Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14185 del 12/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 12/07/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 12/07/2016), n.14185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24485/2011 proposto da:

C.A., (c.f. (OMISSIS)), C.

M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA,

Via P.G. DA PALESTRINA 48, presso l’avvocato MANUELA MARIA

ZOCCALI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUCIANO MARIA

DELFINO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI REGGIO CALABRIA, in persona del Rettore

pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 120/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 11/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato ZOCCALI MANUELA, con delega,

che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A. e M. convennero in giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Reggio Calabria l’Università degli studi di Reggio Calabria e l’Istituto Promozionale per l’Edilizia (Ispredil) SpA, chiedendo la determinazione delle indennità di occupazione e di espropriazione, relativamente a terreni di loro proprietà, assoggettati a procedura espropriativa per la realizzazione del 1^ lotto della facoltà di Ingegneria e la sistemazione del (OMISSIS).

La Corte adita, ritenuta legittimata la sola Università committente, determinò l’indennità sul presupposto della natura edificatoria dei suoli, a prescindere dalla classificazione urbanistica, ma la decisione, su ricorso dell’espropriante, fu cassata da questa Corte, con sentenza n. 11695 del 2003, che affermato il principio della primazia dell’edificabilità legale su quella di fatto, della L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis, comma 3, ed esclusa la valutazione del vincolo concretamente apposto in vista dell’esproprio, demandò al giudice del rinvio di determinare le dovute indennità, sulla scorta del criterio dell’edificabilità legale, e previo accertamento della natura conformativa o espropriativa del vincolo di inedificabilità gravante sui terreni espropriati, in virtù della destinazione a zona F. La Corte di Messina, adita in riassunzione, con la sentenza indicata in epigrafe liquidò le indennità sulla scorta dei VAM, escludendo la natura edificatoria del fondo, espropriato con Decreto 20 gennaio 1996, destinato, in base al PRG adottato nel 1970 ed approvato nel 1983, a verde pubblico, viabilità di piano e fascia di rispetto stradale, e senza tener conto della successiva localizzazione dell’edificio universitario, intervenuta con delibera del 30.11.1987, approvata il 19.3.1990, e dell’inclusione dell’area in zona omogenea F, ritenuta a carattere espropriativo.

Per la cassazione della sentenza, hanno proposto ricorso C. A. e M. con tre motivi, ai quali l’Università degli Studi di Reggio Calabria ha replicato con controricorso. Le ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i motivi di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e vizio di motivazione, i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello ha errato nell’escludere la natura edificatoria dell’area, tenuto conto che: a) “la viabilità negli strumenti urbanistici a carattere generale… è dato assolutamente indicativo”; b) le destinazioni a verde pubblico e viabilità alla data di approvazione della variante (1990) erano venute meno per decadenza quinquennale della L. n. 1187 del 1968, ex art. 2, comma 1, sicchè l’area era divenuta “zona bianca”, e perciò edificabile; c) ad ogni modo, dopo la variante approvata con DPGR del 1990, prima dell’avvio del procedimento espropriativo, l’area era stata inclusa in zona F, con specifica destinazione a servizi che consentivano il perseguimento della finalità collettiva, anche, mediante iniziativa da parte di privati, pertanto, anche sotto questo profilo, l’area doveva considerarsi edificabile e tale era stata considerata dal parte della stessa Università in atti relativi ad appezzamenti vicini; d) per effetto delle sentenze della Corte Cost.

n. 348 e 349 del 2007 era dovuto un indennizzo pari al valore venale del suolo.

2. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione d’inammissibilità dei motivi, per mancata enunciazione dei quesiti, la cui formulazione non era dovuta, essendo la sentenza stata pubblicata l’11.3.2011, dopo l’abrogazione dell’art 366 bis cpc, intervenuta per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d, a decorrere dal 4.7.2009.

3. I motivi, da valutarsi congiuntamente, per comodità espositive, sono infondati i primi due e fondato il terzo.

4. Occorre premettere che, a seguito delle sentenze della Corte Cost.

n. 348 del 2007 e n. 181 del 2011 – intervenuta dopo la pubblicazione della sentenza impugnata – tutti i criteri riduttivi previsti della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, commi 1 e 2 e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6, sono stati dichiarati incostituzionali, sicchè il sistema indennitario risulta oggi agganciato al valore venale del bene, invocato col terzo motivo, e già previsto quale criterio base di indennizzo della L. n. 2359 del 1865, art. 39 (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014), ed ora sancito del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 1, come modificato della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90.

5. Tanto non comporta, tuttavia, che sia venuta meno, ai fini indennitari, la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in finzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare. E l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata – come già affermato in seno alla sentenza rescindente di questa Corte – in ragione di un unico criterio discretivo: quello dell’edificabilità legale, posto della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37. In base a tale criterio, un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti tale classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004;

10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001), e, per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009) e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass. n. 11503 del 2014; 665/2010; 400/2010; 21396/2009; 21095/2009; 17995/2009).

6. Come già affermato con la precedente sentenza n. 11695 del 2003 di questa Corte, ai fini dell’anzidetta ricognizione legale va tenuto conto del vincolo conformativo insistente nell’area, e non di quello espropriativo, dovendo, al riguardo, evidenziarsi che il vincolo d’inedificabilità impresso dagli strumenti urbanistici risulta privo in sè di molo discriminante nella summa divisio tra vincoli conformativi ed espropriativi, la cui individuazione va, invece, operata in relazione agli effetti dell’atto di pianificazione: ove esso miri ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, dunque, prescindersi nella qualificazione dell’area.

7. Resta da aggiungere che, la giurisprudenza di questa Corte (cfr.

funditus Cass. n. 3620 del 2016) e del Consiglio di Stato (Cons. Stato n. 1669 del 2015; n. 2118 del 2012), in conformità col principio enunciato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179/1999, ha affermato che fuoriescono dall’anzidetta dicotomia e comunque non appartengono sicuramente alla categoria dei vincoli espropriativi tutti quei vincoli che non si risolvono nemmeno in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo, al contrario, la realizzazione dei previsti interventi anche ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, e quindi senza necessità di previa espropriazione del bene (cfr. Corte Cost. n. 179 del 1999). In particolare, se le scelte di politica programmatoria ritengono opportuno che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnata da strumenti di convenzionamento, viene meno la stessa necessità di una futura (ma incerta) espropriazione onde realizzarli, con conseguente cessazione del pericolo di sostanziale ablazione dei suoli medesimi, per la permanenza del vincolo oltre limiti ragionevoli: ferma rimanendo, anche in tal caso, la destinazione pubblicistica della zona e quindi la natura inedificabile di tutte le aree in essa comprese (Cass. n. 3620 del 2016 cit. e giurisprudenza ivi richiamata).

8. Alla stregua di tali principi, non solo i vincoli ricadenti sui suoli in base all’originario PRG del 1983 avevano una destinazione non edificatoria (verde pubblico e viabilità) di natura conformativa (contrariamente a quanto opinano i ricorrenti, il vincolo di destinazione a strada di PRG deriva dalla legge urbanistica), sicchè in riferimento agli stessi non può predicarsi, come detto nel precedente paragrafo, la scadenza quinquennale, prevista dalle leggi urbanistiche solo relativamente a quelli preordinati all’esproprio, ed in conseguenza l’applicabilità del criterio relativo alle valutazione aree bianche; ma, e ciò è assorbente, la modifica del PRG di cui alla variante del 1990, cui va fatto riferimento, con la destinazione a zona F non è idonea a conferire l’auspicato carattere edificatorio al suolo, che resta, invece, oggettivamente inserito in una zona non edificatoria (rientrante nell’ambito di quelle che il D.M. 2 aprile 1968, art. 2, include fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”).

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la destinazione di aree ad edilizia scolastica e, a maggior ragione, ad edilizia universitaria – le cui finalità normalmente trascendono le singole zone del piano regolatore del comune, e lo stesso territorio comunale – configura un tipico vincolo conformativo, che determina il carattere di non edificabilità delle relative aree in quanto l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato. (Cass. n. 15616 del 2007; 12862 del 2010; n. 8231 del 2012; n. 14347 del 2012; n. 5247 del 2016).

9. L’impugnata sentenza, che ha determinato il dovuto in ragione dei VAM, dichiarati incostituzionali, va, tuttavia, cassata con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, che provvederà a determinare il dovuto, tenendo conto delle obbiettive caratteristiche dell’area in relazione alle possibilità di utilizzazioni intermedie tra l’agricola e l’edificatoria, che siano autorizzate dalla destinazione urbanistica dell’area stessa. Il giudice del rinvio liquiderà, inoltre, le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta i motivi primo e secondo, accoglie il terzo, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio ‘162016

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