Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14183 del 12/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 12/07/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 12/07/2016), n.14183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27403/2011 proposto da:

S.I.C.C.I. SUD IMPRESA COSTRUZIONI CIVILI ED INDUSTRIALI S.R.L.,

(P.I. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 87,

presso l’avvocato ALESSANDRA COLABUCCI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARIO REFFO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TOLMEZZO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso l’avvocato

ALESSIO PETRETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUNIO

PEDRAZZOLI, giusta procura a margine del controricorso;

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 6, presso l’avvocato BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati SUSANNA ERRERA, MARCO

MARPILLERO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 272/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 15/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

udito, per il controricorrente COMUNE, l’Avvocato PETRETTI ALESSIO,

con delega, che si riporta;

udito, per il controricorrente M., l’Avvocato MARCELLO

COLLEVECCHIO, con delega, che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Tolmezzo rigettò la domanda con cui la SICCI S.r.l. (Sud Impresa Costruzioni Civili e Industriali), premettendo di aver stipulato in data 22.6.1999 col Comune di quella Città l’appalto dei lavori di ampliamento e realizzazione della piscina comunale, aveva chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento del Committente oltre che la condanna al risarcimento dei danni, ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal Comune, condannò l’attrice al pagamento della somma di Euro 112.325,66, oltre interessi.

Avverso tale sentenza, resa nel contraddittorio del DL Ing. M. A., la Società propose appello innanzi alla Corte di Trieste, che, con la sentenza indicata in epigrafe, e per quanto ancora interessa, lo ritenne infondato, considerando che: a) anche a voler ritenere, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, che non andasse formulata alcuna riserva da parte dell’appaltatrice, gli inadempimenti dalla stessa contestati al committente costituivano mere irregolarità procedurali, che non avevano pregiudicato lo svolgimento del contratto, e che non valevano a fondare la domanda risolutoria; b) il credito del Comune oggetto della domanda riconvenzionale era stato correttamente quantificato dal CTU sulla base di quanto contenuto del verbale di consistenza redatto dal Comune e alla cui redazione l’appaltatrice non aveva partecipato per sua scelta, tenuto conto che la necessità delle preventive operazioni di collaudo era disposta del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 122, nell’ipotesi del recesso ad nutum della stazione appaltante, e non era pertinente nella specie, in cui si dibatteva del diverso caso della risoluzione per inadempimento.

Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso la Società appaltatrice con tre mezzi, ai quali il Comune ed il DL resistono con controricorso. Il M. ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione alla statuizione sub a) della narrativa, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonchè vizio di motivazione. Pur riconoscendo l’esistenza di addebiti mossi nei confronti del Comune (di cui all’atto dichiarativo notificato l’8.11.2000), e la mancata formulazione di riserve da parte della Direzione Lavori del Comune di Tolmezzo, la Corte d’Appello li ha giudicati mere irregolarità formali, in violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e della L. n. 2248 del 1865, all. F, peraltro sostituendosi alla DL ed alla stazione appaltante nella valutazione “questioni di rilevanza squisitamente tecnica”. 1.1. Il motivo presenta profili d’inammissibilità e d’infondatezza. Anzitutto, esso è generico: gli addebiti contenuti nell’atto dichiaratorio dell’8.11.2000, in tesi non valutati dalla Corte territoriale, non solo non sono stati trascritti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ma non ne è neppure stato riassunto il contenuto, facendosi, in sostanza, un diretto rinvio all’atto, il cui esame costituisce una tipica indagine rimessa al giudice del merito e preclusa a questa Corte di legittimità. 1.2.

Il richiamo alla disciplina delle riserve è totalmente infondato.

L’istituto della riserva costituisce, infatti, lo strumento con cui l’impresa può far valere (secondo le prescritte modalità, anche temporali, d’iscrizione, esplicazione e conferma all’atto della sottoscrizione del conto finale) pretese di compensi aggiuntivi rispetto al prezzo contrattuale originariamente convenuto, in dipendenza di situazioni insorte nel corso dell’esecuzione del contratto, sicchè non solo non viene in rilievo quando, come nella specie, si controverta della risoluzione del contratto per inadempimento (o, in generale, dell’invalidità del contratto o della sua estinzione), ma soprattutto non costituisce nè onere nè prerogativa della DL – sicchè l’addebito circa la relativa mancata iscrizione da parte di tale organo straordinario della stazione appaltante costituisce una contraddizione in termini, non essendo, all’evidenza, ipotizzabile il sorgere di un siffatto credito in capo alla committenza e tanto meno da sanzionare come inadempimento contrattuale, come erroneamente sostiene la ricorrente. 1.3. Resta da aggiungere che l’apprezzamento circa la sussistenza dell’inadempimento e circa la relativa gravità, in riferimento all’alterazione dell’equilibrio contrattuale, costituisce, proprio, il contenuto della valutazione del giudice del merito che sia stato adito per la declaratoria di risoluzione del contratto, compito che nella specie è stato assolto dalla Corte territoriale, con motivazione del tutto congrua, laddove ha evidenziato che gli addebiti mossi al Comune non costituivano veri e propri inadempimenti e comunque non avevano impedito lo svolgimento del rapporto contrattuale.

2. Col secondo motivo, si deduce, in riferimento alla statuizione sub b) della narrativa la “violazione della L. n. 109 del 1994, art. 122, comma 3)”. Le somme reclamate ex adverso, afferma la ricorrente, sono desunte da uno stato di consistenza e non da un regolare collaudo, come avrebbe imposto la disposizione violata, restando così travolti gli accertamenti e le risultanze dell’acquisita CTU. 2.1. Il motivo è inammissibile. La ricorrente non attinge, infatti, la ratio decidendi della sentenza, secondo cui, trattandosi di un caso di risoluzione per inadempimento, non viene in rilievo la previa necessità del collaudo, disposta, per la diversa ipotesi del recesso, dalla disposizione invocata (correttamente: del D.P.R. n. 544 del 1999, art. 122, comma 3, di approvazione della Legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109 del 1994); laddove il precedente art. 121, che disciplina il caso della risoluzione del contratto, prevede, proprio, la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti oltre che la redazione dell’inventario di materiali, macchine e mezzi d’opera che devono essere presi in consegna dal direttore dei lavori.

3. Le spese del giudizio vanno regolate in base al principio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori, in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2016

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