Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14167 del 07/06/2017

Cassazione civile, sez. I, 07/06/2017, (ud. 29/05/2017, dep.07/06/2017),  n. 14167

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25304/2016 proposto da:

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di

Catanzaro;

– ricorrente –

nonchè

C.L.L., nella qualità di tutore provvisorio della minore

S.S., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

da se medesima;

– ricorrente successivo –

contro

S.A.E., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato F.P., giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/05/2017 dal cons. ACIERNO MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento per quanto

di ragione, assorbito il ricorso incidentale;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato F.P. che ha

chiesto l’accoglimento del proprio ricorso e rigetto degli altri

ricorsi;

udito, per la ricorrente successiva, l’Avvocato C.L.L. che

ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Catanzaro, sezione per i minorenni, con sentenza del 13 ottobre 2016, ha revocato sia la dichiarazione di adottabilità di S.S., nata il (OMISSIS), sia la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre, S.A.E., così riformando la sentenza del Tribunale per i minorenni di Catanzaro dell’8 marzo 2016 con il seguente percorso argomentativo.

1. – Preliminarmente, la Corte ha riepilogato la complessa sequenza dei fatti posti a base della decisione.

Al Tribunale per i minorenni era pervenuta la segnalazione di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 74 relativa al riconoscimento della minore da parte di T.G.. La madre biologica aveva esercitato il diritto a non essere nominata e non aveva proceduto al riconoscimento.

Su ricorso del P.M., volto a verificare la veridicità del riconoscimento, era stata disposta consulenza tecnica ematologica, che aveva accertato l’incompatibilità genetica tra la minore S. e il T.. Veniva di conseguenza nominato un curatore speciale e autorizzata la proposizione del giudizio d’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di paternità eseguito dal T.. Contemporaneamente, si apriva la procedura di adottabilità della minore ed era disposto l’allontanamento della stessa dall’abitazione del T., a cura del servizio sociale con sospensione della responsabilità genitoriale del medesimo. La madre biologica promuoveva istanza di affidamento della figlia e, con l’assenso del T., procedeva al riconoscimento della minore in data (OMISSIS). In attesa dell’esito del procedimento sullo status genitoriale del T., veniva sospeso il giudizio di adottabilità ed erano disattese le istanze proposte dalla madre di avere incontri con la figlia, oltrechè disposta la sospensione della S. dalla responsabilità genitoriale.

Accertato definitivamente il difetto di veridicità del riconoscimento eseguito dal T. veniva proseguito il giudizio relativo alla dichiarazione di adottabilità della minore, nell’ambito del quale la madre chiedeva la revoca della procedura. Il Tribunale per i minorenni, con la citata sentenza, dichiarava lo stato di adottabilità.

2. – Nel merito dell’impugnazione, la Corte d’Appello ha affermato, per quel che ancora interessa:

2.1. – La non immediatezza del riconoscimento materno costituisce un indizio di abbandono ma non integra di per se solo condizione idonea per dichiarare l’adottabilità. Nel caso di specie, non sussistono i presupposti per la declaratoria dello stato di abbandono dal momento che la madre, dopo una prima fase di smarrimento che l’ha indotta al non riconoscimento nella convinzione che il T. fosse il genitore biologico, ha tenacemente richiesto d’instaurare un rapporto continuativo con la figlia e, dopo il riconoscimento, di assumersene la responsabilità genitoriale. Ha anche acquisito la disponibilità ad occuparsi della minore del proprio compagno, R.C., padre dell’altra figlia minore con entrambi convivente, il quale ha confermato tale intento.

2.2. – E’ emersa una concorde versione degli avvenimenti che si sono succeduti da parte del T., dell’appellante e del suo compagno. Il T. ha riferito dell’esistenza di una relazione extraconiugale con la S., caratterizzata da più incontri settimanali, e il compagno della stessa ha dichiarato di essere stato molto frequentemente lontano per lavoro. Risulta, pertanto, del tutto plausibile che l’appellante abbia ritenuto che il padre biologico della minore fosse il T. e che fosse confortata dal fatto che la minore avrebbe ricevuto le cure necessarie dal padre e dal suo nucleo familiare. Peraltro, l’indagine penale relativa all’accertamento di un accordo tra le parti volto alla violazione della normativa cogente sull’adozione (L. n. 184 del 1983, art. 71) era stato archiviato.

2.3. – La S., in conclusione, ha dimostrato di essersi immediatamente e continuativamente attivata per avere con sè la figlia non appena venuta a conoscenza dell’allontanamento della stessa dal T., così modificando radicalmente la propria condotta e il proprio atteggiamento rispetto al mancato riconoscimento alla nascita.

2.4. – La Corte d’Appello ha disposto lo svolgimento di un’indagine socio ambientale all’esito della quale (relazione del 14 settembre 2016) è emerso che la stessa è una figura positiva, amorevole e materna nei confronti dell’altra figlia minore, K.. In termini positivi la relazione si esprime anche nei confronti del compagno, disponibile ad accogliere la minore. Il nucleo familiare è del tutto idoneo a garantire alla minore una crescita amorevole ed equilibrata, così come lo è stato per l’altra figlia minore.

2.5. – L’accertamento dello stato di abbandono richiede condizioni molto rigorose in ordine all’inidoneità genitoriale, che nel caso di specie non sussistono.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro e il tutore della minore. Ha resistito con controricorso la S.. Il tutore ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. – Le parti ricorrenti hanno svolto censure in parte analoghe. Per semplicità espositiva, esse verranno illustrate unitariamente.

4. – Nel primo motivo del ricorso della Procura generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro e nel quinto motivo proposto dal tutore della minore è stata dedotta la violazione della L. 19 ottobre 2015, n. 173, art. 2 (Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare), per non essere stati convocati gli affidatari della minore nel giudizio d’appello e per non essere stati messi nelle condizione di presentare memorie scritte nell’interesse della minore. L’adempimento, secondo la norma sopra citata, è imposto a pena di nullità. Al riguardo, non è sufficiente che la convocazione sia stata effettuata davanti al Tribunale per i minorenni, dal momento che il giudizio di appello ha dato esito opposto. Infine, si censura la mancata giustificazione di tale omissione e la mancata considerazione del contenuto della convocazione effettuata in primo grado, essendo la sentenza impugnata priva di qualsiasi riferimento al riguardo.

5. – Nel secondo motivo del ricorso della Procura Generale e nel sesto motivo del ricorso proposto dal tutore viene dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 4, comma 5-bis, (inserito dalla L. n. 173 del 2015, art. 1, comma 1), secondo il quale qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno alla famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio affettive consolidatesi durante l’affidamento. Questa valutazione è stata del tutto omessa dalla Corte d’Appello, così conseguentemente violando la norma sopra indicata.

Nel terzo motivo del ricorso della Procura Generale viene dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, art. 8 e art. 15, comma 1, lett. b) per avere la Corte d’Appello considerato insussistente lo stato di abbandono morale e materiale della minore, ritenendo sufficiente il riconoscimento tardivo e l’indagine effettuata dai Servizi Sociali nel corso del giudizio di secondo grado, non tenendo in alcun conto tutte le altre risultanze istruttorie e la complessiva articolazione della vicenda alla luce della quale sarebbe dovuto risultare evidente che le giustificazioni addotte dalla madre biologica dovessero essere ritenute solo apparenti. In particolare, è stata ignorata la valutazione della consulenza tecnica svolta in primo grado sulla personalità della madre ed è stato sottovalutato il contesto nel quale si è verificato prima il mancato riconoscimento e l’affidamento della minore al T. e, successivamente, solo dopo l’allontanamento della stessa dal nucleo familiare del T., l’attivazione per il riconoscimento. Non è sufficiente al riguardo la mera volontà di essere genitore, a fronte del severo giudizio tecnico derivante dalla consulenza svolta in primo grado. Infine, non si è tenuto in alcun conto il disinteresse del compagno della S., il quale oltre a non riconoscere la minore non ha dimostrato alcuna attivazione ed impegno verso la stessa.

Dopo aver ritenuto utilizzabili le emergenze istruttorie acquisite negli altri giudizi la Corte li ha ignorati, non preoccupandosi d’indicarne le ragioni.

Nel quarto motivo del ricorso proposto dalla Procura generale viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella manifestata mancanza di alcun interessamento alla minore da parte del compagno della madre biologica da parte della Corte d’Appello che, oltre a non aver considerato il legame con la famiglia affidataria e gli effetti del distacco, ha incentrato la sua indagine esclusivamente sul rapporto tra la S. e la prima figlia.

Nel quinto motivo del ricorso proposto dalla Procura generale è stata dedotta la violazione dell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 e dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, per non aver assunto come criterio informatore della decisione assunta l’interesse superiore del minore avendo omesso di valutare circostanze di fatto del tutto evidenti in ordine all’inidoneità della madre biologica, con particolare riferimento alla condotta contestuale ed immediatamente successiva alla nascita e alle giustificazioni implausibili fornite.

6. – Nel primo e secondo motivo del ricorso proposto dal tutore viene dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 7, 8 e 74 in relazione all’art. 263 c.c. e art. 8 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’art. 18 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, per avere la Corte d’Appello ritenuto di poter escludere una condotta abbandonica dalle coerenti dichiarazioni dei soggetti coinvolti (il T., la madre biologica e il compagno di quest’ultima), trascurando del tutto la complessa indagine istruttoria svolta nel primo grado e nei giudizi collegati (comprensivi, questi ultimi, anche del grado d’appello) ed evitando il confronto con le opposte valutazioni poste a base della sentenza di primo grado. Oltre a queste rilevanti carenze, la Corte d’Appello non ha svolto alcuna seria indagine sul compagno della madre biologica della minore e sul nucleo familiare, limitandosi a valutare l’idoneità della madre, nonostante la gravità delle condotte anteriori, sui riscontri relativi all’indagine compiuta dai servizi sociali in ordine alla relazione con l’altra figlia.

La Corte ha privilegiato ingiustificatamente il rientro nella famiglia di origine, ignorandone l’estraneità per la minore e la condotta della madre e del T. che avevano dato luogo a questa situazione.

7. – Nel terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 7 e 8 in relazione alla L. n. 184 del 1983, art. 11 per aver ritenuto che il Tribunale per i minorenni avesse dichiarato lo stato di adottabilità solo per l’omesso riconoscimento alla nascita invece che per gli esiti della complessa indagine svolta. La sospensione del procedimento di adottabilità, previsto al secondo comma dell’art. 11 nel caso in cui risulti l’esistenza di genitori naturali, non determina in via automatica la non adottabilità del minore in caso di riconoscimento giudiziale.

8. – Nel quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per non essere stata rinnovata l’istruttoria non solo sulla madre biologica e sul suo nucleo familiare ma su tutti i profili critici acquisiti dagli esiti istruttori dei procedimenti relativi al disconoscimento di paternità di T. e di riconoscimento di maternità della S.. Di fronte al sospetto di una “cessione” della minore, non può darsi luogo soltanto ad un’indagine ambientale dalla quale è emersa soltanto la relazione con l’altra figlia, ovvero un riscontro del tutto insufficiente.

In definitiva, le conclusioni e le valutazioni dell’indagine tecnica svolta in primo grado non sono state sottoposte a critica e non possono essere superate con una mera indagine ambientale.

9. – Preliminarmente, devono essere esaminate le eccezioni d’inammissibilità dei ricorsi proposti dal tutore e dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello, sollevate nel controricorso.

Quanto alla prima, relativa al difetto di firma digitale del ricorso deve osservarsi che dall’esame del medesimo risulta sia il segno grafico della firma dell’avvocato C. sia il riscontro dell’intervenuta firma digitale, sia in calce al testo sia in ordine alla copia notificata. Sotto questo profilo la censura è scarsamente comprensibile. Peraltro, nessun rilievo sostanziale relativo a difetto di ricezione o deficit di comprensione dell’atto risulta prospettato. Il vizio, in conclusione, non evidenzia alcuna lesione del diritto di difesa e sotto questo specifico profilo è anche inammissibile.

Quanto alla seconda, relativa alla ritualità della notificazione e del deposito del ricorso della Procura generale, è sufficiente osservare che, non essendo in discussione la tempestiva ricezione dell’atto e la validità ed efficacia dell’impugnazione, le irregolarità denunciate, oltre ad essere prive di fondamento, dal momento che si è proceduto sia alla notificazione che al deposito del ricorso, sono del tutto inidonee ad inficiare di nullità il ricorso e la sua notificazione.

10. – L’esame dei primi due motivi del ricorso proposto dalla Procura generale presso la Corte d’Appello e del quinto e sesto motivo del ricorso proposto dal tutore possono essere esaminati congiuntamente e richiedono una preventiva illustrazione del quadro normativo applicabile.

10.1. – In particolare, devono essere posti a confronto la L. n. 184 del 1983, artt. 15 e 17 nel testo attualmente vigente e ratione temporis applicabile al presente giudizio, e l’art. 5, comma 1 medesima legge così come novellato per effetto della L. n. 173 del 2015, art. 2, comma 1.

In primo luogo, deve essere indicata l’esatta cronologia dei gradi del processo che hanno condotto alla fase di legittimità.

Risulta dagli atti che il primo grado del giudizio relativo all’adottabilità di S.S. si è concluso con sentenza depositata il giorno 8 marzo 2016, dopo un lungo iter, all’interno del quale si sono definiti gli status genitoriali veridici della minore, essendo stato accertato il difetto di veridicità del riconoscimento effettuato dal T. ed essendo stata riconosciuta la maternità della S..

Il giudizio di appello si è integralmente svolto successivamente all’entrata in vigore della L. n. 173 del 2015, intervenuta il 13 novembre 2015.

La L. n. 184 del 1983, art. 15, comma 2, (rimasto immutato per quel che interessa nonostante le interpolazioni succedutesi nel tempo), stabilisce che nel giudizio camerale relativo alla dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore debba essere sentita la persona (o le persone) “cui il minore è affidato”. Secondo il consolidato orientamento di questa Sezione, l’omessa audizione in primo grado è ragione di nullità della sentenza, da far valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c. (Cass. 11019 ed 11120 del 2006).

Nel caso di specie, l’adempimento è stato regolarmente eseguito nel giudizio svoltosi davanti al Tribunale per i minorenni.

La stessa L. n. 184 del 1983, art. 17 relativo al procedimento sulla dichiarazione di adottabilità in appello, nella versione ratione temporis applicabile, in vigore dal 27 aprile 2001, non contiene la previsione dell’audizione dell’affidatario ma esclusivamente delle parti e del pubblico ministero. E’ stabilito nella norma, proprio nella nuova formulazione vigente dal 27 aprile 2001, “effettuato ogni altro opportuno accertamento”.

Quest’ultima norma deve, tuttavia, essere integrata con le rilevanti innovazioni, relative anche al processo, introdotte dalla L. n. 173 del 2015, entrata in vigore il 13 novembre 2015.

In particolare, l’art. 2, comma 1 tale legga ha integrato il precedente comma 1 dell’art. 15 stabilendo espressamente che “L’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell’interesse del minore”.

Tale norma ha natura indubbiamente processuale e, in mancanza di una puntuale disciplina di diritto transitorio – come esattamente rilevato anche dal Procuratore generale nella sua requisitoria – trova applicazione nei giudizi in corso.

La ratio del potenziamento della partecipazione degli affidatari nei giudizi relativi alla dichiarazione di adottabilità di minore è duplice. Essa deve essere rinvenuta, in primo luogo, nel riconoscimento del ruolo degli affidatari nello sviluppo psico-fisico del minore, specie quando si sia stabilita una relazione affettiva di media o lunga durata, dovendosi rilevare che la valutazione del tempo cambia in relazione all’età del minore, essendo verosimilmente sufficiente una durata minore nei primi anni di vita a fondare una relazione significativa. In particolare, il ruolo degli affidatari consiste nella costruzione del contesto relazionale del minore, spesso primario, e nella conseguente conoscenza della sua indole e dei suoi comportamenti, bisogni e criticità, secondo una valutazione fondata sull’esperienza relazionale; in secondo luogo, nell’esigenza di conservare figure significative e caratterizzanti fasi decisive dello sviluppo psico-fisico del minore.

Al fine di far emergere nel giudizio la complessiva personalità del minore e le sue esigenze è stata prevista la partecipazione degli affidatari “ai procedimenti” e non solo ad una fase o ad un grado di essi, a pena di nullità.

10.2 – Questo precetto non è stato osservato nella specie, non essendo sufficiente alla luce della più rigorosa formulazione della norma, l’audizione degli affidatari in primo grado senza alcuna giustificazione dell’omessa reiterazione della loro convocazione, nel giudizio d’appello.

Nella sentenza manca, infatti, ogni riferimento agli affidatari ed al ruolo da essi eventualmente svolto in relazione alla minore nel periodo molto lungo di affidamento che si è in concreto determinato (la minore è stata allontanata dal nucleo familiare del T. il (OMISSIS), cioè pochi mesi dopo la nascita, ed è rimasta sempre in affidamento). Deve, pertanto, ritenersi consumata la nullità così come stabilita nel citato L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, ultimo periodo, della nel testo novellato dalla L. n. 173 del 2015, art. 2, comma 1, vigente al momento della celebrazione del giudizio d’appello. In tale grado del giudizio è stato omesso un adempimento imposto a pena di nullità senza alcuna specifica argomentazione rinvenibile in sentenza. L’audizione degli affidatari era tanto più necessaria, al fine di poter effettuare una corretta ponderazione dei fatti acquisiti ed un adeguato bilanciamento dei diritti in conflitto, in quanto la pronuncia di secondo grado ha disposto la revoca dell’adottabilità.

11. – Il contenuto effettivo della partecipazione al giudizio degli affidatari si coglie, peraltro, anche attraverso l’esame dei commi 5-bis, 5-ter e 5-quater, inseriti nella L. n. 184 del 1983, art. 4 dalla L. n. 173 del 2015, art. 1, comma 1, i quali costituiscono il parametro normativo della censura contenuta nel secondo motivo di ricorso del Procuratore generale e nel sesto motivo di ricorso del tutore. In particolare, trova applicazione nella specie, l’art. 4, comma 5 ter ai sensi del quale: – Qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento”.

Tale valutazione, nonostante i cinque anni trascorsi dalla minore in affidamento, peraltro sostanzialmente coincidenti con gli anni vissuti dalla stessa, non è stata svolta dalla Corte d’Appello, ancorchè fosse necessaria e imposta dalla norma sopra illustrata, dal momento che poteva profilarsi, come l’esito del giudizio d’appello ha dimostrato, una decisione che disponesse il ritorno del minore nella famiglia d’origine.

12. – In conclusione, devono essere accolti il primo e secondo motivo di ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, nonchè il quinto e sesto motivo del ricorso del tutore della minore, assorbiti tutti gli altri, con conseguenti nullità della sentenza impugnata e cassazione con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, perchè provveda anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

 

Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, nonchè il quinto e sesto motivo del ricorso del tutore della minore, assorbiti tutti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, anche in ordine alle spese del presente grado del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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