Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14179 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017, (ud. 08/02/2017, dep.07/06/2017),  n. 14179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14912-2014 proposto da:

D.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO

MORRICO, rappresentato e difeso dagli avvocati LIBERATO FRANCESCO DE

FALCO, ROBERTO MORANTE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

NCC S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, già NCC SYNEUROPE S.P.A. P.I. (OMISSIS),

in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PIEMONTE 39, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

GIOVANNETTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALBERTO GENTILE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8340/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/01/2014 R.G.N. 3573/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LIBERATO FRANCESCO DE FALCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 13 gennaio 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da D.P.A. volto a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato il 22 aprile 2010 dalla NCC Srl in liquidazione per giustificato motivo oggettivo.

La Corte territoriale – in sintesi – ha ritenuto che la motivazione del recesso era da ricercarsi in “una politica di contenimento dei costi in presenza di crisi di mercato” che aveva determinato, con riguardo alle attività non strettamente connesse al core business aziendale, l’effettiva soppressione della figura del “responsabile di elaborazione e realizzazione progetti per l’acquisizione di finanziamenti pubblici e istituzionali in ambito italiano e/o europeo con particolare riferimento agli aspetti della formazione”; ha accertato che le mansioni prevalenti del D.P. erano state in parte esternalizzate ed in parte redistribuite tra il personale già in forze.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.P.A. con sette motivi. Ha resistito la società con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966 e della L. n. 223 del 1991 nonchè “omessa e insufficiente motivazione”, con “violazione e/o elusione dell’onere della prova”, per avere la Corte territoriale “omesso di valutare l’effettiva e oggettiva sussistenza delle ragioni di crisi e/o di ristrutturazione aziendale”; si lamenta che “i giudici di primo e di secondo grado hanno ritenuto sussistenti i presupposti di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 3fondando il loro convincimento su meri indizi quali le risultanze istruttorie delle prove testimoniali e documenti del tutto lacunosi come versati in atti dalla resistente”.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Parte ricorrente trascura di considerare che, risultando la sentenza della Corte territoriale depositata in data 13 gennaio 2014, si applica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il punto n. 5), nella versione di testo introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, la quale consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite: v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici) hanno statuito su tale norma: a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) La parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Poichè il motivo in esame risulta irrispettoso di tali enunciati, anche laddove solo formalmente denuncia violazione di norme di diritto, traducendosi nella sostanza in un diverso convincimento rispetto a quello espresso dai giudici del merito nella valutazione del materiale probatorio, lo stesso deve essere disatteso, anche perchè si riferisce, attraverso la censura di “insufficienza” della motivazione alla formulazione del previgente testo del n. 5) dell’art. 360 e non considera che quello novellato non consente più un tale sindacato di legittimità.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 124 del CCNL per i dipendenti di aziende del terziario, distribuzione e servizi.

La censura è inammissibile in quanto non viene riportato il contenuto della disciplina contrattuale di cui si lamenta l’errata interpretazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 25728 del 2013; Cass. n. 21473 del 2013; Cass. n. 13587 del 2010).

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 ed “omessa motivazione” da parte della Corte territoriale “in merito al deposito dei bilanci in sede di decisione durante il processo di primo grado”.

Anche tale doglianza non ha pregio perchè, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il giudice del merito non è tenuto a motivare su tutto il materiale probatorio acquisito – o non acquisito – al giudizio, essendo sufficiente che abbia argomentato il suo convincimento e ne abbia indicato le fonti; invero il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva al giudice del merito e non è necessario che prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti.

4. Con il quarto motivo si lamenta “insufficiente e/o omessa motivazione” sull’obbligo di repechage. Si critica la sentenza impugnata perchè “del tutto sfornita di adeguato e/o comunque idoneo supporto probatorio”. Si sostiene che “nè l’istruttoria espletata ha fornito elementi idonei tali da giudicare non violato l’obbligo di repechage gravante sul datore di lavoro”.

Anche tale motivo investe pienamente una quaestio facti, che viene mal censurata per le stesse ragioni esposte al precedente punto 1., sicchè risulta palesemente inammissibile.

5. Con il quinto mezzo si lamenta “motivazione contraddittoria e generica” circa la violazione dell’obbligo di repechage in ordine ad una asserita “interposizione fittizia di manodopera”.

La censura, oltre ad essere inammissibilmente formulata secondo la previgente versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inconferente rispetto al decisum, in quanto la Corte di Appello si è limitata a dichiarare inammissibile la questione “per la assoluta novità” e tale assunto processuale non è in alcun modo attinto dal motivo in esame.

6. Il sesto motivo denuncia “omessa motivazione sulla richiesta di accoglimento del provvedimento di cui al capo a) delle conclusioni di cui al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado” riguardo la richiesta di pagamento della retribuzione per il periodo dal 23.7.2010 al 13.8.2010.

La doglianza è infondata perchè la Corte territoriale ha motivato sul punto, assumendo che il lavoratore ha “ricevuto tutto quanto dovutogli”, e tale accertamento di fatto non è sindacabile in questa sede di legittimità.

7. Con il settimo motivo si sostiene testualmente la “fondatezza dell’azione risarcitoria”, stante “l’infondatezza e la illegittimità del licenziamento”.

La censura è evidentemente inammissibile perchè si fonda su di un presupposto – l’illegittimità del licenziamento – escluso dalla Corte territoriale con pronuncia che ha superato il vaglio di legittimità.

8. Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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