Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14166 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16635/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini n. 134,

presso l’Avv. Luigi Fiorillo, rappresentata e difesa dall’Avv. TOSI

Paolo per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.F., elettivamente domiciliato in Roma in Viale

Delle Milizie n. 38, presso l’Avv. GALLEANO Sergio, che lo

rappresenta e difende per procura rilasciata a margine del

controricorso; ed ora dom. in Via Germanico 172, Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 852/2006 della Corte d’appello di Torino,

pronunziata in causa n. 2071/05 r.g., depositata in data 6.06.06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12.05.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

uditi l’Avv. Anna Buttafoco per delega Tosi e l’Avv. Galleano;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- D.F. chiedeva al Giudice del lavoro di Vercelli che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 27.3-29.5.99.

2.- Accolta la domanda e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate a titolo di risarcimento, proponevano appello Poste Italiane, in via principale, censurando l’interpretazione data dal giudice alle disposizioni collettive applicabili e D., in via incidentale, reclamando la retrodatazione della decorrenza del risarcimento.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 6.06.06, rigettava l’impugnazione principale ed accoglieva quella incidentale, fissando dalla data del 2.4.03 la decorrenza delle retribuzioni arretrate.

Il contratto era stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda, pertanto sarebbe stato onere, rimasto inevaso, di Poste Italiane provare l’esistenza del nesso tra le esigenze riconnesse alla ristrutturazione e l’assunzione del dipendente; in ogni caso le assunzioni per detta causale erano ammesse fino al 30.4.98, data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, cui D. rispondeva con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con due motivi di ricorso la soc. Poste Italiane deduce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c., e segg., nonchè carenza di motivazione, sotto un duplice profilo: in quanto detto art. 23 non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e, in particolare, consente di individuare in astratto le condizioni per il ricorso alle assunzioni a termine, senza prefigurazione di alcuna limitazione temporale.

5.- Procedendo a trattazione congiunta dei due motivi, va rilevato che la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurims, Cass. 23.8.06 n. 18378).

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo-negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza dell’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), in ogni caso sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

6.- L’impostazione adottata, basata su ormai univoco orientamento di questa Corte, consente di affermare che la sussistenza delle esigente eccezionali è stata negozialmente riconosciuta dalle parti stipulanti limitatamente ad un periodo temporale limitato alla data del 30.4.98 e che, conseguentemente, la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di Poste Italiane di dare prova di una specifica e concreta esigenza.

Essendo stato il contratto a termine del M., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato per il periodo 27.3-29.5.99, i due motivi sono infondati.

7.- Infondati i motivi dedotti dalla ricorrente, il ricorso deve essere rigettato e la sentenza impugnata, conforme a diritto nel dispositivo, deve essere corretta nei sensi sopra indicati, in ottemperanza all’art. 384 c.p.c., comma 2.

8.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262 (suppl.

ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10, ha chiesto alla Corte che il risarcimento del danno venga effettuato secondo i criteri ivi previsti.

L’ingresso nel presente giudizio di legittimità della questione dei detti nuovi criteri di quantificazione è, tuttavia, subordinato alla sussistenza delle condizioni processuali per esaminare la richiesta di risarcimento del lavoratore. Tali condizioni si verificherebbero nel caso che, rigettati i motivi di censura contro la dichiarata nullità del termine, dovesse esaminarsi un motivo di impugnazione che affronti anche il punto della liquidazione del risarcimento effettuata dal giudice di merito.

Nel caso di specie, tuttavia, tale impugnazione manca, di modo che non sorge questione circa l’applicabilità dell’invocato ius superveniens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub indice.

9.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 17,00 per esborsi e di Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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