Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14178 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. II, 27/06/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 27/06/2011), n.14178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V., rappresentato e difeso, per procura in calce al

ricorso, dall’Avvocato DAMIANI Domenico, elettivamente domiciliato in

Roma, via Collina n. 36, presso lo studio dell’Avvocato Jacono;

– ricorrente –

contro

B.F., S.G., rappresentati e difesi, per

procura a margine del controricorso, dall’Avvocato BONACCORSO

Salvatore, elettivamente domiciliati in Roma, piazza Sallustio n. 9,

presso lo studio dell’Avvocato Bartolo Spallina;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 652 del 2005,

depositata in data 18 maggio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 19 ottobre 1998, M.V. assumendo di essere proprietario di un fondo rustico sito in Palermo e di essere titolare del diritto ad ore 3 e minuti trenta di acqua proveniente dalla sorgente Santa Domenica per i giorni 12 e 13, nonchè della servitù di attingimento di tale acqua da due vasche di raccolta site nel fondo di S.G., gravato altresì da servitù di passaggio pedonale finalizzata a detto attingimento di acqua, lamentava che il S. aveva apposto nel proprio terreno un cancello chiuso con catena e lucchetto che gli impediva l’esercizio dei menzionati diritti. Conveniva, pertanto, il S. al fine di ottenere il ripristino dello stato dei luoghi.

Il S. si costituiva e contestava la domanda asserendo che il cancello era stato apposto dal precedente proprietario D.G. A., che però lo aveva lasciato sempre aperto; precisava altresì di essere subentrato nel predetto possesso nel 1997 e di non avere apportato alcuna modifica allo stato dei luoghi. Asseriva, infine, che catena e lucchetto erano stati apposti da B. F..

Quest’ultima veniva quindi chiamata in causa e, nel costituirsi, sosteneva di avere chiuso, nel 1990, il cancello pedonale nei mesi invernali per impedire l’accesso di malintenzionati alla propria casa, senza che ciò, tuttavia, avesse leso il diritto del M., il quale poteva attingere l’acqua da una presa situata sulla via pubblica, mentre l’attingimento dalle vasche avveniva solo nei mesi estivi, nei quali il cancello era aperto.

L’adito Tribunale di Palermo, condannava la B. a consegnare al M. copia delle chiavi del lucchetto.

Avverso questa sentenza proponeva appello la B., eccependo che il M. non aveva provato che l’accesso gli era stato impedito da settembre 1998 a luglio 1999, e contestando che la propria condotta comportasse uno spoglio.

Si costituivano il M. e il S.; quest’ultimo, in via incidentale, chiedeva la condanna del M. alle spese del giudizio di primo grado.

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 18 maggio 2005, accoglieva entrambi i gravami.

Con riferimento all’appello principale, la Corte territoriale rilevava che la servitù principale goduta dal M. era quella di attingimento dell’acqua dalla vasca sita nel fondo di S. G. e di conduzione dell’acqua stessa sul proprio terreno mediante condutture, sicchè la servitù di passaggio sul fondo del S. era strumentale alla prima, costituiva, cioè, un accessorio della servitù di attingimento. La Corte rilevava quindi che il M. non aveva fornito alcuna prova in ordine alle modalità di esercizio di tale servitù di passaggio in funzione della servitù principale, e cioè se il passaggio era stato esercitato sia in estate sia in inverno, in quanto la servitù di presa d’acqua e di acquedotto era esercitatile durante l’anno solare;

se il passaggio era avvenuto giornalmente o solo alcune volte a settimana o al mese, ovvero ancora se il passaggio era stato esercitato solo nei mesi invernali, nè l’epoca alla quale risaliva il detto passaggio. Profilo, quest’ultimo, assai rilevante in quanto, posto che nel comportamento della B. si poteva ravvisare una molestia, e non anche uno spoglio ai danni della facoltà accessoria rispetto alla servitù principale, il M. avrebbe dovuto dimostrare sia che il possesso aveva avuto durata superiore a un anno, sia che la perpetrata molestia aveva effettivamente inciso sul contenuto essenziale della servitù. Sul punto, il M. nessuna prova aveva fornito, con conseguente accoglimento della domanda principale.

Quanto all’appello del S., la Corte rilevava che la domanda proposta nei suoi confronti dal M. era stata rigettata, essendo il primo risultato estraneo al lamentato spoglio, sicchè, in applicazione del principio della soccombenza, il M. avrebbe dovuto essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.

Per la cassazione di questa sentenza M.V. ha proposto ricorso sulla base di un unico articolato motivo; hanno resistito, con controricorso, B.F. e S.G., i quali hanno altresì depositato memoria in prossimità dell’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, M.V. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Premesso di essere comproprietario delle vasche rispetto alle quali esisteva il diritto di attingimento, per esercitare il quale sussisteva la servitù di passaggio sul fondo di improprietà del S., il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la servitù di passaggio costituisse un accessorio della servitù principale di attingimento dell’acqua dalle vasche ubicate sul fondo del S.. Il diritto di passaggio era piuttosto correlato al diritto di proprietà delle vasche e quindi agli eventuali e ulteriori profili della manutenzione. La Corte territoriale, dunque, avrebbe errato nel qualificare come di manutenzione la domanda di reintegrazione proposta da esso ricorrente, con conseguente irrilevanza della prova dell’ultrannalità del possesso. Così come dovevano ritenersi irrilevanti le considerazioni svolte dalla Corte d’appello con riferimento alle modalità e ai tempi di esercizio della servitù di passaggio, atteso che tale servitù veniva esercitata con le modalità previste nel titolo di proprietà delle vasche.

Quanto al capo di sentenza di accoglimento dell’appello incidentale del S., il ricorrente rileva che qust’ultimo si era ben guardato prima dell’inizio della lite dal comunicare che il cancello era stato collocato da altri. E tale comportamento, come quello processuale, era stato valutato dal Tribunale che aveva compensato le spese nel rapporto con il S..

Il ricorso è fondato nei sensi di seguito precisati.

La Corte d’appello ha, invero, con motivazione del tutto insufficiente, ritenuto che la servitù di passaggio, in quanto strumentale all’esercizio della servitù di acquedotto, costituisse un adminiculum servitutis e che, per effetto di tale qualificazione, le attività poste in essere dalla B. dovessero essere considerate alla stregua di una mera molestia, suscettibile di essere contrastata con l’azione di manutenzione, con la conseguenza della necessità della prova che il possesso durasse da oltre un anno.

Tale conclusione non può essere condivisa. Questa Corte ha infatti avuto modo di affermare che se è vero che il divieto imposto al proprietario del fondo servente di compiere atti diretti a diminuire la utilitas di quello dominante non fa venir meno i poteri dominicali e, in particolare, la facoltà di recintare il fondo servente, nondimeno la recinzione deve essere effettuata in modo che il diritto del proprietario del fondo dominante (e quello del possessore) non vengano nè limitati nè impediti, giusta quanto espressamente dispone l’art. 1064 cod. civ., comma 2; che, inoltre, la servitù di acquedotto comprende la facoltà (quale adminiculum servitutis) di accedere al fondo servente e di passare lungo i canali e le tubazioni dell’acqua, al fine di controllarne lo stato, operare i necessari spurghi o procedere alle riparazioni occorrenti ed indispensabili per il conseguimento dell’utilità in cui essa si sostanzia; che, pertanto, pur conservando il proprietario del fondo servente la facoltà di recintare il proprio fondo, tale recinzione deve essere effettuata in modo che il diritto del proprietario del fondo dominante, come quello del possessore, non ne risulti impedito o limitato (art. 1064 cod. civ.), derivandone diversamente spoglio o turbativa del possesso, contro i quali è data la tutela prevista dagli artt. 1168 e 1170 cod. civ. (Cass. n. 1497 del 1994).

La Corte d’appello avrebbe quindi dovuto illustrare le ragioni per le quali la chiusura dell’accesso alle vasche di attingi mento dell’acqua costituisse mera molestia del possesso della servitù di passaggio e non anche spoglio di detto possesso. Le osservazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alla prova delle modalità di esercizio del passaggio, del resto, più che evidenziare una mancanza di prova del possesso della servitù di passaggio, appaiono piuttosto strumentali alla affermata qualificazione della chiusura del cancello in termini di molestia al possesso della servitù di acquedotto piuttosto che alla esclusione del detto passaggio, sicchè non appaiono idonee a fondare il rigetto della domanda di reintegrazione.

Con riferimento al rapporto tra il M. e la B., dunque, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata nella parte ad esso relativa.

Quanto alla statuizione della sentenza impugnata relativa al rapporto tra il ricorrente e S.G., deve innanzitutto rilevarsi la inammissibilità della censura con la quale il ricorrente introduce in questa sede la questione della responsabilità del S., quale litisconsorte necessario nella condotta della B., per il fatto di avere avuto la disponibilità delle chiavi del cancello. Il mancato accoglimento, da parte del giudice di primo grado, dell’azione possessoria originariamente proposta dal M. nei confronti del S., non ha formato oggetto di impugnazione in appello da parte del M., sicchè sulla statuizione si è formato il giudicato interno, con conseguente inammissibilità della censura che detto giudicato intenderebbe travolgere.

Per quanto attiene poi al regime delle spese, deve rilevarsi che la posizione del ricorrente nei confronti del S., evocato in giudizio con azione possessoria, accolta in primo grado nei confronti di altro soggetto (la B.), era di soccombenza e che tale soccombenza la Corte d’appello ha accertato accogliendo il motivo di gravame incidentale, con il quale, appunto, si deduceva la insussistenza di ragioni derogatorie al principio della soccombenza.

In conclusione, va accolto il ricorso limitatamente alle statuizioni inerenti al rigetto della domanda possessoria nei confronti di B. F., mentre va rigettato quanto alle statuizioni concernenti l’accoglimento dell’appello incidentale proposto da S. G..

La sentenza impugnata va quindi cassata, in parte qua, con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, alla quale va demandata la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Il ricorrente va invece condannato al pagamento delle spese del giudizio, nella misura liquidata in dispositivo, nei confronti di S.G..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione di rigetto della domanda possessoria proposta da M.V. nei confronti di B.F., e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo;

rigetta il ricorso proposto nei confronti di S.G.;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore di quest’ultimo, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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