Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14174 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/05/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 24/05/2021), n.14174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 37318-2019 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e

difesa dall’Avvocato TURCONI MARCO;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA GIUSTIZIA S.P.A.;

– intimata –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

SONDRIO, depositata il 05/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO, in persona del

SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE, DOTT. BASILE TOMMASO, che chiede

dichiararsi la competenza del Tribunale di Sondrio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel corso di indagini preliminari svolte a carico di Pa.Si. ed altri, il G.I.P. del Tribunale di Sondrio convalidò, con decreto del 22 giugno 2010, il sequestro preventivo disposto dal P.M. su tutte le somme esistenti su di un libretto di deposito bancario acceso presso il Credito valtellinese, intestato congiuntamente al Pa. ed a P.M..

Nel corso del successivo dibattimento, svoltosi davanti al Tribunale penale di Sondrio in composizione collegiale, furono pronunciate tre distinte ordinanze con le quali venne ordinato il parziale dissequestro delle somme e la restituzione in favore della P. della somma complessiva di Euro 138.722,47, oltre interessi maturati fino a quella data.

Con successivo ricorso proposto ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., la P. convenne in giudizio la s.p.a. Equitalia Giustizia, davanti al Tribunale civile di Sondrio, rilevando che la società convenuta, nel dare esecuzione alle ordinanze di dissequestro, aveva corrisposto i soli interessi maturati dalla data del sequestro fino a quella della restituzione, senza restituire gli interessi che le somme in oggetto avevano maturato dall’anno 1999 sino alla data dell’ultima capitalizzazione, in data 30 giugno 2010 (cioè fino alla data del sequestro).

Ha precisato la ricorrente, a sostegno della domanda, di avere già rivolto analoga richiesta al Tribunale penale di Sondrio che aveva disposto il dissequestro, ma che quest’ultimo, con ordinanza del 16 giugno 2017, aveva affermato che la questione era di natura civilistica, avendo ad oggetto soltanto la misura degli interessi sulle somme dissequestrate; per cui la domanda doveva essere rivolta al giudice civile.

Il Tribunale civile, con ordinanza del 5 novembre 2019, ha dichiarato il ricorso inammissibile, sul rilievo assorbente per cui, avendo la ricorrente contestato il merito dei provvedimenti di dissequestro emessi dal giudice penale, i rimedi impugnatori dovevano ritenersi quelli di cui all’art. 586 c.p.p., cioè l’impugnazione del capo di sentenza relativo alla confisca delle cose sequestrate. Il Tribunale, quindi, ha affermato di essere incompetente rispetto alla domanda proposta ed ha condannato la P. al pagamento delle spese di lite. 2. Contro l’ordinanza indicata propone regolamento di competenza P.M. con atto affidato a quattro motivi.

La s.p.a. Equitalia Giustizia non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato una requisitoria scritta, chiedendo che il proposto regolamento venga accolto, con declaratoria di sussistenza della competenza del Tribunale civile di Sondrio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente premette una ricostruzione in fatto dell’intera vicenda e osserva che nel caso in esame il regolamento di competenza ad istanza di parte è l’unico strumento processuale a disposizione per ottenere che un giudice si pronunci sul merito della domanda, avendo il Tribunale penale già declinato la propria competenza.

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della legge processuale civile, rilevando che la dichiarazione di incompetenza, pronunciata d’ufficio dal Tribunale civile, sarebbe intempestiva.

Nel caso in esame, infatti, all’udienza del 4 settembre 2019 le parti erano comparse e la causa era stata discussa nel merito, senza che nessuno eccepisse l’incompetenza. Trattandosi di competenza funzionale, la stessa era da considerare ormai consolidata, ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., per cui il Tribunale avrebbe dovuto semplicemente provvedere sul merito della domanda, senza più potersi dichiarare incompetente.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della legge processuale civile, rilevando che il giudice adito, essendo stata già dichiarata l’incompetenza da parte del giudice penale, avrebbe dovuto, tutt’al più, sollevare d’ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell’art. 45 c.p.c., senza potersi dichiarare d’ufficio incompetente.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione della legge processuale civile, rilevando che il giudice civile avrebbe emesso un provvedimento fondato sull’errata applicazione delle norme penali.

La ricorrente ricorda, infatti, di essere stata sempre estranea al processo penale, nel quale non era imputata; per cui l’ordinanza emessa dal Tribunale penale non ha fatto altro che confermare la competenza del giudice civile in ordine alla domanda proposta. Non sarebbe corretto, infatti, affermare che la ricorrente abbia contestato la portata delle ordinanze di dissequestro, posto che ella aveva solo contestato il non corretto adempimento, da parte della società convenuta, delle ordinanze stesse. Il terzo estraneo al processo penale, al quale siano stati sequestrati dei beni, non ha titolo per impugnare le ordinanze insieme alla sentenza penale, poichè del processo penale non è parte. Per cui la ricorrente ritiene essere evidente che la competenza spetti al giudice civile.

5. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione delle norme in materia di spese legali.

Osserva la ricorrente che col regolamento di competenza può essere impugnata la pronuncia anche in ordine alla liquidazione delle spese che, nella specie, sono state poste a suo carico. Ritiene la P. che, quand’anche il presente ricorso fosse ritenuto non fondato, ella non potrebbe comunque essere condannata alle spese del giudizio civile, trattandosi di una questione nuova e di un caso in cui il giudice penale si era dichiarato incompetente. Per cui sarebbe evidente la totale buona fede da parte sua e l’impossibilità di utilizzare altri mezzi processuali per avere giustizia.

6. Rileva la Corte, innanzitutto, in conformità a pacifica giurisprudenza, che il giudice civile e quello penale sono entrambi magistrati ordinari ed esercitano il medesimo potere giurisdizionale, per cui la violazione delle norme relative al riparto degli affari civili e penali non pone una questione di giurisdizione (così le Sezioni Unite con l’ordinanza 25 maggio 2005, n. 10959, confermata dall’ordinanza 29 luglio 2013, n. 18189).

7. Escluso quindi, come del resto la medesima ricorrente riconosce, che l’odierno ricorso ponga una questione di giurisdizione, il primo passo da compiere è stabilire se la decisione del Tribunale civile di Sondrio sia o meno equiparabile ad una pronuncia di incompetenza.

La risposta, ad avviso della Corte, è positiva. Il Tribunale, infatti, ha emesso una pronuncia la quale, benchè sia nel senso della inammissibilità – come risulta dal suo dispositivo ed anche dal corpo della motivazione – è, in sostanza, una declinatoria di competenza. In tal senso militano sia l’affermazione, contenuta nel provvedimento, per cui il Tribunale ritiene di essere “sprovvisto della competenza funzionale” sia la decisione in concreto assunta e la sua motivazione, che individuano la competenza nel giudice penale, con conseguente obbligo, per la ricorrente P., di modulare la propria impugnazione seguendo le norme del codice di procedura penale (in particolare, l’art. 586 c.p.p.).

Dando quindi per accertato che l’ordinanza oggi impugnata abbia i requisiti processuali di una declinatoria di competenza, la questione sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi consiste nello stabilire se, in un caso come quello in esame, sia ammissibile o meno il regolamento di competenza, tenendo presente il tenore della decisione impugnata in questa sede e la pregressa vicenda svoltasi davanti al Tribunale penale di Sondrio.

7.1. Al fine di rispondere alla domanda, occorre muovere dai precedenti di questa Corte, che sono di segno negativo.

La giurisprudenza civile, infatti, in più di un’occasione ha stabilito che il problema della ripartizione della potestas iudicandi, nel plesso giurisdizionale ordinario, tra il giudice civile ed il giudice penale non pone una questione di competenza, secondo la nozione desumibile dal codice di procedura civile, configurabile esclusivamente in riferimento a contestazioni riguardanti l’individuazione del giudice al quale, tra i vari organi di giurisdizione in materia civile, è devoluta la cognizione di una determinata controversia; per cui la violazione delle relative norme non può costituire oggetto di un’istanza di regolamento di competenza, ai sensi degli artt. 42 e 43 c.p.c., dovendosi altresì escludere la configurabilità di un conflitto negativo ai sensi dell’art. 45 c.p.p. (così l’ordinanza 28 maggio 2019, n. 14573, in linea con la precedente ordinanza 26 luglio 2012, n. 13329; ma nello stesso senso è anche l’ordinanza 2 agosto 2019, n. 20830).

I provvedimenti ora ricordati avevano a che fare con vicende tra loro diverse e diverse anche da quella odierna. Non ha grande importanza stabilire quali fossero i singoli casi; ciò che importa è cogliere nella citata giurisprudenza le ragioni di sistema che hanno condotto questa Corte a negare ingresso al regolamento di competenza.

Dalla lettura dei menzionati provvedimenti emerge una prima affermazione secondo cui il regolamento di competenza non è esperibile perchè in tale ambito rientrano le sole questioni concernenti l’identificazione, tra i vari organi investiti di giurisdizione in materia civile, di quello cui spetta la cognizione della controversia (tale concetto si trova già nella risalente sentenza 6 febbraio 1971, n. 316, di perdurante attualità). In altri termini, il regolamento di competenza presuppone un conflitto tra giudici civili, di talchè non potrebbe essere utilizzato in un contesto diverso. Segue poi un’ulteriore affermazione secondo cui la violazione delle norme che disciplinano la potestas iudicandi tra giudice civile e giudice penale non dà luogo a questione di competenza nè quando si ponga tra giudici dello stesso ufficio nè quando si ponga tra giudici diversi. Tale argomentazione riecheggia, a ben vedere, quella contenuta nell’ordinanza 31 ottobre 2008, n. 26296, delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale in motivazione ha affermato che, qualora il giudice civile adito “abbia ritenuto competente in ordine alla domanda formulata dall’attore un collegio penale del medesimo ufficio, non si pone una questione di competenza suscettibile di essere risolta con il regolamento di competenza, ma di ripartizione delle cause tra magistrati appartenenti allo stesso ufficio giudiziario”. L’ordinanza n. 20830 del 2019, nel ribadire che il regolamento di competenza “è istituto “interno” al solo processo civile”, aggiunge che il possibile conflitto tra giudice civile e giudice penale “non pone neppure una questione di ripartizione della potestas iudicandi tra organi cui è demandato l’apprezzamento del medesimo profilo, potendo determinare esclusivamente un’interferenza tra giudizi, che si traduce in un limite che attiene alla proponibilità della domanda”. Affermazione, quest’ultima, tratta dalla sentenza 14 novembre 2003, n. 17206, delle Sezioni Unite, la quale però era stata pronunciata in relazione ad un caso del tutto diverso, e cioè quello dell’impugnazione del provvedimento che aveva disposto la liquidazione del compenso a favore di un consulente tecnico nominato dal P.M. nel corso delle indagini preliminari. E quella sentenza aveva ribadito che “non è comunque configurabile una questione di giurisdizione rispetto a decisioni rimesse a collegi e sezioni civili ovvero penali di un medesimo tribunale”.

7.2. Le Sezioni Unite di questa Corte, peraltro, hanno riconosciuto che il riparto di competenza, all’interno del medesimo tribunale, tra la sezione specializzata agraria e quella ordinaria tabellarmente competente dà luogo ad una questione che può sfociare nella proposizione del regolamento di competenza (sentenza 16 luglio 2008, n. 19512); tant’è che la giurisprudenza successiva ha ammesso il regolamento di competenza d’ufficio quando una delle due sezioni contesti la propria competenza riconosciuta, invece, dall’altra (v., tra le altre, le ordinanze 7 ottobre 2004, n. 19984, e 21 maggio 2015, n. 10508).

In riferimento, invece, al riparto di competenza tra la sezione ordinaria e la sezione specializzata in materia di impresa, le Sezioni Unite hanno di recente stabilito che il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all’ufficio giudiziario, da cui l’inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d’ufficio ai sensi dell’art. 45 c.p.c.; rientra, invece, nell’ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario diverso da quello ove la prima sia istituita (sentenza 23 luglio 2019, n. 19882).

7.3. La situazione muta radicalmente se si ha riguardo alla giurisprudenza penale.

Nel vigente codice di procedura penale, infatti, c’è un complesso specifico di norme, e cioè gli artt. 28-32 c.p.p., che regolano l’istituto del conflitto di competenza e stabiliscono che esso sia risolto dalla Corte di cassazione. In particolare, l’art. 28 c.p.p., comma 1, lett. b), dispone che vi è conflitto di competenza quando “due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona”.

La giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte ha interpretato con larghezza la fattispecie legale ora indicata e vi ha ricompreso anche i casi di conflitto di competenza tra giudice civile e giudice penale, se e in quanto esso determini una situazione di stasi processuale eliminabile solo con l’intervento della Corte regolatrice (v., in particolare, le sentenze 2 aprile 2004, n. 19547, Lunardon, e 15 marzo 2019, n. 31843).

Nei casi decisi dalla due sentenze ora citate si trattava del conflitto insorto tra il giudice civile e quello penale in relazione al recupero delle spese processuali penali poste a carico dell’imputato condannato con sentenza definitiva. In entrambe le pronunce la chiave di volta su cui è costruita la motivazione è stata quella di evitare la stasi processuale che si viene a creare nel momento in cui i due giudici rifiutano entrambi di pronunciarsi sulla domanda, ritenendo che la competenza spetti all’altro. La sentenza n. 31843 del 2019, peraltro, dimostrando un’evidente sensibilità civilistica, ha avuto cura di precisare, richiamando l’orientamento della giurisprudenza civile di cui sopra si è detto, che “dall’angolo visuale dell’ordinamento processuale civile il problema del riparto della potestas iudicandi fra giudici ordinari addetti rispettivamente al settore penale e al settore civile si ritiene non ponga una questione di competenza”. E da tale premessa ha tratto la conclusione per la quale il ricorrente in quella sede aveva correttamente evitato di proporre il regolamento di competenza dopo che il giudice civile, pronunciatosi per primo, aveva declinato la competenza in favore del giudice penale; mentre la successiva declinatoria anche da parte del giudice penale aveva fatto emergere il conflitto negativo, ammissibile ai sensi dell’art. 28 c.p.p..

La stasi processuale, dunque, è il pericolo che la giurisprudenza penale di questa Corte avverte come reale quando il giudice civile e quello penale, successivamente, declinano la propria competenza l’uno in favore dell’altro; e tale pericolo esige una risposta che sblocchi lo stallo nel quale il processo viene a trovarsi, risposta affidata appunto alla Corte di cassazione.

E’ innegabile, d’altra parte, che dopo l’introduzione nella nostra Costituzione, all’art. 111 Cost., comma 2, del principio della ragionevole durata di ogni processo, il rischio della stasi processuale rappresenti, per così dire, un “nemico” da combattere in ogni modo, sia nel processo penale che in quello civile.

Non a caso, infatti, anche la Corte costituzionale in più occasioni è intervenuta a dichiarare l’illegittimità costituzionale di norme del codice di procedura penale che consentivano, anche se in relazione a fattispecie del tutto diverse, il protrarsi di una situazione di stasi del processo per un tempo non definito (v. le sentenze n. 354 del 1996 sull’art. 75 c.p.p., comma 3, e n. 10 del 1997 sulla reiterazione strumentale e abusiva delle istanze di ricusazione del giudice penale).

La sentenza n. 354 del 1996, in particolare, ha osservato che “si appalesano, dunque, forti analogie tra la stasi del processo determinata dalla incapacità psichica dell’imputato e quella che scaturisce dall’impedimento a comparire dell’imputato il quale non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza, giacchè entrambe le situazioni di paralisi processuale ineluttabilmente determinano una sostanziale sterilizzazione della azione civile esercitata nel processo penale”. E la sentenza aggiunge l’affermazione per cui “è certo che una stasi del processo che si accerti di durata indefinita ed indeterminabile, non possa non vulnerare il diritto di azione e di difesa della parte civile cui pure l’assetto del codice abrogato apprestava tutela, svincolandola dal processo penale nel caso di sospensione del processo per infermità di mente dell’imputato”.

8. Tirando le fila del discorso svolto fin qui, il Collegio ritiene che vi siano ragioni di opportunità per le quali la decisione del presente regolamento di competenza debba essere rimessa alle Sezioni Unite. Che vi sia una stasi processuale, infatti, non pare possa essere messo in dubbio; il Tribunale penale di Sondrio ha affermato che la domanda della P. doveva essere esaminata dal giudice civile e lo stesso Tribunale, in sede civile, ha affermato la competenza del giudice penale. Ne consegue che, se questo Collegio desse seguito alla giurisprudenza di cui al punto 7.1. che nega ingresso, in un caso del genere, al regolamento di competenza, la vicenda perverrebbe ad uno stallo. Nessun giudice sarebbe investito del potere-dovere di esaminare la domanda proposta; nè il Presidente del Tribunale potrebbe intervenire, perchè entrambi i giudici hanno emesso una pronuncia definitiva, spogliandosi del processo.

L’odierna ricorrente, in concreto, sarebbe costretta a seguire un percorso processuale dai profili paradossali: riproporre la propria domanda al Tribunale penale di Sondrio, attendere da questo una pronuncia (prevedibilmente) identica a quella precedente, cioè declinatoria della competenza; impugnare quella decisione davanti a questa Corte in sede penale e ottenere finalmente, attraverso l’art. 28 c.p.p., una decisione che indichi di chi sia la competenza. E’ evidente come un simile iter sia difficilmente compatibile col principio della ragionevole durata del processo, oltre ad essere inutilmente farraginoso. Nè è conforme a logica che il conflitto negativo sia denunciatile solo in sede penale, cioè solo nel caso in cui l’ultima declinatoria di competenza sia stata pronunciata dal giudice penale.

Neppure può ritenersi che la soluzione del problema risieda nello stabilire che il provvedimento oggi impugnato col regolamento di competenza debba essere impugnato, viceversa, con l’appello. Anche tralasciando la circostanza evidente per cui il Tribunale civile di Sondrio si è limitato soltanto a declinare la sua potestas iudicandi, tale ricostruzione non è comunque appagante, perchè non elimina il rischio della permanente stasi processuale nel caso in cui il giudice d’appello confermi la pronuncia declinatoria del giudice di primo grado. Simile ipotesi, quindi, non farebbe che rinviare il problema, rendendo ancora più farraginoso il sistema.

E’ possibile, però, ad avviso del Collegio, una lettura diversa del complesso delle norme in materia di competenza la quale, modellata sulla falsariga dell’art. 28 c.p.p. – che potrebbe essere considerato come una norma “di sistema” – consenta anche al giudice civile di dirimere il conflitto negativo tra giudice civile e giudice penale ed evitare così la stasi processuale. Tale ricostruzione richiede che la Corte di cassazione ammetta, in un caso del genere, l’esperibilità del regolamento di competenza, statuendo con potere vincolante per tutti a quale giudice la parte debba rivolgersi.

Il superamento del tradizionale orientamento negativo di cui si è detto, almeno in relazione ad un caso come quello in esame, sarebbe giustificato dall’obiettivo di risolvere lo stallo processuale indipendentemente dalla anteriorità o posteriorità della pronuncia declinatoria da parte del giudice civile rispetto a quella del giudice penale.

9. Si ritiene, pertanto, di rimettere gli atti al Primo Presidente affinchè valuti l’opportunità di affidare la decisione del presente regolamento di competenza all’esame delle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi dell’art. 374 c.p.p., comma 2, trattandosi di questione di particolare importanza e, comunque, “di sistema”, in quanto relativa ad un problema che attraversa trasversalmente l’attività delle Sezioni penali e civili della Corte.

P.Q.M.

La Corte rimette gli atti al Signor Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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