Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14168 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/06/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28506/2007 proposto da:

G.M.G., P.A., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA GIORDANO BRUNO 47 SCALA 5 INTERNO 10, presso lo studio

dell’avvocato MARRAZZO LUISA, rappresentati e difesi dall’avvocato

PERRI Carmela, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. NICOTERA 29, presso lo

studio dell’avvocato CASALINUOVO ALDO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FALDUTO Paolo Antonio, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 46/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/01/2007 R.G.N. 1395/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato PERRI CARMELA;

udito l’Avvocato BISOGNI ANNA MARIA per delega FALDUTO PAOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Cosenza, quale giudice del lavoro, aveva, con due distinte sentenze del 18 novembre 2004, accolto le domande svolte:

da P.A., dipendente della Regione Calabria con la qualifica di operatore di livello 3^ dal 2 giugno 1984, dirette ad ottenere la disapplicazione dei decreti regionali del 13 marzo 2001 e del 16 gennaio 2002, che (anticipati da un decreto del 3 maggio 2000, richiamato nel corpo di questi ultimi, col quale i Dirigente generale del dipartimento del personale aveva dichiarato tamquam non essent i provvedimenti individuali successivi al 31 marzo 1999, modificativi dello stato giuridico del personale) avevano ripristinato, prima in via cautelare e poi definitivamente, il suo inquadramento nella qualifica funzionale di terzo livello dopo che con precedente decreto del 17 marzo 2000 la Regione gli aveva riconosciuto prima la superiore qualifica funzionale di 5^ livello quale terminalista e poi, con la medesima decorrenza, la 6^ qualifica funzionale quale capo di unità operativa, in sede di revisione degli inquadramenti di alcuni dipendenti;

da G.M.G., anch’essa destinataria di coevi provvedimenti del 23 febbraio 2001 e 25 febbraio 2002 di ripristino dell’originario inquadramento nella terza qualifica funzionale dopo essere stata in sede di revisione inquadrata prima nella quinta quale terminalista (decreto 16 marzo 2000) e poi nella sesta, quale “consollista” (decreto 7 aprile 2000).

Il giudice di primo grado aveva accolto le domande, rilevando che il thema decidendum non riguardava l’accertamento dei presupposti per il riconoscimento di una qualifica superiore, ma atteneva alla possibilità o meno per la Regione di ripristinare un inquadramento inferiore a quello in precedenza riconosciuto ai due dipendenti e aveva dichiarato che ciò si sarebbe tradotto in un demansionamento vietato dalla legge sullo stato giuridico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (art. 2103 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52).

Su appello della Regione, la Corte d’appello di Catanzaro, riuniti i due procedimenti, riformando la decisione del primo giudice con sentenza depositata il 19 gennaio 2007, ha rilevato che la fattispecie sottoposta al suo esame non atteneva all’obbligo del datore di lavoro di adibire (o mantenere) il lavoratore a mansioni corrispondenti alla qualifica rivestita e quindi non coinvolgeva la disciplina di cui all’art. 2103 c.c. (recte D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52) e riguardava piuttosto la possibilità di annullare un precedente atto di inquadramento illegittimo perchè operato in una qualifica funzionale errata.

A tale problema, la Corte territoriale ha dato una risposta positiva, accertando quindi che nel caso in esame, non essendo applicabili le leggi regionali nn. 9/75 e 14/91, che avrebbero valorizzato, ai fini dell’attribuzione della qualifica, l’esercizio di mansioni superiori, in deroga alla disciplina generale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, ai ricorrenti non avrebbe potuto essere attribuita la qualifica superiore sulla base dell’affermazione relativa allo svolgimento di mansioni corrispondenti.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ora un unico ricorso per cassazione, notificato il 16 novembre 2007, P.A. e G.M.G., affidandolo a sei motivi.

Resiste alle domande la Regione Calabria con rituale controricorso.

I due ricorrenti hanno depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso attengono:

a – alla violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 52, 56 e 63, per avere la Corte territoriale individuato il tema della lite nel diritto dei dipendenti al superiore inquadramento anzichè nella valutazione di legittimità o meno dei decreti che avevano ripristinato il precedente inquadramento;

b – alla violazione degli artt. 434, 342, 346, 132 e 352 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., laddove il giudice di appello dopo avere individuato come unico motivo di appello l’erronea applicazione dell’art. 2103 c.p.c., si era pronunciato sul diverso oggetto riguardante l’inesatta individuazione del thema decidendum da parte del giudice di primo grado, tra l’altro senza procedere ad un esame critico della sentenza di quest’ultimo;

c – alla violazione dell’art. 2909 c.c. e quindi del giudicato rappresentato dalla sentenza definitiva del Tribunale di Catanzaro che aveva revocato con sentenza 24.11.00-16.1.01 – in sede di giudizio istaurato su opposizione di terzi, tra i quali i ricorrenti – il decreto ex art. 28 S.L. pronunciato il 13 luglio 2000 nella parte in cui il giudice del lavoro, accertato che la revisione delle qualifiche di alcuni dipendenti a partire dal 1 aprile 1999 era avvenuta senza consultare il sindacato, aveva ordinato di procedere al riesame congiunto degli inquadramenti con le OO.SS.. La parte ricorrente sostiene infatti che la sospensione cautelare dell’inquadramento nella qualifica superiore e poi la revoca definitiva sarebbero state il frutto dell’ordine contenuto in tale decreto ex art. 28 S.L., nonostante che questo fosse già stato revocato dal Tribunale al momento della sospensione cautelare;

d – alla violazione dell’art. 2103 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, per non aver tenuto conto che l’inquadramento dei ricorrenti nella sesta qualifica funzionale, corrispondente alle mansioni svolte da anni, non avrebbe potuto essere ritirato col ripristino della inferiore qualifica funzionale senza comportare un demansionamento vietato dalla legge;

e – alla violazione della L.R. n. 30 del 1990, art. 33, che avrebbe inquadrato il profilo professionale di addetto alla registrazione dati dell’area informatica nella quinta qualifica funzionale e fa mansione di consollista e quella di capo unità operativa nella sesta;

f – al vizio di motivazione in ordine ai temi di cui ai precedenti motivi di diritto e per il mancato esame della documentazione prodotta.

Il primo e il secondo motivo di ricorso, che conviene esaminare congiuntamente, sono infondati.

La sentenza impugnata ha accertato che il thema decidendum, alla stregua delle posizioni espresse in giudizio dalle parti, non coinvolgeva, come viceversa ritenuto dal giudice di primo grado, il tema delle mansioni assegnate prima e dopo i provvedimenti di cui era chiesta la disapplicazione, alla luce della disciplina di cui all’art. 2103 c.c. (e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), ma concerneva unicamente la valutazione della legittimità o meno dei decreti di annullamento dell’inquadramento nella sesta qualifica funzionale e di ripristino di quella precedente, alla luce della qualifica effettivamente spettante secondo la disciplina legale e quella contrattuale.

Così stabilito l’ambito dell’indagine, la Corte ha poi affermato, in via generale, il potere della P.A., come di ogni privato datore di lavoro, di ritirare propri precedenti atti in quanto illegittimi o illeciti (salvo sempre la possibilità di verifica giudiziale di tale operato).

Nell’ambito di tale quadro di riferimento generale (di per sè non oggetto di specifica contestazione nel ricorso), la Corte ha poi proceduto all’esame in concreto della “legittimità” o meno dei decreti di “annullamento” del precedente inquadramento dei ricorrenti nella sesta qualifica funzionale, anche (ma non esclusivamente) alla luce della ragione addotta dalla Regione appellante (riprodotta in sentenza) a sostegno di tale “annullamento”, relativa all’erroneità dell’inquadramento della G. e del P. nella indicata sesta qualifica funzionale (tema presente anche nelle difese degli appellati, che ne affermavano la piena correttezza).

Pertanto, anche a prescindere dal rilievo del fatto che le censure della parte ricorrente, condotte alla luce del contenuto del ricorso introduttivo del giudizio e dell’atto di appello della regione, non sono accompagnate, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., per tutte, recentemente, Cass. nn. 4201/10, 6937/10, 10605/10 e 11477/10), dalla specifica riproduzione degli atti citati, nella parte da cui da essi dovrebbe desumersi la fondatezza delle stesse (e anzi, la parte dell’atto di appello riprodotta sembra dare pienamente conto della congruità dell’interpretazione di esso operata dalla Corte territoriale) e tenuto conto della regola secondo la quale anche la parte convenuta concorre con le proprie difese alla delimitazione del thema decidendum, non è comunque dato ravvisare nella sentenza impugnata alcuno dei vizi apoditticamente attribuitile dai ricorrenti.

Anche il terzo motivo non può essere accolto.

In proposito, va infatti rilevato che, assumendo le relative censure a fondamento la violazione del giudicato rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Catanzaro depositata il 16 gennaio 2001, di revoca del decreto ex art. 28 S.L., sarebbe stata necessaria, a norma del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, a pena, rispettivamente, di inammissibilità e di improcedibilità del motivo, la riproduzione anche della parte motiva di tale atto quanto alla revoca dell’ordine di esame congiunto con le OO.SS. della materia indicata nonchè la specifica produzione in questa sede del relativo documento o quantomeno l’indicazione della sua esistenza e della sua precisa collocazione all’interno di uno dei fascicoli allegati (cfr., al riguardo Cass. S.U. nn. 7161/10 e 20075/10), onere che non risulta assolto dalla parte ricorrente.

In ogni caso, alla luce di quanto rappresentato al riguardo dai ricorrenti, appare ragionevole la valutazione della Corte territoriale secondo cui le censure in esame non meritassero risposta, in ragione del fatto che la revoca, da parte del Tribunale dell’ordine (non l’autorizzazione, come affermato in un passaggio dai ricorrenti) di procedere ad una verifica congiunta con le OO.SS. dei decreti relativi allo stato giuridico del personale non era, di per sè, di impedimento all’assunzione da parte della regione di analoga iniziativa in via autonoma.

Iniziativa, in effetti assunta dalla Regione, anche al di là del provvedimento giudiziale ex art. 28 S.L. allora ancora vigente, come rilevato dalla controricorrente e non smentito nel ricorso, “per ristabilire un dialogo con le OO.SS. improntato sul metodo del confronto e della concertazione” (delibera del 27 settembre 2000), del resto in linea con la precedente presa di posizione del dirigente generale del personale della Regione del 3 maggio 2000 (assunta quindi ancor prima del decreto ex art. 28 S.L.) di sospensione dell’efficacia di ogni provvedimento individuale assunto dopo l’entrata in vigore del C.C.N.L. 1998-2000 relativo allo stato giuridico del personale, in attesa di una verifica al riguardo.

Il quarto motivo, relativo alla violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, per il preteso demansionamento operato col ripristino della qualifica funzionale inferiore, è infondato.

La Corte territoriale ha infatti affermato, come già rilevato, che il thema decidendum non attiene al problema dell’assegnazione nel tempo di mansioni equivalenti, ma verte unicamente sulla legittimità o non dei provvedimenti di ripristino della qualifica inferiore sulla base della disciplina legale e contrattuale applicabile, non risultando del resto che i ricorrenti abbiano mai affermato in giudizio di avere avuto assegnate mansioni diverse prima e dopo i vari provvedimenti citati che li hanno riguardati.

La risposta positiva della Corte territoriale fonda dichiaratamente sulla disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, il quale non consente normalmente nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni la progressione automatica di carriera per effetto dell’esercizio di mansioni superiori alla qualifica posseduta.

Il quinto motivo è anzitutto inammissibile in quanto illustrato in maniera confusa e concluso con la formulazione di un quesito di diritto che non esprime un principio di diritto che si chiede venga affermato dalla Corte quanto piuttosto le conclusioni che si chiedere di assumere nella concreta vicenda.

In ogni caso i ricorrenti confondono con tale motivo la disciplina generarle delle qualifiche dei dipendenti regionali, articolate nella L. 5 maggio 1990, n. 30, in diversi profili professionali (tra i quali quelli di capo unità operativa e di consolista, ascritti alla sesta qualifica) col diverso argomento del diritto del lavoratore regionale ad essere assunto o conseguire l’inquadramento in una determinata qualifica, risolto dalla medesima legge con tecniche diverse (concorso esterno, selezioni interne), ma non con l’applicazione della c.d. promozione automatica e quindi per effetto dello svolgimento delle mansioni proprie del profilo.

Infine, con l’ultimo motivo, la parte ricorrente censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione la sentenza su di ognuno dei temi “di diritto” di cui ai motivi precedenti.

Il motivo è pertanto assorbito dai precedenti e ne segue le sorti, non presentando le relative argomentazioni autonomo rilievo censorio (arg. ex art. 384 c.p.c., comma 4).

Concludendo, in base alle considerazioni svolte il ricorso è infondato e va respinto, con le normali conseguenze anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo la liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare alla Regione Calabria le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000.00, oltre 12,50%, I.V.A. e C.P.A., per onorari.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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