Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14174 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. II, 27/06/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 27/06/2011), n.14174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO CASE POPOLARI CAGLIARI – TACP – (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE MAZZTNI 11, presso lo studio dell’avvocato RICHTER PAOLO

STELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato PUBUSA ANDREA, come da

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato DE ANGELIS

ANTONIA, rappresentato e difeso dall’avvocato CHESSA GUIDO, come da

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

ISAR IMMOBILIARE SARDA SFA in persona del legale rappresentante pro

tempore, V.C. VED. C., C.M.N.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 301/2004 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 31/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

udito l’Avvocato GUIDO CHESSA difensore del resistente che ha chiesto

l’inammissibilità in subordine il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato C.C.V., C.M.N. e C.G., eredi di F. C., chiedevano di essere dichiarati proprietari, per possesso ultraventennale ed esclusivo, di terreni siti in Iglesias che risultavano intestati in catasto all’IACP di Cagliari e all’ISAR Immobiliare Sarda s.p.a..

Si costituiva l’IACP di Cagliari chiedendo il rigetto della domanda, mentre l’ISAR restava contumace.

La causa veniva istruita tramite produzioni documentali e decisa dal Tribunale di Cagliari con la sentenza n. 1837/97 in data 29 maggio – 3 dicembre 1997 che rigettava la domanda, ritenendo non provata l’usucapione, in specie valutando non rilevanti probatoriamente le dichiarazioni sostitutive relative al possesso dei terreni prodotte dagli attori e rigettando la richiesta ammissione della prova testimoniale per mancanza di capitolazione.

I signori C. e V. proponevano appello, lamentando la mancata valutazione nel merito delle prodotte dichiarazioni formate per iscritto, chiedendo l’assunzione della prova non ammessa in primo grado e rinnovando la capitolazione.

La società Tsar s.p.a. – frattanto divenuta SNAM – restava contumace, mentre si costituiva l’appellato Istituto delle Case Popolari che resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Cagliari ammetteva la prova dedotta, disponeva CTU e procedeva al riesame di alcuni testi. Espletata l’istruttoria, la Corte territoriale riformava la sentenza di primo grado, per quanto di ragione, e dichiarava l’intervenuta usucapione.

Parte ricorrente formula cinque motivi. Resiste con controricorso C.G.. Gli altri intimati, V.C. e C.M. N., nonchè ISAR immobiliare, oggi SNAM, non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., artt. 244 e 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 5”.

1.2 – Col secondo motivo di ricorso si deduce; “violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 845 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (violazione del principio dell’unicità della prova);

omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 5”.

1.3 – Col terzo motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 5”.

1.4 – Col quarto motivo di ricorso si deduce: “ammissione di prova testimoniale rinunciata. Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, insufficiente o contraddittoria e illogica motivazione in relazione all’art. 360, n. 5”.

1.5 – Col quinto motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione dell’art. 257 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e omessa, insufficiente o contraddittoria e illogica motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

2. – Il ricorso, ai limiti dell’ammissibilità, è infondato e va respinto. Prima di esaminare i motivi del ricorso, appare opportuno riprodurre alcuni passi della motivazione della Corte territoriale in ordine all’ammissione della prova in appello, oggetto delle censure contenute nei primi tre motivi di ricorso.

In primo luogo la Corte territoriale riteneva applicabile “la norma dell’art. 345 c.p.c., comma 2, nel testo previdente”, rilevando che alla “ammissione di mezzi di prova in appello, non osta a che la prova testimoniale dichiarata inammissibile per genericità nel giudizio di primo grado, possa essere riproposta in secondo grado mediante la deduzione di capitoli dettagliatamente articolati, sempre che la parte non sia incorsa in decadenze definitive (tra le quali non può farsi rientrare quello della non specificità della prova, v. Cass. N. 5003/1993 in motivazione) e non sia violato il principio della unicità della prova (cosa nella specie non verificatasi non essendo stata assunta alcuna prova in primo grado”. Osservava ancora la Corte territoriale che nel caso in questione non si trattava di “novità completa della prova giacchè con quella riproposta in appello vi è stata unicamente una specificazione delle circostanze già dedotte in primo grado, con una evidenziazione delle modalità di realizzazione del possesso costituite dalla recinzione e coltivazione dei fondi interessati dalla domanda di usucapione”.

Rilevava, ancora la Corte che “gli attori non avevano affatto rinunciato nel primo grado del giudizio alla prova, come sostenuto dall’IACP, ma si erano limitati nell’udienza di precisazione delle conclusioni (in data 26.2.1996, udienza alla quale il G.1. aveva rinviato “per conclusioni, in difetto di deduzioni”) a confermare le conclusioni assunte nell’atto di citazione e in via istruttoria a chiedere l’ammissione della prova”, al riguardo così motivando: “Nè può sostenersi, come fatto dall’appellato IACP, che l’avere il difensore degli attori richiesto al termine dell’udienza del 26.2.1996 un rinvio per produzioni, implichi una rinuncia alle conclusioni, in specie quelle istruttorie, formulate nella stessa udienza, non appalesandosi alcuna manifestazione di volontà di rinuncia a quelle conclusioni che debbono pertanto essere ritenute quelle dalla parte assunte all’esito dell’udienza che il giudice aveva destinato alla precisazione delle conclusioni”.

Tanto premesso, passando all’esame dei motivi di ricorso, si può osservare quanto segue.

2.1 – Col primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione degli artt. 329, 244 e 345 c.p.c., affermando che gli appellanti signori V. e C. avrebbero prestato acquiescenza alla pronuncia del primo Giudice circa l’inammissibilità della prova per testimoni.

Tale pronuncia non era stata oggetto di alcuna doglianza da parte degli appellanti, con conseguente preclusione, ex art. 329 c.p.c., della sua riproposizione in appello, sia pure previa ricapitolazione.

Il motivo è privo di pregio. La Corte territoriale al riguardo ha ampiamente motivato sulla mancata acquiescenza, facendo riferimento alla riproposizione in sede di conclusioni delle istanze di prova e valutando il comportamento processuale tenuto dagli appellanti.

Parimenti correttamente la Corte ha escluso che la prova potesse considerarsi preclusa, secondo il regime processuale applicabile ratione temporis, posto che, come detto, la richiesta di prova era stata nuovamente formulata in sede di precisazione delle conclusioni nel primo grado del giudizio. Va, inoltre, rilevato che gli appellanti, odierni intimati, in sede di appello, avevano affermato e dedotto quanto segue: “Quanto al capo di pronuncia che ha respinto la domanda subordinata, diretta all’ammissione di una prova orale, giova evidenziare che nell’espositiva dell’atto di citazione, si era fatto esplicito riferimento, quanto al possesso, al contenuto delle dichiarazioni sostitutive sopra accennate. Non è pertanto esatto – se non sotto un profilo meccanicamente e rigidamente formale – che “non è chiaro a quale parte della citazione gli attori abbiano inteso riferirsi”, nè è esatto che non sono stati indicati i fatti e i comportamenti esteriori, giacchè essi sono agevolmente percepibili dalla relatio fatta ai predetti scritti. Ad ogni buon conto, e alla stregua della pacifica giurisprudenza della S C. (che consente la riformulazione in appello della deduzione di prova testimoniale dichiarata inammissibile per genericità), gli appellanti, in via subordinata, chiedono l’ammissione della prova testimoniale dedotta nelle conclusioni di seguito rassegnate” 2.2 – Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. L’ammissione della prova per testimoni, nuovamente capitolata ed espletata in appello, non ha molato il principio della unicità della prova, posto che, non essendosi svolta la prova in primo grado, non è ipotizzabile la duplicazione o la contraddizione dei risultati probatori.

2.3 – Parimenti infondato è il terzo motivo.

In primo luogo occorre rilevare che non sussiste la denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c., posto che il giudice d’appello ha applicato il regime processuale di cui all’art. 345 c.p.c., nel testo modificato per effetto della L. 14 luglio 1950, n. 581, applicabile ratione temporis.

In secondo luogo, la censura relativa alla “novità” della prova per testimoni è generica e infondata. Si tratta di una censura generica che si risolve in affermazione di parte, sprovvista della riproduzione delle deduzioni testimoniali in primo grado e della successiva capitolazione in secondo grado con violazione del principio dell’autosufficienza. Anche sul punto la Corte territoriale ha ampiamente ed adeguatamente motivato.

2.4 – La censura avanzata col quarto motivo è pure infondata.

Secondo parte ricorrente il comportamento concludente dei convenuti in primo grado in ordine alla deduzione della prova per testi doveva portare alla conclusione di valutarne l’avvenuta acquiescenza in ordine alla pronuncia di inammissibilità. Si tratta di censura in parte ripetitiva di quanto già affermato in ordine al primo motivo.

Le ulteriori considerazioni svolte con riferimento alle locuzioni testuali utilizzate in sede di verbale di udienza non appaiono idonee a scalfire le conclusioni complessive raggiunte dalla Corte territoriale in ordine alla valutazione del comportamento degli odierni intimati quanto alla acquiescenza o meno in ordine alla prova. Non sussiste il vizio di motivazione denunciato per quanto già ampiamente riferito sul punto in ordine alla motivazione adottata dalla Corte territoriale, che appare coerente, logica e conforme ai principi di diritto applicati.

2.5 – Infine, anche il quinto motivo è infondato. In primo luogo occorre rilevare che l’argomentazione, postar fondamento della doglianza, risulta priva di autosufficienza quanto all’indicazione e riproduzione dei singoli capitoli di prova e dei provvedimenti collegiali nelle parti in cui fu disposta la nuova audizione dei testi. In ogni caso è opportuno richiamare il passaggio motivazionale della Corte territoriale che ha dato conto dell’esigenza di procedere all’espletamento della CTU ed alla nuova audizione di alcuni testi già ascoltati. Al riguardo la Corte territoriale afferma di aver disposto “consulenza tecnica al fine di accertare gli esatti confini catastali del terreno cui avevano fatto riferimento i testi assunti e … il riesame di detti testi in esito al deposito della consulenza tecnica ed ai conseguenti necessari chiarimenti con riferimento al contenuto delle deposizioni rese”, osservando che “l’art. 257 c.p.c. prevede la possibilità per il giudice di disporre che siano nuovamente esaminati i testimoni già interrogati alfine di chiarire la loro deposizione”. Correttamente, quindi, la Corte ha esercitato i suoi poteri al riguardo, potendo disporre CTU e riascoltare i testi anche d’ufficio.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in favore di C.G. in 2.500,00 Euro per onorari e 200,00 Euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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