Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14178 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017, (ud. 08/02/2017, dep.07/06/2017),  n. 14178

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24094-2014 proposto da:

SACCI S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAKALLE’ 9,

presso lo studio dell’avvocato ELENA RUGGIERO RUBINO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.G., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO PIERELLI, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 291/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 10/04/2014 R.G.N. 691/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 10 aprile 2014, la Corte d’appello di Ancona dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 17 febbraio 2011 da Sacci s.p.a. a G.G., ordinandone la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società datrice al versamento, in suo favore a titolo risarcitorio, della retribuzione globale mensile di fatto pari a Euro 2.609,00 dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, nonchè della contribuzione assistenziale e previdenziale dovuta: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande del lavoratore.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, come già il Tribunale, il giustificato motivo oggettivo a base del licenziamento, per la comprovata sussistenza della crisi aziendale strutturale, da valutare ovviamente sull’intero complesso dell’impresa e non del singolo settore di appartenenza del lavoratore licenziato: pertanto legittimante la ristrutturazione organizzativa operata, in riferimento particolare alla soppressione della posizione lavorativa di G. (di venditore capo impianto dell’unità di (OMISSIS)) per accorpamento a quella di M.R..

Essa escludeva tuttavia la corretta assoluzione dell’obbligo datoriale di repechage, anche in riferimento alle mansioni inferiori che il lavoratore aveva comunicato essere disponibile a svolgere e nelle quali la società datrice non aveva dimostrato l’impossibilità di suo reimpiego, tenuto conto del grado di anzianità e di esperienza e della mancata osservanza dei principi di correttezza e buona fede contrattuale da rispettare.

Con atto notificato il 10 – 16 ottobre 2014 Sacci s.p.a. ricorre per cassazione con cinque motivi, cui resiste G.G. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della mancata ammissione delle istanze istruttorie dedotte in primo grado e reiterate nel secondo, interamente trascritte, a prova dell’assoluzione dell’obbligo di repechage, senza alcuna motivazione, con mera apparenza della stessa in ordine alla sua ritenuta mancata dimostrazione.

2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 132 c.p.c., art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per mancata esposizione dei fatti e delle istanze istruttorie dedotti, con motivazione lacunosa e non giustificata di difetto di prova, peraltro impedita nella sua offerta.

3. Con il terzo, la ricorrente deduce omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della limitata disponibilità del lavoratore all’adibizione a mansioni anche inferiori entro il raggio di 50 km. dalla propria residenza, contenuta nella lettera allegata al ricorso introduttivo sub 10).

4. Con il quarto, la ricorrente deduce omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della soppressione della posizione lavorativa di venditore capo impianto di G. per accorpamento dei due impianti vicini di (OMISSIS) e M.R., integrante fattispecie di giustificato motivo oggettivo diversa da quella di generica riduzione di personale, comportante anche l’individuazione del soggetto da licenziare (titolare della posizione da sopprimere) e non già il raffronto, a fini di individuazione del personale eccedentario, con tutte le posizioni di capo impianto ed anche inferiori in tutto il territorio nazionale, con conseguenti riflessi sulla modulazione dell’obbligo datoriale di repechage.

5. Con il quinto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., L. n. 604 del 1966, art. 3, L. n. 183 del 2010, art. 30, artt. 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per insindacabilità della scelta datoriale di soppressione della posizione lavorativa, senza necessità di alcuna previa scelta comparativa del lavoratore da licenziare, fermo l’onere di repechage, successivo alla scelta e preliminare all’atto espulsivo.

6. Il primo motivo (omesso esame del fatto decisivo di mancata ammissione delle istanze istruttorie dedotte a prova dell’assoluzione dell’obbligo di repechage) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il secondo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 132 c.p.c., art. 2697 c.c. per mancata esposizione dei fatti e delle istanze istruttorie dedotti).

Essi sono inammissibili.

6.1. Non si configura l’omesso esame denunciato, in quanto non relativo ad un fatto (esistenza di posizioni lavorative, anche di qualifica inferiore, per il reimpiego del lavoratore), in effetti esaminato dalla Corte territoriale (al punto 6.3 di pg. 7 della sentenza), ma piuttosto ad una valutazione probatoria (negativa, di difetto di dimostrazione: ai primi quattro alinea del punto 6.4 di pg. 8 della sentenza), espressa in una concisa, ma sottesa, delibazione delle istanze istruttorie dedotte, evidentemente giudicate inessenziali alla decisione (“L’appello, deciso allo stato degli atti a seguito dell’interrogatorio libero delle parti in contraddittorio, è fondato”: così al punto 5 di pg. 6 della sentenza).

Sicchè, la censura (riguardante, non già l’omesso esame di un fatto storico, ma la valutazione derivante dalla lamentata pretermissione di elementi istruttori, quali i suindicati) esorbita dal perimetro di denunciabilità secondo il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis.

Esso è, infatti, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, l cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, qualora esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Da ciò consegue la preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori.

Pertanto, detta riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ed è allora denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

6.2. In realtà la doglianza si risolve nella contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto del giudice di merito, cui solo spetta la valutazione probatoria, nella formazione del suo convincimento, insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dei possibili vizi di congruità e logicità del suo percorso formativo, laddove non adeguatamente giustificato (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).

7. Il terzo motivo (omesso esame del fatto decisivo per il giudizio della limitata disponibilità del lavoratore all’adibizione a mansioni anche inferiori entro il raggio di 50 km. dalla propria residenza) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il quarto (omesso esame del fatto decisivo della soppressione della posizione lavorativa di venditore capo impianto per accorpamento dei due impianti vicini di (OMISSIS) e M.R., integrante fattispecie diversa da quella di generica riduzione di personale, con conseguenti riflessi sulla modulazione dell’obbligo datoriale di repechage) e con il quinto (violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., L. n. 604 del 1966, art. 3, L. n. 183 del 2010, art. 30, artt. 1175 e 1375 c.c., per insindacabilità della scelta datoriale di soppressione della posizione lavorativa).

Essi sono infondati.

7.1. In via di premessa, deve essere anche qui ribadita l’inconfigurabilità dei vizi di omesso esame di fatti, a norma del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (richiamata la giurisprudenza citata), per il compiuto esame (con valutazione coerente con la rilevanza ad essi attribuita) dalla Corte territoriale sia della disponibilità del lavoratore all’adibizione a mansioni anche inferiori entro il raggio di 50 km. (siccome riportato al punto 2 di pg. 3 e valutato al punto 6.3 di pg. 7 della sentenza), sia della soppressione della posizione lavorativa di venditore capo impianto di G. per accorpamento dei due impianti vicini di (OMISSIS) e M.R. (al primo capoverso del punto 3.4 di pg. 4 e ai punti 5.1 e 5.2 di pg. 6 della sentenza).

7.2. Neppure sussiste la violazione delle norme di legge denunciate, posto che la Corte territoriale, una volta verificata l’effettiva sussistenza di una condizione di crisi aziendale strutturale e non contingente, ha pienamente rispettato, siccome nè “irrazionale”, nè “pretestuosa, ma… fondata… su risultanze contabili obiettive e verosimili”, la scelta imprenditoriale, ribaditane l’insindacabilità giudiziale nel merito (ancora ai punti 5.1 e 5.2 di pg. 6 della sentenza), secondo insegnamento di questa Corte recentemente ribadito (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201).

7.3. La Corte marchigiana ha quindi fatto una corretta applicazione dei principi in materia di ripartizione dell’onere di allegazione e prova dell’obbligo di repechage (Cass. 22 marzo 2016, n. 5592; Cass. 13 giugno 2016, n. 12101), anche in riferimento alla possibilità di reimpiego in mansioni inferiori (punti 6.1, 6.2, 6.3 di pg. 7 della sentenza), di cui ha tuttavia escluso (“In carenza nella fattispecie in esame di tale dimostrazione… il licenziamento del G. va considerato legittimo”: punto 6.4. di pg. 8 della sentenza) la positiva dimostrazione, a carico datoriale (Cass. 8 marzo 2016, n. 4509; Cass. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. 19 novembre 2015, n. 23698; Cass. 15 maggio 2012, n. 7515; Cass. 13 agosto 2008, n. 21759), una volta acquisita “la disponibilità manifestata dal dipendente a seguitare a lavorare nelle mansioni inferiori, già svolte in passato, di operaio impiantista, complementari a quelle di venditore/capo impianto” (così al punto 6.1 della sentenza citato).

7.4. Deve, infine, essere rilevata l’inconferenza, rispetto al caso di specie di giustificato motivo oggettivo per soppressione della posizione lavorativa del dipendente licenziato, dei passaggi argomentativi riguardanti la valutazione comparativa con i lavoratori di pari livello ed eventualmente inferiore, l’estensione del suo ambito in riferimento alla scelta del lavoratore eccedentario e i principi di buona fede e correttezza contrattuale da osservare (dal quarto alinea del punto 6.4 al punto 6.7 di pg. 8 della sentenza).

Essi sono, infatti, pertinenti alla diversa ipotesi del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo a causa di riduzione del personale: questa sì implicante una scelta fra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. 14 giugno 2007 n. 13876; Cass. 3 aprile 2006, n. 7752), per la quale si pone anche l’esigenza del rispetto del principio di buona fede nell’individuazione del dipendente da licenziare (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20508; Cass. 11 giugno 2004 n. 11124).

L’indebita commistione argomentativa della valutazione comparativa selettiva del lavoratore con l’assoluzione dell’obbligo di repechage (pure secondo la chiara distinzione al primo capoverso di pg. 35 del ricorso: “Anche il richiamo operato in sentenza agli artt. 1175 e 1375 c.c…. appare improprio e fuorviante… in quanto ne dispone l’applicazione in presenza di una fattispecie – quella del licenziamento per soppressione del posto di lavoro – nella quale non si prevede alcun obbligo di previa scelta comparativa del lavoratore da licenziare, ma solo l’onere del repechage successivo alla scelta e preventivo rispetto alla comunicazione del licenziamento”) integra semplicemente, nell’ambito di un percorso decisionale corretto e culminato nell’esatta risoluzione della controversia, un’erroneità della motivazione ben rettificabile ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.

8. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e la distrazione in favore del difensore anticipatario, secondo la sua richiesta.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna Sacci s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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