Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14173 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/06/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI FOGGIA, (subentrata

Azienda Sanitaria Locale FG/I), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato PLACIDI ALFREDO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FACCIONE LUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato PLACIDI GIUSEPPE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PETROCELLI MARIA LORETA ANTONIA, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1693/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/12/2006 R.G.N. 2274/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato BUCCELLATO FAUSTO per delega FACCIONE LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

14521 07 Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia e N.

M..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27 dicembre 2006, la Corte d’Appello di Bari accoglieva parzialmente il gravame svolto da N.M. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della ASL Foggia 1 per l’accertamento del diritto all’inquadramento nella figura funzionale categoria D del CCNL e la condanna alle differenze retributive.

2. La Corte territoriale riteneva che:

N.M. aveva agito in primo grado deducendo di aver svolto, dal 9 gennaio 1991, attività di assistente sanitaria visitatrice presso il centro di igiene mentale di (OMISSIS), facente parte della USL Foggia (OMISSIS) e di essere stata assegnata, con provvedimento 9 febbraio 1996 del direttore sanitario, presso il servizio di igiene pubblica ove, a far tempo dal 1 gennaio 1999, ed ancora alla data della presentazione del ricorso, aveva svolto le superiori funzioni di assistente sanitario coordinatore corrispondente alla settima categoria funzionale, poi definita fascia D, mentre le funzioni svolte in precedenza di assistente sanitario visitatore appartenevano alla sesta categoria funzionale, poi denominata fascia C;

– la contesa aveva ragion d’essere solo fino al 2001, epoca in cui un nuovo contratto collettivo aveva unificato a tutti gli effetti in un’unica fascia le vecchie fasce C e D;

– il pacifico svolgimento delle mansioni superiori – attestato da copiosa documentazione, prodotta dalla lavoratrice ma proveniente dall’azienda, attestante lo svolgimento di fatto di mansioni proprie della categoria di coordinatore assistente sanitario alla stregua dell’allegato 1 del CCNL – non consentiva il formale inquadramento nella superiore categoria di assistente coordinatore difettando le condizioni imprescindibili della selezione, della delibera con atto del comitato di gestione, della vacanza del posto in organico;

– nessun mutamento della domanda era ravvisabile nella comparsa conclusionale rispetto al ricorso introduttivo, atteso che già in quell’atto si formulava esplicita richiesta di condanna dell’amministrazione al pagamento delle somme di denaro spettanti per l’esercizio delle superiori funzioni;

– il diritto della lavoratrice alle differenze retributive per le mansioni effettivamente svolte, non ostando a ciò l’impossibilità del formale inquadramento nella categoria superiore, erano state calcolate con consulenza tecnica d’ufficio le cui risultanze non sono state contestate dall’azienda.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Azienda Sanitaria Locale della provincia di Foggia, in persona del commissario straordinario pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrato con memoria. L’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 1, (art. 360 c.p.c., n. 3); violazione del CCNL del comparto sanità con riferimento all’art. 2041 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si censura la sentenza impugnata per non aver precisato la causa petendi ritenuta fondata, il diritto al pagamento delle differenze retributive per mansioni superiori espletate in via di fatto, o il diritto al risarcimento del danno per l’ingiustificato arricchimento della PA, domanda introdotta in memoria conclusionale, non autorizzata dal primo giudice, e costituente un ampliamento del thema detidendum. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

5. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29, in relazione al CCNL del comparto sanità 7 aprile 1999 e al CCNL successivo del 20 settembre 2001 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si censura la sentenza impugnata per aver fatto derivare dalla situazione di fatto conseguenze giuridiche tese al riconoscimento della superiore retribuzione esclusa tassativamente dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 29 (che pone il divieto di assegnazione del dipendente a mansioni superiori e in ipotesi di assegnazione temporanea, il divieto di corresponsione di differenze retributive). Il motivo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.

6. Rileva il Collegio che i quesiti formulati a conclusione dei motivi di censura avverso la sentenza impugnata non si informano alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, alla luce dei criteri che questa Corte ha già avuto occasione di precisare.

7. A norma della prima parte della citata disposizione del codice di rito, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1) a 4), l’illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto proposto in modo tale che la Corte non debba procedere ad una previa attività interpretativa, come accade in presenza di un quesito multiplo la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, onde procedere a singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate (v., ex multis, Cass. 1906/2008).

8. Si è anche osservato che il ricorrente deve necessariamente procedere all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base della decisione impugnata e che quindi il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunciata nel motivo o nell’interpello della Corte di cassazione in ordine alla fondatezza della censura illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris, in quanto tale suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (v., ex multis, Cass. 8463/2009; 4044/2009; Cass. S.U. 25117/2008).

9. Inoltre, questa Corte regolatrice, alla stregua della già citata formulazione dell’art. 366 bis c.p.c, è fermissima nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, per le censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione. Ciò importa, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità Nè è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

10. Conclusivamente, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007).

11. Inoltre, ove con un unico articolato motivo d’impugnazione, siano denunziati vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, tale censura è ammissibile solo se corredata da quesiti che contengano un reciproco rinvio, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (v., ex multis, Cass., SU 7770/2009).

12. Nella specie, la formulazione dei plurimi quesiti in forma meramente ipotetica, senza indicare la regala iuris proposta dal ricorrente, nè individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto, non rispetta la prescrizione del codice di rito informandosi all’interpretandone datane dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.

13. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 11,00 per spese, oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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