per il sorgere del diritto dell’avvocato, a mente delR.D. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 68, a prescindere dal fatto che la causa sia poi proseguita (erroneamente) e sia stata chiusa con sentenza di accertamento della cessazione della materia del contendere e di rigetto della richiesta di condanna alle spese per soccombenza virtuale.

Il motivo è manifestamente infondato, perchè l’art. 68 della legge professionale forense non è applicabile quando la causa sia definita dal giudice con una pronuncia di cessazione della materia del contendere in forza di sopravvenuti accordi transattivi e, al contempo, di rigetto della richiesta di condanna alle spese per soccombenza virtuale (Cass., Sez. 3^, 21 dicembre 1982, n. 7057;

Cass., Sez. 2^, 19 marzo 1986, n. 1899). Non rileva stabilire se nella specie la prosecuzione della causa dopo la transazione fu dovuto o meno ad errore”.

Letta la memoria del ricorrente.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra;

che in ordine all’ambito della controversia nel quale si innesta il ricorso per cassazione, si osserva che la sintesi offerta dalla relazioneex art. 380 bis c.p.c., è stata tratta, pedissequamente, dallo stesso svolgimento del processo della sentenza impugnata e corrisponde, in buona sostanza, al tenore che si ricava dal ricorso per cassazione, ove si legge che l’Avv. G. convenne dinanzi al Tribunale di Milano S.G. per sentirlo condannare al pagamento in suo favore della somma di L. 6.093.632, oltre accessori, ai sensi dell’art. 68 legge profess., a fronte di prestazioni svolte a favore di V.G. (rilevando che l’Avv. G., quale procuratore e difensore di V.V., a sua volta procuratore di V.G., aveva citato in giudizio avanti al Tribunale di Milano il S. per sentirlo condannare al pagamento della somma di L. 80.000.000, salva la diversa somma accertando oltre al risarcimento dei danni ed accessori di legge);

che, pertanto, poco importa se – come si ricava dalla svolgimento del processo della sentenza impugnata – il giudizio “presupposto” avesse ad oggetto una richiesta di risarcimento del danno e sia stato conciliato con la società assicuratrice del S.; o se – come riferisce il ricorrente, anche nella memoria illustrativa – la detta controversia riguardasse un giudizio di pagamento somma a titolo di inadempimento contrattuale e se la lite sia stata direttamente transatta tra le parti, con impegno ad abbandonare la lite, senza l’intervento di compagnia assicuratrice;

che, infatti, quel che rileva stabilire è se – come propone il quesito di diritto che correda il motivo di ricorso – l’accordo transattivo raggiunto dalle parti, comprensivo dell’obbligo espresso di abbandonare il giudizio, sia condizione necessaria e sufficiente per il sorgere del diritto dell’avvocato a mente delR.D.L. n. 1578 del 1933, art. 68;

che al quesito deve darsi risposta negativa;

che l’art. 68 della legge professionale forense, stabilendo che tutte le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari e al rimborso delle spese in favore degli avvocati che hanno partecipato al giudizio definito con quella transazione, si riferisce ad ogni accordo mediante il quale le parti facciano cessare, senza la pronuncia del giudice, una lite già cominciata;

che, affinchè possa sussistere l’obbligazione solidale prevista dalla citata norma e il difensore possa richiedere il pagamento degli onorari ed il rimborso delle spese nei confronti della parte avversa al proprio cliente, è necessaria la definizione del giudizio con una transazione (o con un accordo equivalente) che sottragga al giudice la definizione del giudizio e la pronuncia in ordine alle spese (Cass., Sez. 2^, 13 settembre 2004, n. 18343, in motivazione);

che la norma citata non è applicabile allorquando la causa sia stata definita direttamente dal giudice con una sentenza che, oltre a disporre la cessazione della materia del contendere a seguito della sopravvenuta transazione, abbia pronunciato sulle spese, rigettando la richiesta di condanna della controparte;

che, difatti, in tal caso, manca il presupposto stesso per l’applicazione del citato art. 68, il quale implica l’esistenza di un accordo diretto, appunto, a sottrarre al giudice anche la pronuncia sulle spese;

che nella specie è pacifico che dopo l’accordo tra le parti il processo prosegui ed il Tribunale pronunciò sentenza con la quale, nello statuire la cessazione della materia del contendere nella causa instaurata dal V. nei confronti del S. per effetto della intervenuta transazione, rigettò la domanda di condanna di quest’ultimo alla rifusione delle spese di giudizio;

che non rileva la ragione per cui la causa sia proseguita dopo l’intervenuta transazione, se cioè per errore o meno;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso e condanna, il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00, per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2010

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