Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1417 del 18/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/01/2019, (ud. 17/10/2018, dep. 18/01/2019), n.1417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 756-2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ERITREA

154, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO GRECO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNALISA PANNO;

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMACELLI

103, presso lo studio degli avvocati EMILIO GRECO e VINCENZO

MONTONE, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

P.S., P.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ARNO 88, presso lo studio dell’avvocato CAMILLO UNGARI TRASATTI,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI FIORETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6576/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

S.A. e S.G. hanno proposto distinti ricorsi, notificati il 22 dicembre 2017, riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c., avverso la sentenza n. 6576/2017 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 17 ottobre 2017.

P.M. e P.S. resistono con controricorso, eccependo in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso di S.A., essendo stata la sentenza impugnata notificata sempre in data 17 ottobre 2017 presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori della stessa avvocati Ciliberto, Nobile e Panno. La notificazione della sentenza a mezzo PEC, tentata il 17 ottobre 2017 agli avvocati Vincenzo e Rosamaria Montone, difensori di S.G., non si era invece perfezionata per “casella piena”.

La Corte d’Appello di Roma ha respinto gli appelli avanzati da S.A. e S.G. contro la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Roma il 1 agosto 2014, che aveva dichiarato nullo, per violazione del divieto del patto commissorio, il contratto di compravendita del 13 luglio 2009 con il quale S.G., quale procuratore di Pa.Gi., aveva venduto alla figlia S.A. l’immobile sito in (OMISSIS), avente accesso da (OMISSIS), e da (OMISSIS).

I due ricorsi di S.A. e S.G. sono entrambi articolati in unico motivo (violazione ed errata e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1963 e 2744 c.c., nonchè omessa e insufficiente motivazione). Le censure sottolineano che la Corte di Roma non avrebbe preso in considerazione le argomentazioni difensive degli appellanti, quanto, in particolare, alla somma versata da S.G., che doveva considerarsi non solo quella portata dagli assegni, ma anche quella di Euro 100.000,00 ricevuta dal Pa. a scomputo dell’affitto.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso di S.A. potesse essere dichiarato inammissibile e che il ricorso di S.G. potesse essere dichiarato improcedibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

In via preliminare, deve osservarsi che, sebbene nè l’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1, nè l’art. 380-bis c.p.c., comma 1 (sia pure nel testo da ultimo modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e, conv., con modif., in L. 25 ottobre 2016, n. 197), prevedano espressamente tra i casi di applicabilità del procedimento decisorio in camera di consiglio, l’ipotesi di improcedibilità del ricorso, essa vi si deve ritenere egualmente compresa (cfr. già Cass. Sez. 6 – 3, 18/10/2011, n. 21563).

I ricorrenti hanno allegato in ricorso che la sentenza impugnata è stata loro notficata a mezzo PEC in data 24 ottobre 2017.

Gli stessi ricorrenti non hanno tuttavia adempiuto l’onere, imposto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, ai destinatari di notificazione della sentenza eseguita con modalità telematiche, di estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenuto e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 6-2, 22/12/2017, n. 30765; si veda anche Cass. Sez. U, 27/04/2018, n. 10266).

I ricorrenti, nella “memoria ex art. 378 c.p.c”, (da intendersi 380 bis c.p.c., comma 2), al paragrafo sub b), hanno evidenziato come la sentenza notificata contiene l’espressa dichiarazione “ho notificato unitamente alla presente relazione, firmata digitalmente…come tale copia conforme della sentenza n. 6576/2017 del 17.10.2017”, essendo comunque la sentenza “certificata nella sua autenticità” dall’avvocato Fioretti, trattandosi di una “scansione di immagine”. Con tale prospettazione, i ricorrenti confondono quelli che sono, rispettivamente, gli oneri cui è chiamata la parte che notifichi la sentenza alla controparte a mezzo PEC e quelli cui è, invece, chiamato il difensore del ricorrente per cassazione che sia stato destinatario della notifica della sentenza impugnata con modalità telematiche, al quale certamente spetta l’attestazione di conformità agli originali digitali della copia analogica della sentenza e della relazione di notificazione, atto da depositare in cancelleria entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c, comma 1, non potendosi altrimenti desumere da altri adempimenti o produzioni l’equipollenza a tale attestazione (cfr. Cass. Sez. 6-3, 22/05/2018, n. 12609).

E’ però dimostrato, alla stregua dell’eccezione dei controricorrenti, che copia della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 6576/2017 era stata già notificata ai difensori della ricorrente S.A. il 17 ottobre 2017 presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori della stessa avvocati Ciliberto, Nobile e Panno, come risulta dalla relazione di notificazione e dalle ricevute di accettazione e consegna del relativo messaggio PEC depositate. Va quindi esclusa la possibilità di applicare la sanzione dell’improcedibilità quanto al ricorso di S.A., ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto la relata di notifica – pur non depositata dalla ricorrente unitamente al ricorso entro il termine di sui all’ art. 369 c.p.c., comma 1, – è in ogni caso entrata nella disponibilità della Corte, perchè prodotta appunto dalla parte controricorrente (cfr. Cass. Sez. U., 02/05/2017, n. 10648).

Si deve quindi procedere, per il ricorso di S.A., al riscontro della tempestività del rispetto del termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c., comma 2. Alla luce dei documenti prodotti dai controricorrenti, da cui rileva che la notifica della sentenza impugnata era stata eseguita ai difensori della ricorrente di S.A. il giorno 17 ottobre 2017, il termine entro cui il ricorso andava notificato era il 18 dicembre 2017, laddove, invece, tale notifica e avvenuta soltanto il 22 dicembre 2017.

Ne conseguono: 1) l’inammissibilità del ricorso di S.A. per violazione del termine ex art. 325 c.p.c., comma 2; 2) l’improcedibilità del ricorso di S.G., ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, per mancata attestazione con sottoscrizione autografa della conformità agli originali digitali della copia della relazione di notifica della sentenza a mezzo posta elettronica certificata del 24 ottobre 2017, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter; 3) la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, con condanna in solido dei ricorrenti, stante la comune posizione difensiva, in favore dei controricorrenti.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – dell’obbligo di versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni dichiarate inammissibile ed improcedibile.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da S.A., dichiara improcedibile il ricorso proposto da S.G. e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto peri rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2019

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