Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14172 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/06/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11775/2008 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIORDANO BRUNO

47, presso lo studio dell’avvocato MARRAZZO LUISA, rappresentato e

difeso dall’avvocato PERRI Carmela, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. NICOTERA N. 29 SC. 9 INT.

2, presso lo studio dell’avvocato CASALINUOVO ALDO (STUDIO LEGALE

CASALINUOVO & ASSOCIATI), rappresentata e difesa

dall’avvocato

FALDUTO Paolo, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2091/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 20/12/2007 R.G.N. 1033/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato PERRI CARMELA;

Udito l’Avvocato BISOGNI ANNA MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20 maggio 2005, il Tribunale di Cosenza aveva accolto le domande svolte da R.M. – dipendente della Regione Calabria immesso nel 1989, in ottemperanza alla L.R. 2 giugno 1984, n. 34, nei ruoli regionali con la qualifica di istruttore dal 2 giugno 1984 – dirette ad ottenere la disapplicazione dei decreti regionali del 13 marzo 2001 e del 15 gennaio 2002, che (anticipati da un decreto del 3 maggio 2000, richiamato nel corpo si questi ultimi, col quale il Dirigente generale del dipartimento del personale aveva dichiarato tamquam non essent i provvedimenti individuali successivi al 31 marzo 1999, modificativi dello stato giuridico del personale) avevano ripristinato, prima in via cautelare e poi definitivamente, il suo inquadramento nella qualifica funzionale di 6^ livello dopo che con precedente decreto del 20 marzo 2000 il dirigente del settore giuridico del personale della Regione gli aveva riconosciuto la superiore qualifica funzionale di 7^ livello, in sede di revisione degli inquadramenti di alcuni dipendenti a norma della L.R. n. 9 del 1975 e L.R. n. 14 del 1991. Il ricorrente conseguentemente chiedeva altresì la rassegnazione alla qualifica superiore.

Nell’accogliere le sue domande, il Tribunale aveva affermato che il thema decidendum non riguardava l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento di una qualifica superiore, ma atteneva alla possibilità o meno per la regione di ripristinare un inquadramento inferiore a quello in precedenza riconosciuto al dipendente e affermando che ciò si sarebbe tradotto in un demansionamento vietato dalla legge sullo stato giuridico dei dipendente delle pubbliche amministrazioni (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52).

Su appello della Regione, la Corte d’appello di Catanzaro, riformando la decisione del primo giudice con sentenza depositata il 20 dicembre 2007, ha rilevato che la fattispecie sottoposta al suo esame non atteneva all’obbligo del datore di lavoro di adibire (o mantenere) il lavoratore a mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita e quindi non coinvolgeva la disciplina di cui all’art. 2103 c.c. (recte D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), quanto piuttosto alla possibilità di annullare un precedente atto di inquadramento illegittimo perchè operato in una qualifica funzionale errata secondo la tabella di corrispondenza tra vecchio e nuovo sistema di classificazione del personale di cui alla L.R. n. 34 del 1984.

A tale problema, la Corte territoriale ha dato una risposta positiva, accertando quindi che nel caso in esame, non essendo applicabili la L.R. n. 9 del 1975 e L.R. n. 14 del 1991, che avrebbero valorizzato, ai fini dell’attribuzione della qualifica, l’esercizio di mansioni superiori, in deroga alla disciplina generale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, la qualifica funzionale attribuibile al ricorrente sulla base della tabella di equiparazione tra vecchi livelli e nuove qualifiche funzionali era la sesta.

Per la cassazione di tale sentenza propone ora ricorso per cassazione, notificato il 2 maggio 2008, R.M., affidandolo a sei motivi.

Resiste alle domande la Regione Calabria con rituale controricorso.

La parte ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso attengono:

a – alla violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 52, 56 e 63, per avere la Corte territoriale individuato il tema della lite nel diritto del dipendente al superiore inquadramento anzichè nella valutazione di legittimità o meno dei decreti che avevano ripristinato il precedente inquadramento;

b – alla violazione degli artt. 434, 342, 346, 132 e 352 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., laddove il giudice di appello dopo avere individuato come unico motivo di appello l’erronea applicazione dell’art. 2103 c.p.c., si era pronunciato sul diverso oggetto riguardante l’inesatta individuazione del thema decidendum da parte del giudice di primo grado, tra l’altro senza procedere ad un esame critico della sentenza di quest’ultimo;

e – alla violazione dell’art. 2909 c.c., e quindi del giudicato rappresentato dalla sentenza definitiva del Tribunale di Catanzaro che aveva revocato con sentenza 24.11.00-16.1.01, in sede di giudizio istaurato su opposizione di terzi, tra i quali il ricorrente, il decreto ex art. 28 S.L. pronunciato il 13 luglio 2000 nella parte in cui il giudice del lavoro, accertato che le revisioni delle qualifiche di alcuni dipendenti a partire dal 1 aprile 1999 erano avvenute senza consultare il sindacato, aveva ordinato di procedere al riesame congiunto con le OO.SS. degli inquadramenti. La parte ricorrente sostiene infatti che la sospensione cautelare dell’inquadramento nella qualifica superiore e poi la revoca definitiva sarebbero state il frutto dell’ordine contenuto in tale decreto ex art. 28 S.L., peraltro revocato già al momento della sospensione cautelare.

d – alla violazione dell’art. 2103 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, per non aver tenuto conto che l’inquadramento del ricorrente nella qualifica funzionale di 7^ livello non avrebbe potuto essere ritirato col ripristino della inferiore qualifica funzionale senza comportare un demansionamento vietato dalla legge;

e – alla violazione della L.R. n. 34 del 1984, art. 34;

f – al vizio di motivazione in ordine ai temi di cui ai precedenti motivi di diritto e per il mancato esame della documentazione prodotta.

Il primo e il secondo motivo di ricorso, che conviene esaminare congiuntamente, sono infondati.

La sentenza impugnata ha accertato che il thema decidendum, alla stregua delle posizioni espresse in giudizio dalle parti, non coinvolgeva, come viceversa ritenuto dal giudice di primo grado, il tema delle mansioni assegnate prima e dopo i provvedimenti di cui era chiesta la disapplicazione, alla luce della disciplina di cui all’art. 2103 c.c. (e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), ma concerneva la valutazione della legittimità o meno dei decreti di annullamento dell’inquadramento nella settima qualifica funzionale e di ripristino della sesta.

Così stabilito l’ambito dell’indagine, la Corte ha poi affermato, in via generale, il potere della P.A., come di ogni privato datore di lavoro, di ritirare propri precedenti atti in quanto illegittimi o illeciti (salvo sempre la possibilità di verifica giudiziale di tale operato).

Nell’ambito di tale quadro di riferimento generale (di per sè non oggetto di specifica contestazione nel ricorso), la Corte ha poi proceduto all’esame in concreto della “legittimità” o meno dei decreti di “annullamento” del precedente inquadramento del ricorrente nella settima qualifica funzionale, anche (ma non esclusivamente) alla luce della ragione addotta dalla Regione appellante (riprodotta in sentenza) a sostegno di tale “annullamento”, relativa all’erroneità dell’inquadramento del R. nella indicata settima qualifica professionale (tema presente anche nelle difese dell’appellato, che ne affermava la piena correttezza alla stregua della L. n. 34 del 1987 e della relativa tabella di equiparazione tra i vecchi livelli di inquadramento e le nuove qualifiche funzionali).

Pertanto, anche a prescindere dal rilievo del fatto che le censure della parte ricorrente, condotte alla luce del contenuto del ricorso introduttivo del giudizio e dell’atto di appello della regione, non sono accompagnate, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., per tutte, recentemente, Cass. nn. 4201/10, 6937/10, 10605/10 e 1 1477/10), dalla specifica riproduzione degli atti citati, nella parte da cui da essi dovrebbe desumersi la fondatezza delle stesse (e anzi, la parte dell’atto di appello riprodotta sembra dare pienamente conto della congruità dell’interpretazione di esso operata dalla Corte territoriale) e tenuto conto della regola secondo la quale anche la parte convenuta concorre con le proprie difese alla delimitazione del thema decidendum, non è comunque dato ravvisare nella sentenza impugnata alcuno dei vizi apoditticamente attribuitile dal ricorrente.

Anche il terzo motivo non può essere accolto.

Tn primo luogo, va rilevato che, assumendo le relative censure a fondamento la violazione del giudicato rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro depositata il 16 gennaio 2001, di revoca del decreto ex art. 28 S.L., sarebbe stato necessaria, a norma del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena, rispettivamente, di inammissibilità e di improcedibilità del motivo, la riproduzione anche della parte motiva di tale atto quanto alla revoca dell’ordine di esame congiunto della materia indicata nonchè la specifica produzione in questa sede del relativo documento o quantomeno l’indicazione della sua esistenza e della sua precisa collocazione all’interno di uno dei fascicoli allegati (cfr., al riguardo Cass. S.U. nn. 7161/10 e 20075/10), onere che non risulta assolto dalla parte ricorrente.

In ogni caso, con presente motivo la parte ricorrente riprende censure già esaminate dalla Corte territoriale, la quale ha in maniera ragionevole rilevato che il fatto che la sentenza del Tribunale avesse revocato l’ordine (non l’autorizzazione, come affermato in un passaggio dal ricorrente) di procedere ad una verifica congiunta con le OO.SS. dei decreti relativi allo stato giuridico del personale non era, di per sè e per la motivazione della relativa decisione, di impedimento all’assunzione da parte della regione di analoga iniziativa in via autonoma.

Iniziativa, in effetti assunta dalla Regione, anche al di là del provvedimento giudiziale ex art. 28 S.L. allora ancora vigente, come rilevato dalla controricorrente e non smentito dal R., “per ristabilire un dialogo con le OO.SS. improntato sul metodo del confronto e della concertazione” (Delib. 27 settembre 2000), del resto in linea con la precedente presa di posizione del dirigente generale del personale della Regione del 3 maggio 2000 (assunta quindi ancor prima del decreto ex art. 28 S.L.) di sospensione dell’efficacia di ogni provvedimento individuale relativo allo stato giuridico del personale, in attesa di una verifica al riguardo.

Il quarto motivo, relativo alla violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, per il preteso demansionamento operato col ripristino della qualifica funzionale inferiore, è infondato.

La Corte territoriale ha infatti affermato, come già rilevato, che il thema decidendum non attiene al problema dell’assegnazione nel tempo di mansioni equivalenti, ma verte unicamente sulla legittimità o non dei provvedimenti di ripristino della qualifica inferiore sulla base della disciplina legale e contrattuale applicabile, non risultando del resto che parte ricorrente abbia mai affermato in giudizio di avere avuto assegnate mansioni diverse prima e dopo i vari provvedimenti citati che l’hanno riguardata.

La risposta positiva della Corte territoriale fonda dichiaratamente sulla disciplina di cui alla L.R. n. 34 del 1984, in particolare sulla tabella di equiparazione ivi stabilita tra il vecchio e il nuovo sistema di classificazione del personale, la quale, correttamente applicata, è stata ritenuta condurre all’inquadramento del ricorrente nella sesta qualifica funzionale di istruttore.

Nel corpo del motivo, il ricorrente sembra contestare in qualche modo tale applicazione della tabella di equiparazione della L. n. 34 del 1984, ma l’argomento non è in alcun modo percepibile dal quesito formulato a norma dell’art. 366 bis c.p.c., che per i ricorsi per cassazione avverso sentenza pubblicate dopo il 2 marzo 2006 e prima del 4 luglio 2009 segna il perimetro di rilevanza del motivo.

Il quinto motivo non appare comprensibile laddove censura la sentenza impugnata per il fatto che avrebbe ritenuto non applicabile al caso esaminato la L.R. n. 34 del 1984, mentre si è già rilevato che la Corte territoriale ha fondato espressamente la decisione sulla tabella di equiparazione contenuta in tale legge.

Per il resto, la parte ricorrente non specifica le ragioni per cui sarebbe a lei applicabili la L. n. 9 del 1975 e L. n. 14 del 1991, tema comunque poi non ripreso in sede di formulazione del quesito di diritto, incentrato sulla mancata applicazione della L. n. 34 del 1984.

Il motivo è pertanto inammissibile.

Infine, con l’ultimo motivo, la parte ricorrente censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione la sentenza su di ognuno dei temi “di diritto” di cui ai motivi precedenti.

Il motivo è pertanto assorbito dai precedenti e ne segue le sorti, non presentando le relative argomentazioni autonomo rilievo censorio (arg. ex art. 384 c.p.c., comma 4).

Concludendo, in base alle considerazioni svolte il ricorso è infondato e va respinto, con le normali conseguenze anche in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione, secondo la liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla Regione Calabria le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 26,00 per esborsi ed Euro 2.000.00, oltre 12,50%, I.V.A. e C.P.A., per onorari.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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