Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14180 del 12/06/2010

Cassazione civile sez. II, 12/06/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 12/06/2010), n.14180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24735-2007 proposto da:

R.M.P., elettivamente domiciliata, in Napoli, via

Mergellina 1/B, presso lo studio dell’avvocato CARRARO Luigi, che la

rappresentata e difende, come da procura speciale notarile in data 15

febbraio 2010 in atti;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO A.P., in persona del curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 88, presso lo studio

RECCHIA & ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato

INFANTE

GIUSEPPE, come da procura speciale a margine del controricorso ;

– controricorrente –

e contro

B.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2527/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/07/2007;

– udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/02/2010 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

– udito l’Avvocato Carraro Luigi per la ricorrente, che, in relazione

all’art. 366 bis c.p.c. ne denuncia l’incostituzionalità in

relazione agli artt. 2 e 24 Cost.;

– udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo che nulla osserva.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Parte ricorrente, R.M.P., impugna la sentenza n. 2527/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/07/2007, che rigettava il suo appello avverso la sentenza n. 451 del 2003 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che accoglieva la domanda della ditta individuale A.P., dichiarando la risoluzione del preliminare di vendita stipulato il (OMISSIS) per grave inadempimento dell’odierna ricorrente, condannandola al risarcimento dei danni.

2. – Resiste con controricorso la parte intimata.

3. – La parte ricorrente articola due motivi di ricorso, ciascuno per violazione di legge e vizio di motivazione.

4. – Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il consigliere relatore delegato ha depositato relazione con la quale ritiene che il ricorso possa essere dichiarato inammissibile per mancanza o inidoneità dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c.. La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

5. All’udienza camerale il difensore della ricorrente, nel riportarsi al ricorso, ha dedotto l’incostituzionalità dell’art. 366-bis c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

6. Il ricorso va dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 366-bis c.p.c..

Infatti, il ricorso, tenuto conto delle sopra indicate date di pronunzia e pubblicazione della sentenza impugnata, è soggetto “ratione temporis” (vedi D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 7) alle nuove disposizioni regolanti il processo di cassazione, tra cui segnatamente per quel che rileva, l’art. 366 bis c.p.c (inserito dall’art. 6 citato D.Lgs.) a termini del quale nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo “si deve concludere a pena di inammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto” e nel caso di cui al n. 5 con la “chiara indicazione del fatto controverso”.

L’impugnazione in esame, pur deducendo nei motivi cui è affidata, violazione e falsa applicazione di norme processuali e sostanziali non contiene la formulazione di alcun quesito di diritto, che deve essere esplicita, non potendosi essa ricavare dal contesto del mezzo di impugnazione (Cass. SU 2007 n. 7258).

In linea generale deve evidenziarsi che costituisce un dato ormai ampiamente recepito nella giurisprudenza della S.C. che la previsione dell’indispensabilità, a pena di inammissibilità, della individuazione dei quesiti di diritto e dell’enucleazione della chiara indicazione del “fatto controverso” per i vizi di motivazione imposti dal nuovo art. 366 bis cod. proc. civ., secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità, risponde all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della controversia diversa da quella cui è pervenuta il provvedimento impugnato, e, nel contempo, con più ampia valenza, di estrapolare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione (costituente l”‘asse portante” della legge delega presupposto dal D.Lgs. n. 40 del 2006), il principio di diritto applicabile alla fattispecie. Pertanto, il quesito di diritto integra il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi inammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità (in questi termini v., ex multis, S.U. sent. nn. 14385/2007; 22640/2007, 3519/2008, 11535/2008, S.U., n. 26020/2008 e ordinanza, sez. 1, n. 20409/2008). Quanto ai requisiti ed alle caratteristiche del quesito, che deve necessariamente essere presente nel ricorso con riferimento a ciascun motivo (Cass. SU 2007 n. 36), ulteriormente è stato precisato che il quesito deve essere: a) esplicito (SU 2007 n. 7258;

SU 2007 n. 23732; SU 2008 n. 4646) e non implicito; b) specifico, e cioè riferibile alla fattispecie e non generico (SU 2007 n. 36, SU 2008 n. 6420 e 8466); c) conferente, attinente cioè al decisum impugnato e rilevante rispetto all’impugnazione (SU 2007 n. 14235).

In sintesi il principio di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Da ciò discende che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto, od, infine, sia formulato in modo del tutto generico.

Quanto alla formulazione dei motivi nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (che svolge l’omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (v. S.U. sent. n. 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della sez. 3 n. 4646/2008 e n. 16558/2008, nonchè le sentenze delle S.U. nn. 25117/2008 e n. 26014/2008). Il relativo requisito deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata. Non soddisfa quindi tale requisito il motivo nel quale sia possibile individuare un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, soltanto all’esito della completa lettura della illustrazione e dell’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una specifica indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis c.p.c., (ord., sez. 3, n. 16002/2007; ord., sez. 3, nn. 4309/2008, 4311/2008 e 8897/2008, cit., nonchè sent. S.U. n. 11652/2008). La appropriata formulazione del motivo richiede, quindi, che l’illustrazione venga corredata da una sintetica esposizione del fatto controverso, degli elementi di prova valutati in modo illogico o illogicamente trascurati, nonchè del percorso logico in base al quale si sarebbe dovuti pervenire, se l’errore non vi fosse stato, ad un accertamento di fatto diverso da quello posto a fondamento della decisione (v., da ultimo, ord., sez. 3, n. 16567/2008).

Il ricorso non risponde agli indicati requisiti.

Quanto alle carenze o ai vizi della motivazione, pur dedotti nell’intestazione dei motivi, i mezzi impugnazione non vanno al di là della mera doglianza assertiva, non specificando in particolare quali fossero stati i fatti controversi non adeguatamente considerati o accertati dai giudici del merito. Si risolvono in palesi censure in fatto, dirette a prospettare una diversa valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella fornita dai giudici del merito.

E ciò a fronte di un apparato argomentativo della sentenza, che ha dato conto degli elementi riscontrati e che non presenta alcuna deficienza o illogicità.

7. Quanto, infine, al dedotto profilo di incostituzionalità dell’art. 366 bis c.p.c., illustrato all’udienza camerale dal difensore della ricorrente, occorre rilevarne l’inammissibilità e comunque l’infondatezza.

7.1 – Inammissibilità non potendosi formulare ulteriori motivi ed essendo comunque il motivo privo del relativo quesito. Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare (cfr. ordinanza n. 17246/2008 e ordinanza n. 22390/2008) che il ricorso per cassazione privo della formulazione dei quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. non può essere successivamente integrato, ancorchè non sia scaduto il termine per l’impugnazione, ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione con la presentazione del primo ricorso.

7.2 – Infondato per aver questa Corte, con l’ordinanza n. 2652/2008, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità, non avendo ritenuto configurabile una violazione del diritto di difesa, tenuto conto che il requisito di contenuto-forma (consistente nel ridurre a sintesi il complesso degli argomenti critici sviluppati nell’illustrazione del motivo) costituisce un mezzo di esercizio di detto diritto nell’ambito di un giudizio di impugnazione concepito primariamente come mezzo di verifica della legittimità della decisione, sicchè il requisito medesimo si accorda intrinsecamente con lo scopo e la funzione del giudizio per il quale è stato imposto come onere a carico della parte ricorrente. Nè ricorre violazione dell’art. 3 Cost. in relazione a diverse regolamentazioni al tempo di situazioni identiche, rientrando ciò nella discrezionalità del legislatore.

8. – Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.

9. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 3.000,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2010

 

 

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