Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14171 del 08/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14171 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 25836-2009 proposto da:
!POSTE ITALIANE S.P.A. C.E. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 139, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega
2015

in atti;
– ricorrente –

2146
contro

GRAZIANO ANNA C.E. GRZNNA65E69G273N, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

Data pubblicazione: 08/07/2015

studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, rappresentata e
difesa dall’avvocato SALVATORE SANSONE, giusta delega
in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1810/2008 della CORTE

991/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONIche ha concluso per
il rinvio in attesa decisione SS.UU. in subordine
rigetto.

D’APPELLO di PALERMO, depositata il 26/11/2008 R.G.N.

R.G. n. 25836/09
Ud. 14.5.2015

t

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Graziano Anna nei confronti di Poste Italiane S.p.A., volta alla
declaratoria di nullità del termine apposto al contratto stipulato
dal 1° marzo al 30 giugno 2000, ai sensi dell’art. 8 CCNL dei
dipendenti postali, come integrato dall’accordo del 25 settembre
1997, “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi
produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio
delle risorse umane”, rilevando che la Graziano aveva esperito il
tentativo obbligatorio di conciliazione dopo circa quattro anni
dalla risoluzione del rapporto e che tale ritardo doveva
considerarsi come comportamento tacito concludente, idoneo ad
esprimere la volontà di risoluzione del rapporto.
Tale sentenza, su impugnazione della lavoratrice, è stata
riformata dalla Corte d’appello di Palermo, che, con sentenza
depositata il 26 novembre 2008, nell’escludere che il lasso di
tempo lasciato decorrere dopo la conclusione del rapporto
potesse assumere una rilevanza giuridica e potesse essere
interpretato come volontà da parte della Graziano di porre
definitivamente termine al rapporto, ha dichiarato la nullità del
termine apposto al contratto, Kripristino.diel..131rapporto di lavoro e
condanna ella società al pagamento delle retribuzioni a
decorrere dalla data di messa in mora sino alla ripresa del
servizio.

Il Tribunale dightni*Cg ha respinto la domanda proposta da

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Contro questa sentenza ricorre per cassazione Poste
Italiane sulla base di otto motivi, illustrati da memoria. Resiste O.
lavorate con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando plurime
violazioni di legge, censura la sentenza impugnata per avere

tentativo di conciliazione e la successiva azione giudiziale,
protrattosi per oltre quattro anni dopo la conclusione del
contratto a termine, non poteva essere interpretato come
espressione di un definitivo disinteresse a far valere la nullità del
termine apposto al contratto e, quindi, come tacito consenso alla
definitiva risoluzione del rapporto.
2. Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione,
la ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe dovuto dar
corso alle richieste istruttorie formulate da essa ricorrente, volte
ad accertare lo svolgimento, da parte della Graziano, di attività
lavorativa dopo la conclusione del rapporto a termine, ciò che
avrebbe confermato il suo disinteresse alla prosecuzione del
rapporto.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione
dell’art. 116 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata
attribuito rilevanza ad una circolare di Poste Italiane S.p.A., con
la quale si precisava che non dovevano essere stipulati contratti
a termine con soggetti che avevano in atto un contenzioso
giudiziale o stragiudiziale con la società. Da tale circostanza,
diversamente da quanto affermato dalla sentenza impugnata,
non poteva dedursi che l’inerzia della lavoratrice era stata
determinata dal timore di pregiudicare una sua futura
assunzione.
4. Con il quarto motivo, denunciando violazione di norme di
diritto e di accordi collettivi, la ricorrente rileva che, in virtù della
delega conferita dal legislatore con la legge n. 56 del 1987,
l’autonomia sindacale non incontra limiti ed ostacoli di sorta

ritenuto che il prolungato ritardo della lavoratrice nel proporre il

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nella tipologia dei contratti a termine in relazione alle ipotesi che
ne legittimano la conclusione. Alla data della stipula del
contratto permanevano le esigenze legittimanti la stipula dei
contratti a termine ai sensi dell’accordo del 25 settembre 1997 e
non era scaduto il termine finale di efficacia dell’accordo
medesimo, come era dimostrato dai successivi accordi, aventi
ancora in corso. Non ricorreva quindi il limite temporale del 30
aprile 1998 ravvisato dalla sentenza impugnata.
5. Con il quinto motivo, denunciando vizio di motivazione,
la ricorrente rileva che la sentenza impugnata non ha
sufficientemente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto
illegittimo il contratto. In particolare non ha spiegato i motivi
secondo cui l’accordo del 25 settembre 1997 avesse una efficacia
temporale limitata sino alla data 30 aprile 1998.
6. Con il sesto motivo la ricorrente, denunciando plurime
violazioni di legge, censura la sentenza impugnata per avere
considerato quale atto di messa in mora il ricorso introduttivo.
Tale atto infatti non conteneva alcuna offerta delle prestazioni
lavorative, onde il pagamento delle retribuzioni avrebbe dovuto
decorrere dalla data di ripresa del servizio.
7. Con il settimo motivo la ricorrente, denunciando vizio di
motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.,
censura la sentenza impugnata per avere disatteso le richieste
istruttorie volte ad accertare che, dopo la conclusione del
contratto, la lavoratrice aveva trovato altra occupazione e che,
conseguentemente, era fondata l’eccezione di aliunde perceptum.
8.

Con l’ottavo motivo la ricorrente, denunciando

violazione di nome di diritto, deduce che la quantificazione del
danno “deve tener conto della compensati° lucri cum damno

nonché dell’eventuale concorso

colposo del debitore

(consistente nell’omessa ricerca di un nuovo posto di lavoro)’.
9. I primi tre motivi, che essendo connessi vanno
esaminati congiuntamente, non sono fondati.

natura ricognitiva del processo di ristrutturazione di Poste

4

Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel giudizio
instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai
scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base
contratto a termine nonché del comportamento tenuto dalle parti
e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente
fine ad ogni rapporto lavorativo. L’onere di provare le circostanze
dalle quali possa ricavarsi siffatta volontà grava sul datore di
lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso del
rapporto.
E’ stato altresì precisato da questa Corte che la valutazione
del significato e della portata del complesso dei suddetti elementi
di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono
censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o
errori di diritto (cfr., per tutti tali principi, Casa. n. 16932/11;
Cass. n. 5887/11; Cass. n. 23319/10; Casa. n. 23057/10:
Cass. n. 16424/10; Cass. n. 2279/10).
Nella specie la Corte territoriale ha affermato – con
motivazione coerente, logica ed immune da vizi – che dagli
elementi acquisiti al processo non era emersa alcuna volontà
abdicativa della lavoratrice a far valere la nullità della clausola
appositiva del termine, se non la circostanza del mero decorso
del tempo, elemento questo insufficiente ai fini della dedotta
risoluzione per mutuo consenso. Ed ha aggiunto che l’inerzia
della lavoratrice era verosimilmente da attribuire ad una
fiduciosa aspettativa di essere integrata a tempo pieno
nell’organico dell’azienda o, quanto meno, di essere nuovamente
destinatarick di un altro contratto a termine, ciò che si era
verificato, con riguardo ad altri lavoratori, in altre occasioni.

del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo

5

I motivi in esame devono pertanto essere respinti.
10. Anche il quarto e il quanto motivo, anch’essi da
esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione,
sono infondati.
Questa Corte, in controversie analoghe alla presente, ha
più volte affermato, con riguardo alla disciplina vigente
che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della
legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi di
assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del
lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia
per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla
necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra
contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive
di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato
(v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; Cass. 20 aprile 2006 n. 9245;
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862; Cass. 26 luglio 2004 n. 14011).
Si tratta di una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non
essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr. Cass. 4 agosto
2008 n. 21062; Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).
In tale situazione, ove però un limite temporale sia stato
previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (Cass. 23 agosto

anteriormente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 368 del 2001,

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2006 n. 18383; Cass. 14 aprile 2005 n. 7745; Cass. 14 febbraio
2004 n. 2866; da ultimo Cass. 18 marzo 2011 n. 6294).
E’ stato altresì ripetutamente affermato che, in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL
26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo,

riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa
alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile
1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità dei contratti
a termine stipulati dopo tale data, per carenza del presupposto
normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, in
forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230 (v., fra le altre,
Cass. n. 20608/07; Cass. n. 7979/08; Cass. n. 28450/08; Cass.
n. 24281/11; Cass. n. 3056/12; Cass. n. 3042/14).
Infine, non è stata attribuita da questa Corte alcuna
rilevanza all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè
quando il diritto del lavoratore si era già definitivamente
perfezionato.
Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse
dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti,
con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la
copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza
delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare
la regola dell’inclisponibilità dei diritti dei lavoratori già acquisiti,
con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere,
anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo
la disciplina nel D. Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare
retroattivamente la stipulazione di contratti non più legittimi per

sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di

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effetto della durata in precedenza stabilita (cfr. Cass. 12 marzo
2004 n. 5141; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 16
novembre 2010 n. 23120).
Nella specie la Corte di merito, disattendendo tutte le
contrarie argomentazioni formulate da Poste, ha fatto corretta
applicazione di tali principi, con argomentazioni coerenti, logiche
rigettati.
11. Infondato è altresì il sesto motivo. La Corte di merito,
dopo aver rilevato che il pagamento delle retribuzioni
presuppone una situazione di mora accipiendi, che si verifica
allorchè il lavoratore offre al datore di lavoro le proprie
prestazioni lavorative, ha affermato che il ricorso introduttivo
conteneva siffatta offerta, avendo la lavoratrice chiesto
espressamente la riattivazione del rapporto.
La ricorrente, nel contestare tale affermazione, si limita ad
una mera affermazione di segno diverso rispetto a quella
contenuta nella sentenza impugnata, senza fornire alcuna
dimostrazione al riguardo.
12. Il settimo motivo è inammissibile, essendo erroneo il
presupposto di fatto da cui esso muove. Diversamente da
quanto si afferma in ricorso, non risulta dalla sentenza
impugnata che la Corte di merito abbia respinto l’eccezione di

aliunde perceptum

della quale invero non si è occupata – né

che abbia disatteso le richieste istruttorie al riguardo formulate
dall’odierna ricorrente.
In tale situazione la ricorrente avrebbe dovuto
denunciare il vizio di omessa pronuncia, ex art. 360, primo
comma, n. 4, cod. proc. civ. e non già, come ha fatto, quello di
omessa motivazione (n. 5 dello stesso articolo).
13. Inammissibile è infine l’ottavo motivo. Le questioni
in esso dedotte non risultano infatti affrontate dalla Corte di
merito. La ricorrente, in violazione del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, non deduce di averle

e non contraddittorie, onde i motivi in esame devono essere

8

proposte o riproposte nei pregressi gradi del giudizio né, tanto
meno, ne precisa i termini. Da qui l’inammissibilità:.k1 per la
novità delle questioni..Y( – 0.444- : daedi. cexs4ot.” 1 14. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la
ricorrente, nel rilevare che nel corso del giudizio è sopravvenuta
la legge n. 183/10, art. 32, che ha disciplinato le conseguenze
economiche in caso di conversione del rapporto a termine, chiede
che, in ogni caso, venga applicata tale normativa.
La richiesta non può essere accolta, risultando
inammissibili i motivi relativi alle conseguenze economiche
derivanti dalla illegittimità del termine apposto al contratto.
Al riguardo, come più volte affermato da questa Corte,
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superueniens
che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova
disciplina del rapporto controverso, è necessario non solo che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle
questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura
del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 17974/11; Cass. 9583/11
cit; Cass. 10547/06; Cass. 4070/04), ma anche che il motivo di
ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla
disciplina sopravvenuta, sia ammissibile secondo la disciplina
sua propria (v., fra le altre, Cass. 80/11; Cass. 9583/11; Cass.
17974/11 cit.).
15. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida a favore della
resistente in £ 100,00 per esborsi ed £ 3.500,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 14 maggio 2015.

.

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