Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14178 del 12/07/2016


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Cassazione civile sez. I, 12/07/2016, (ud. 11/01/2016, dep. 12/07/2016), n.14178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI ALTAVILLA IRPINA, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Leone XIII, n. 464, nello studio dell’avv. Sergio Oliosi;

rappresentato e difeso dall’avv. Mario Camerlengo, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P., M.M., elettivamente domiciliati in

Roma, Via XX Settembre, n. 3, nello studio dell’avv. Michele

Sandulli; rappresentati e difesi dall’avv. Francesco S. Del Forno,

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

B.I., D.R.M.R.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 3993,

depositata in data 28 novembre 2008;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica dell’11 gennaio 2016

dal consigliere dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott.ssa SOLDI Anna Maria, la quale ha concluso per l’accoglimento

p.q.r. del primo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha pronunciato in sede di rinvio disposto da questa suprema Corte con sentenza n. 14018 del 2000, con la quale era stata cassata una precedente decisione della stessa corte distrettuale, in relazione al motivo accolto, fondato sulla necessità di accertare la natura edificabile o meno di alcuni terreni, appartenenti ai signori M.L. e M.S. (quest’ultimo deceduto nel corso del giudizio con subentro degli eredi indicati in epigrafe), ed occupati ed irreversibilmente trasformati ad opera del Comune di Altavilla Irpina. La corte partenopea ha premesso che i limiti del giudizio di rinvio erano contrassegnati dalla “natura chiusa” dello stesso, con esclusione, quindi, dell’esame di nuove domande o accertamenti che non dipendessero dalle statuizioni della decisione della Corte di cassazione.

Sotto tale profilo ha richiamato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio effettuata per accertare – in base alla statuizione contenuta nella sentenza che aveva disposto il giudizio di rinvio –

la natura dei fondi in base agli strumenti urbanistici vigenti al momento della loro irreversibile trasformazione, precisando che, dovendo per altro rispettare il divieto di reformatio in peius, in quanto la sentenza di primo grado era stata appellata dalla sola amministrazione comunale, era in ogni caso applicabile lo ius superveniens costituito dall’abrogazione, per illegittimità costituzionale, dei criteri riduttivi di cui della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

1.1 – Per quanto in questa sede maggiormente rileva, la corte distrettuale ha ribadito la natura edificatoria del fondo di mq 530 già appartenuto a M.L., ricadente in zona C1, in relazione al quale il Comune aveva contestato unicamente il valore di mercato ad esso attribuito, mentre ha affermato la natura agricola delle aree di mq 3006 e 822, appartenenti a M.L., nonchè di mq 2256, mq 1268, destinata a istruzione e servizi, e mq 732, ricomprese nei fondi di M.S..

1.2 – Quanto all’area edificabile, è stato giudicato congruo il valore unitario, già attribuito alla stessa, di Lire 70.000 al mq, mentre è stato determinato in Lire 15.000 al mq il valore di mercato delle aree agricole ricadenti in zona E; infine, quanto al lotto destinato ad istruzione, pur escludendosi la sua edificabilità, si è osservato che il valore di mercato attribuitogli dal consulente tecnico d’ufficio, pari ad Euro 40.000 al mq, appariva congruo “in considerazione della sua specifica destinazione”.

1.3 – Si è quindi determinata in Lire 94.520.000, pari ad Euro 48.815,50, la somma complessivamente spettante a M.L. e in Lire 95.540.000, pari ad Euro 49.342,29, quella di pertinenza degli eredi di M.S., precisandosi che tali importi, pur tenendo conto della rivalutazione monetaria, non superavano quelli complessivamente attribuiti dalla sentenza di primo grado.

1.4 – Si è infine osservato che la rideterminazione dei valori delle aree ablate comportava la riliquidazione dell’indennità di occupazione legittima, da determinarsi sulla base degli interessi legali sui rispettivi importi di Euro 48.815,50 ed Euro 49.342,29.

1.5 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Altavilla Irpina propone ricorso, affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso, illustrato da memoria, i signori M.P. e M.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 – Con il primo motivo, deducendosi violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 383, 392 e 394 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si sostiene che la corte distrettuale avrebbe erroneamente liquidato l’indennità di occupazione legittima, nonostante la formazione al riguardo di cosa giudicata.

2.1 – La censura è fondata.

Deve preliminarmente rilevarsi che in relazione alla denuncia del vizio di natura motivazionale non risulta formulato il c.d. momento di sintesi, ragione per cui la stessa è inammissibile, anche perchè non è predicabile la denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine a una questione di natura procedurale, in relazione alla quale, essendo questa Corte giudice del fatto, inteso in senso procedurale, la sussistenza o meno della violazione può essere accertata indipendentemente dalla motivazione resa dal giudice del merito.

2.2 – L’altro profilo della censura, corredato di idoneo quesito di diritto, ed inerente alla violazione del giudicato interno, nonchè al travalicamento dei limiti inerenti al giudizio di rinvio, merita piena condivisione.

Vale bene richiamare, infatti, il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui le domande dirette, rispettivamente, alla determinazione delle indennità di occupazione e di espropriazione sono del tutto autonome ed indipendenti l’una dall’altra, fondandosi su di un diverso “petitum” e su diversa “causa petendi”, con la conseguenza che la domanda diretta alla determinazione dell’indennità di occupazione, non potendo ritenersi implicita in quella avente ad oggetto l’indennità di espropriazione, deve essere tempestivamente formulata, in via autonoma, con l’atto introduttivo del giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, a pena di inammissibilità in caso di successiva presentazione in corso di giudizio (Cass., 6 luglio 1999, n. 6960;

Cass., 3 ottobre 2000, n. 13076). E’ stato altresì precisato che l’indennità di occupazione non può considerarsi automaticamente “implicita” in quella di espropriazione, per il solo fatto che è determinabile in base ad una sua frazione (Cass., 30 settembre 2004, n. 19632; Cass., 28 luglio 2006, n. 17245; Cass., 29 aprile 2010, n. 10292).

2.3 – Nella decisione di questa Corte n. 14018 del 2000 si dà atto che il ricorso proposto dal Comune di Altavilla riguardava, da un lato, la durata (senza che venisse contestata l’entità della relativa indennità) dell’occupazione legittima e, dall’altro, la determinazione del valore dei fondi espropriati, in relazione alla pretesa risarcitoria avanzata dai proprietari dei terreni.

Quanto all’indennità di occupazione, questa Corte, nella richiamata decisione n. 14018 del 2000, premesso che il Comune non aveva impugnato, con specifico motivo di appello, la statuizione del Tribunale di Avellino relativa al riconoscimento del diritto degli attori alla corresponsione dell’indennità di occupazione legittima, ha affermato che “le relative statuizioni sono passate in giudicato, talchè in questa sede è precluso ogni accertamento in ordine al diritto dei controricorrenti alla percezione dell’indennità di occupazione legittima ed al conseguente obbligo di pagamento della indennità stessa da parte del Comune”.

Di tale circostanza, in realtà, sembra dare atto la stessa Corte di appello, allorchè afferma che “corollario della rideterminazione dei valori delle aree ablate è la riliquidazione dell’indennità di occupazione legittima, relativa al periodo (coperto da giudicato) individuato nella sentenza n. 1642/98”.

In tale modo, poichè, per le ragioni sopra esposte, l’indennità di occupazione non è, secondo la terminologia della Corte di appello, un “corollario” di quella di espropriazione, la sentenza impugnata ha violato il giudicato formatosi sul punto, essendo del resto pacifico che lo “ius superveniens”, con riferimento all’abrogazione dei criteri riduttivi di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, incontra il limite costituito dal divieto di “reformatio in peius”.

Invero il principio dell’applicabilità dello ius superveniens in ordine ai rapporti non esauriti va bilanciato con il divieto di reformatio in peius, alla stregua del quale il giudice dell’impugnazione, confermando la sentenza impugnata, può, infatti, senza violare il principio dispositivo, anche d’ufficio correggerne, modificarne ed integrarne la motivazione, purchè la modifica non concerna statuizioni adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate dalla parte interessata. Ed invero i suoi poteri vanno determinati con esclusivo riferimento all’iniziativa delle parti, con la conseguenza che, in assenza d’impugnazione (appello o ricorso incidentale) della parte parzialmente vittoriosa, la decisione non può essere più sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata, e non può dare luogo alla “reformatio in peius” in danno del primo (Cass., n. 21867 del 2011, Cass., n. 15835 del 2010; Cass., n. 10542 del 2002 e n. 9597 del 1998).

3 – Per ragioni specularmente opposte va rigettato il secondo motivo, con il quale, deducendo violazione degli artt. 324 e 394 c.p.c. e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, si sostiene che, non essendo contestata la natura edificabile dell’area di mq 530 appartenente a M.L., l’indennità avrebbe dovuto essere determinata sulla base dei criteri riduttivi di cui della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Ed invero oggetto del giudizio di rinvio, come si desume chiaramente dal tenore della sentenza di questa Corte n. 14018 del 2000, era l’individuazione della natura di tutte le aree, compresa quella in questione, e, quindi, la determinazione del relativo valore di mercato. Non essendosi verificato il c.d. esaurimento del rapporto, la corte territoriale ha correttamente rideterminato il valore del terreno prescindendo dagli ormai abrogati criteri riduttivi.

4 – Con il terzo mezzo, articolato in due distinti profili, per i quali risultano formulati i rispettivi quesiti di diritto, si afferma che erroneamente al terreno esteso per mq 1268, appartenente agli eredi di M.S., sarebbe stata attribuita natura edificabile; in ogni caso, la determinazione del relativo valore di mercato sarebbe stata effettuata in maniera incongruamente eccessiva.

Tale censura è in parte inammissibile, ed in parte infondata in relazione a tutti i profili dedotti.

4.1 – La corte territoriale ha dato atto delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio effettuata nel corso del giudizio di rinvio, e, contrariamente a quanto accertato dal proprio ausiliario, ha affermato che “agricola deve essere considerata anche l’area di mq 1268, ricompresa nel fondo di M.S., urbanisticamente destinata ad istruzione e servizi. E ciò difformemente dalle indicazioni (peraltro di natura giuridica, debordanti, come tali, dai compiti propri dell’officiato ausiliare tecnico) espresse nell’elaborato peritale”.

4.2 – La censura, per come prospettata, non si sottrae a un giudizio di inammissibilità, soprattutto perchè, sostenendosi la natura agricola del terreno appartenente agli eredi di M.S., si sottopone a revisione critica la valutazione operata dal consulente tecnico d’ufficio, ma non si coglie la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che tale valutazione ha motivatamente disatteso.

4.3 – Nel caso in esame, poi, in relazione alla determinazione del valore di mercato di detta area, la Corte di appello ha reso una motivazione congrua, rilevando che “la natura agricola (o per meglio dire equiparata all’agricola) di detta area e, quindi, la riconosciuta inedificabilità “ex lege” con conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comporta che i suoli che tale qualifica non posseggano debbano essere necessariamente valutati – ai fini del ristoro del danno da occupazione appropriativa – in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita nei soli giudizi di opposizione a stima dell’indennità di espropriazione. Ne consegue che, tenuto conto delle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini il valore “agricolo” del terreno, all’interno della categoria dei suoli inedificabili, può ritenersi mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene (quale l’asservimento a strutture scolastiche, ad es.) ugualmente compatibile con l’accertata inedificabilità”.

Sulla base di tali considerazioni, che non risultano specificamente contestate e che, in un certo senso, recependo la giurisprudenza di questa Corte, anticipano, nell’ambito del giudizio di natura risarcitoria, il criterio generale poi risultante dalla nota decisione n. 181 del 2011 del Giudice delle leggi, la corte distrettuale ha aderito, ritenendola congrua, alla stima operata dal consulente tecnico d’ufficio, ribadendo che “la non edificatorietà ex lege non esclude, comunque, un elevato valore di scambio in considerazione della specifica destinazione del predio”.

4.4 – La congruità di tale motivazione rende, nel resto, la censura inammissibile, sia perchè attinge valutazioni riservate al giudice del merito, sia perchè le critiche alle scelte effettuate dal consulente tecnico d’ufficio, così come recepite nella decisione impugnata, per poter incidere sulla motivazione di quest’ultima, non possono risolversi nella proposizione, per la prima volta in questa sede, di censure attinenti alle valutazioni compiute dall’esperto e condivise dal giudice del merito. Con orientamento costante, questa Corte ha affermato il principio secondo cui non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione, è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice “a quo”, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078). Nel caso in esame non risultano proposte davanti al giudice del merito, nel senso che, in ottemperanza al principio di autosufficienza, non sono state richiamate nel ricorso, le argomentazioni eventualmente svolte davanti alla Corte di appello circa le valutazioni operate dal consulente tecnico d’ufficio, con particolare riferimento al criterio per determinare il valore del terreno ritenuto non edificabile, le quali, pertanto, anzichè concretare specifiche censure alla motivazione della decisione impugnata, si risolvono in inammissibili questioni attinenti al merito.

5 – La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata limitatamente al motivo accolto. Ricorrono per altro i presupposti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, per decidere la causa nel merito, nel senso che l’indennità di occupazione legittima rimane fissata nei termini stabiliti nella sentenza di primo grado.

6 – Il parziale accoglimento del ricorso e l’alternanza degli esiti dei giudizi consigliano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, che rigetta nel resto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dà atto che l’indennità di occupazione legittima rimane determinata nella misura stabilita nella decisione resa in primo grado dal Tribunale di Avellino.

Compensa interamente fra le parti le spese relative all’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2016

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