Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14186 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. II, 27/06/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29375/2005 proposto da:

S.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TOSCANA 1, presso lo studio dell’avvocato CERULLI IRELLI

Giuseppe, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TRAMAROLLO GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

S.A. C.F. (OMISSIS), S.D. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DUILIO 13,

presso lo studio dell’avvocato VALENTI Ettore, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 577/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Valente Ettore difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona de Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.D. ed S.A., con atto di citazione del 11 agosto 1997, convocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Venezia, la sorella S.G. e premesso che erano figli legittimi di M.A., la quale con testamento olografo, aveva lasciato a S.G. tutti i suoi beni, chiedevano di ottenere la riduzione della quota a questa spettante di 5/9 riservando a ciascuno di loro la quota di 2/9, nonchè la divisione dell’asse ereditario.

Si costituiva S.G. che non si opponeva alla domanda, ma chiedeva che venissero detratti dall’asse ereditario: a) i crediti che la stessa vantava nei confronti della de cuius per i lavori di migliorie e riparazioni dell’immobile di abitazione (della de cuius), b) le spese sostenute per il mantenimento della madre, negli ultimi anni.

Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 24 giugno 2002, riduceva le quote lasciate a S.G. a 5/9, assegnava a ciascun attore la quota di 2/9, come richiesto, rigettava l’istanza di collazione, accertava il debito della de cuius, nei confronti di S.G., per una somma complessiva di L. 7.397.591 nonchè le spese da questa effettuate per il mantenimento della madre.

Proponeva appello, S.G. lamentando che il Giudice di primo grado, erroneamente, non aveva accolto la sua istanza di collazione delle spese nuziali effettuate dalla madre a favore di S.D. e non aveva riconosciuto tutte le spese da lei sostenute per la riparazione dell’immobile e per il mantenimento della madre.

Si costituivano, S.D. e S.A., i quali chiedevano il rigetto del gravame, e proponevano appello incidentale, chiedendo la detrazione dalla massa ereditaria delle spese funerarie, quelle di pubblicazione del testamento e quelle relative alle tasse di successione.

La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 577 del 2005, rigettava l’appello principale e quello incidentale e per l’effetto riconfermava integralmente la sentenza del Tribunale.

La Corte territoriale osservava: a) che non erano stati provati i doni asseritamente dati dalla madre a S.D. in occasione del matrimonio di costei e doveva ritenersi superata ogni questione in ordine alla eventuale collazione; b) che non erano state provate le ulteriori spese che S.G. chiedeva le venissero riconosciute; c) che le spese funerarie, quelle di pubblicazione del testamento e quelle relative alle tasse di successione, erano state sostenute da S.G..

La cassazione della sentenza n. 577 del 2005 della Corte di Appello di Venezia è stata chiesta da S.G. con ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria. S.D. e S.A. hanno resistito con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo S.G. lamenta la falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c., ed insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo la ricorrente, nel non aver ritenuto come ammessi i fatti articolati nel capitolato depositato in giudizio e relativo alle elargizioni che S.D. avrebbe avuto dalla madre in occasione del matrimonio, considerato che la S. non si è presentata e non ha risposto personalmente all’interrogatorio. Chiarisce la ricorrente che l’interrogatorio fu ammesso dal primo giudice e S.D. non si presentò ma fece pervenire una lettera, così dimostrando di non voler rispondere i all’interrogatorio. Il primo giudice, nonostante esplicita richiesta, non ha disposto nuova data per l’interrogatorio e non considerò come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Neppure, la Corte territoriale, nonostante ne sia chiesta, ha modificato la sentenza in ordine a questo aspetto.

1.1.- La censura non merita di essere accolta perchè la Corte territoriale ha esaminato il profilo dedotto dalla ricorrente ed ha correttamente, in applicazione dei principi giuridici che governano la materia e così come chiariti ed esplicitati da questa stessa Corte, in varie occasioni, indicato le ragioni, (e non necessariamente era onerata a farlo), poste a fondamento della decisione.

1.1.a.- Intanto, appare opportuno chiarire che l’art. 232 c.p.c., a differenza dell’effetto automatico di “ficta confessio”, ricollegato a tale vicenda dal l’abrogato art. 218 c.p.c., riconnette alla mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio formale, soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”).

Sicchè, l’esercizio di tale facoltà, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità. E di più, o se si vuole, la mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio formale costituisce fatto processuale, tale da indurre a ritenere ammessi i fatti che formano oggetto di interrogatorio, purchè concorrano anche altri elementi, mentre non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che pur in caso di mancata risposta a interrogatorio formale, non ritenga ammessi i suddetti fatti.

1.1.b.- Nel caso di specie la Corte territoriale ha riscontrato resistenza di una lettera con la quale S.D. precisava che intendeva adeguarsi alla risposta fornita dal suo fratello A. il quale, a sua volta, aveva dichiarato che la madre non aveva donato, a S.D., i beni asseriti da S.G..

L’esistenza della lettera ed anche la dichiarazione del fratello secondo cui la loro madre non aveva effettuato elargizioni a favore di D. in occasione del matrimonio, erano elementi sufficienti perchè la Corte territoriale potesse escludere di ritenere ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. I dati acquisiti in giudizio, insomma, non consentivano di estendere automaticamente la presunzione semplice di cui all’art. 232 c.p.c..

2.- Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2700 c.c. e falsa applicazione dell’art. 2702 cod. civ..

Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo la ricorrente, nel non aver ritenuto provata l’erogazione alla Casa di Riposo Riviera del Brenta delle rette per il ricovero della madre sul semplice presupposto che le ricevute non sono state confermate in giudizio dal ricevente. Sostiene la ricorrente che l’erogazione per complessive L. 2.338.400 risultava dai bollettini di versamento in conto corrente i quali, essendo atti pubblici, sono idonei a fornire quella prova alla quale sono destinati.

2.1.= Anche questa censura non merita di essere accolta, non solo, o non tanto, perchè ai limiti dell’ammissibilità, essendo, in parte, carente dei caratteri dell’autosufficienza, ma e soprattutto, perchè attiene ad una valutazione di merito, che, in quanto priva di vizi logici e giuridici, non è soggetta ad essere sindacata dal giudice di legittimità.

In verità, il giudice di merito, in mancanza di altre circostanze (considerato che era mancata la conferma da parte del ricevente ed erano state contestate dagli appellanti) non ha ritenuto, secondo una valutazione di merito, di considerare le ricevute di cui si dice, quali mezzi di prova sufficienti ad acclarare quella verità che l’attuale ricorrente riteneva affermassero. D’altra parte, i bollettini di versamento in conto corrente, che la ricorrente riferisce di aver prodotto in giudizio, non erano di per sè sufficienti a chiarire – e; sarebbe stato necessario – per quale causale gli stessi erano stati emessi, ammesso pure che erano stati emessi e per quell’importo dichiarato.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’ari. 189 epe. ed insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo la ricorrente, nel non aver accreditato gli interessi a favore di S.G. relativamente ai debiti che la deducente vantava nei confronti della madre per l’importo non inferiore di L. 31.000.000, perchè non vi era ragione di ravvisare nel comportamento della stessa l’intenzione di abbandonare la relativa domanda.

3.1.- Anche questa censura non merita di essere accolta perchè – come ha rilevato la Corte territoriale – il comportamento complessivo del procuratore della parte, e, soprattutto, il modo specifico e dettagliato con cui ha precisato le conclusioni non potevano che lasciare presumere abbandonata o rinunciata la domanda relativa al riconoscimento degli interessi sulla somma dovuta in ragione dei suoi crediti nei confronti della madre.

3.2.- Non vi è dubbio – come ha affermato questa Corte in altra occasione (sent. 16 febbraio 2010) che la mancata proposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda in precedenza formulata non autorizza alcuna presunzione di rinuncia tacita in capo a chi originariamente l’ha proposta. Epperò tale principio non può essere mantenuto nell’ipotesi in cui – ed è il caso in esame – vi siano elementi chiari ed univoci di fatto desumibili dal complessivo comportamento processuale tenuto dal richiedente, che il correlativo interesse sia venuto meno.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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