Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14165 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/05/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 24/05/2021), n.14165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 15370 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.L.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia n. 120/06/2014, depositata in data 20 gennaio

2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 febbraio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo

Donati Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 120/06/2014, depositata in data 20 gennaio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia rigettava l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di P.L. e accoglieva l’appello incidentale del contribuente nei confronti dell’Ufficio avverso la sentenza n. 50/13/2012 della Commissione tributaria provinciale di Bari che, previa riunione, aveva accolto parzialmente i ricorsi proposti separatamente dal suddetto contribuente avverso: 1) l’avviso di accertamento (OMISSIS) con il quale l’Ufficio aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di “altri lavori di completamento di edifici”, un maggiore reddito d’impresa pari a Euro 233.174,92, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2005, in relazione a movimentazioni bancarie risultate, ad avviso dell’Amministrazione, ingiustificate, in presenza di richieste di chiarimenti, tramite questionario, rimaste senza esito; 2) la cartella di pagamento n. (OMISSIS) con la quale era stata effettuata la conseguente iscrizione a ruolo;

– la CTR, in punto di diritto, ha osservato che: 1) come emergeva dall’avviso di accertamento, il Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate aveva autorizzato l’Ufficio a svolgere le indagini bancarie a carico del contribuente in conseguenza delle “incongruenze” emerse a seguito dell’analisi dei dati dichiarati nel Mod. U. 2006, per l’anno 2005, relativi all’utile di impresa (Euro 368,00) confrontato con le spese per prestazioni di lavoro dipendente (Euro 80.478,00) e ai ricavi (Euro 741.977,00) rapportati al reddito di impresa dichiarato (Euro 7.645,00); 2) con le memorie del 18 marzo 2011, il contribuente aveva evidenziato che l’importo di Euro 741.977,00 che aveva concorso ad originare le “incongruenze” su cui era stata fondata la pretesa tributaria, non corrispondeva ai ricavi (ammontanti a Euro 239.200,00) bensì al totale delle attività patrimoniali; 3) tale “disguido”, non contestato dall’Agenzia, aveva reso palesemente inattendibili le “incongruenze” che avevano dato origine alle indagini bancarie e, quindi, infondati i presupposti su cui era stato emesso l’avviso di accertamento impugnato;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; è rimasto intimato il contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18, 32 e 57, per avere la CTR – nel rigettare l’appello dell’Ufficio in base ad un asserito errore nella determinazione dei ricavi (Euro 741.977,00) tale da rendere inattendibili le “incongruenze” sulle quali era stata fondata la pretesa tributaria deciso su una questione non dedotta nè nella sentenza di primo grado nè nelle controdeduzioni in appello, eccedendo il thema decidendum, devoluto in sede di gravame e legittimando l’introduzione illegittima da parte del contribuente di un vizio dell’atto impositivo tramite la memoria ex art. 32 cit., non dedotto quale motivo di impugnazione con il ricorso introduttivo;

– il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– nella specie, dalla sentenza impugnata si evince che, a fronte di: 1) un accertamento basato su indagini bancarie ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, autorizzate a seguito di “incongruenze” emerse dai dati esposti nel modello unico 2006, relativo all’anno 2005, tra spese per il personale, i ricavi conseguiti e il reddito di impresa dichiarato; 2) di ricorsi introduttivi del contribuente avverso l’avviso e la conseguente cartella fondati sulla sostanziale “estraneità a buona parte dei rapporti bancari indicati dall’Ufficio”, con riserva di produzione della documentazione giustificativa; 3) della sentenza di primo grado di accoglimento parziale sul presupposto della giustificazione da parte del contribuente solo di alcune delle operazioni bancarie verificate, la CTR, ha fondato la decisione di annullamento degli impositivi, su un motivo di invalidità dedotto dalla contribuente nella memoria difensiva depositata in primo grado, qual era la erronea indicazione della voce ricavi (in Euro 741.977,00, importo in realtà corrispondente al totale delle attività patrimoniali) con conseguente inattendibilità delle “incongruenze” che avevano originato l’autorizzazione alle indagini bancarie;

– va ricordato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, consente la proposizione di “motivi aggiunti” (solo) nel primo grado del processo avanti alle Commissioni tributarie alla stretta condizione che essa sia “resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti…entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito” ed, altresì, che è pacifico in giurisprudenza che “Nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione, nella memoria D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento… in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la “causa petendi” entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2″ (Cass. n. 19616 del 24/07/2018; Cass. n. 31605 del 4/12/2019). Nella specie, la deduzione del motivo di illegittimità (derivato) dell’atto impositivo per un vizio del provvedimento di autorizzazione alla luce della erronea indicazione dei ricavi (in Euro 741.977,00 importo in realtà corrispondente al totale delle attività patrimoniali) che avevano concorso ad originare le “incongruenze” alla base delle indagini bancarie, è avvenuta con la memoria illustrativa di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, e non è dato sapere se, comunque, sia stato rispettato il termine perentorio di cui al citato art. 24, comma 2, nè tantomeno se questo motivo aggiunto sia dipeso, come necessario, da una produzione documentale delle controparti; è evidente che la CTR nel fondare la decisione di annullamento dell’avviso e della conseguente cartella unicamente sul vizio del provvedimento originario di autorizzazione alle indagini bancarie dedotto ex novo con la memoria illustrativa ex art. 32, ha ecceduto i confini della causa petendi delimitati dai motivi di impugnazione formulati dal contribuente nel ricorso introduttivo, nella specie, attinenti alla assunta estraneità ai verificati rapporti bancari;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR, eccedendo il thema decidendum, ritenuto che l’atto impositivo fosse illegittimo per una erronea indicazione dei ricavi che avevano concorso ad originare le “incongruenze” sulla base delle quali era stato emesso il provvedimento di autorizzazione delle indagini bancarie, confondendo il presupposto dell’autorizzazione con il fondamento della rettifica da ravvisarsi nella mancata giustificazione da parte della contribuente delle movimentazioni bancarie oggetto della verifica fiscale;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’atto impositivo alla luce del “disguido” (corrispondenza dell’importo indicato come ricavi con il totale delle attività patrimoniali) che aveva, a suo avviso, reso palesemente inattendibili le “incongruenze” che avevano dato origine alle indagini bancarie, omettendo di verificare il reale presupposto dell’accertamento/rettifica del reddito dichiarato ossia la mancata giustificazione delle movimentazioni finanziarie;

– l’accoglimento del primo motivo, rende inutile la trattazione dei motivi secondo e terzo, con assorbimento dei medesimi;

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la CTR erroneamente accolto l’appello incidentale della contribuente con il quale quest’ultima aveva contestato la decisione di primo grado per la parte relativa alla disposta compensazione delle spese in ragione della soccombenza reciproca;

– il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e specificità non avendo la ricorrente riportato in ricorso, nelle parti rilevanti, (o ad esso allegato) l’atto di appello incidentale in ordine alla assunta contestazione della decisione di primo grado per la parte relativa alla disposta compensazione delle spese nè tantomeno uno stralcio, sul punto, della sentenza della CTP; pertanto, non è dato a questa Corte verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006, e Cass. n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015);

– in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, dichiarato inammissibile il quarto; con cassazione della sentenza impugnata – in relazione al motivo accolto – e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e terzo e dichiara inammissibile il quarto; cassa la sentenza impugnata – in relazione al motivo accolto – e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, anche per il governo delle spese del giudizio di legittimità;

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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