Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14166 del 11/06/2010
Cassazione civile sez. trib., 11/06/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 11/06/2010), n.14166
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso
la stessa domiciliata in Roma in Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
B.A.;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
dell’Emilia Romagna n. 20/23/07, depositata l’8 marzo 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3
marzo 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco.
La Corte:
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia- Romagna n. 20/23/07, depositata l’8 marzo 2007, che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Piacenza, ha riconosciuto ad B.A., architetto, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998, 1999 e 2000.
Il contribuente non ha svolto attività nella presente sede.
Il ricorso contiene due motivi, che rispondono ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis cod. proc. civ..
Con il primo motivo si denuncia violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto impositivo costituito dalla sussistenza di autonoma organizzazione; con il secondo si censura la sentenza per vizio di motivazione nella valutazione della sussistenza della autonoma organizzazione ai fini della imposizione.
La ratio decidendi della sentenza impugnata – nel riferimento all’attività professionale svolta dal contribuente come attività protetta – non è conforme al consolidato principio affermato da questa Corte in materia, secondo cui, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata: il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui; costituisce poi onere del contribuente che richieda il rimborso fornire la prova dell’assenza delle condizioni anzidette ex plurimis, Cass. n. 3676, n. 3673, n. 3678, n. 3680 del 2007). Tuttavia, la decisione gravata contiene un inequivoco accertamento di fatto in ordine all’insussistenza, nella specie, di autonoma organizzazione, che non è oggetto di adeguata censura – non potendosi affermare, come col secondo motivo del ricorso, che il quadro RE delle dichiarazioni dei redditi del contribuente, con le voci “altre spese per prestazione di lavoro per L. 1.020.000 (anno 1998); altre spese per prestazione di lavoro per L. 1.020.000 (anno 1999);
compensi corrisposti a terzi per attività prof./art. per L. 8.313.000 (anno 2000), evidenzi l’esistenza di costi per lavoro dipendente – e che sembra rendere il dispositivo conforme a diritto.
In conclusione, si ritiene, che, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, e art. 380 bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;
che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso, previa correzione della motivazione ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, deve essere rigettato;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010