Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14163 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 07/06/2017, (ud. 29/03/2017, dep.07/06/2017),  n. 14163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19671/2012 proposto da:

Panoramik di S.J. & C. S.a.s. (c.f. (OMISSIS)),

subentrata alla Panoramik Kandelburg S.n.c. di S.A. e Co.,

in persona del legale rappresentante pro tempore; S.A.

(c.f. (OMISSIS)); S.J. (c.f. (OMISSIS)) e

S.M. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di eredi di

S.G.S.; elettivamente domiciliati in Roma, Via Baglivi n. 5/D,

presso l’avvocato Felici Federica, rappresentati e difesi

dall’avvocato Quintiliani Lucio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Rio di Pusteria, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico Confalonieri n. 5,

presso l’avvocato Manzi Luigi, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Menestrina Michele, Platter Peter, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 14/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Quintiliani che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Carlo Albini, con delega,

che si riporta al controricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. A seguito del rinvio disposto da questa Corte con sentenza 22021 del 28.10.2010, la Corte d’Appello di Trento, con la sentenza per cui oggi è nuovamente ricorso a questa Corte, ha accolto il gravame del Comune di Rio di Pusteria avverso la decisione che in primo grado lo aveva condannato a risarcire i danni patiti dagli odierni ricorrenti nella loro veste di gestori dell’Hotel (OMISSIS) a causa della mancata realizzazione di una comoda via di accesso alla struttura, che il Comune si era impegnato inizialmente a costruire, procedendo poi alla revoca dei relativi atti espropriativi, e che per i notevoli disagi derivati alla clientela, impedita di accedere al luogo a mezzo dei bus turistici e costretta per questo a trasbordare su pulmini messi a disposizione dall’albergo, aveva reso obbligata una generalizzata riduzione delle tariffe di soggiorno rispetto a quelle normalmente esigibili.

1.2. Il giudice del rinvio, accogliendo il gravame, ha, tra l’altro, previamente rigettato la tesi della natura contrattuale della responsabilità imputata al Comune, avendo il giudice di primo grado ravvisato “una responsabilità extracontrattuale a fondamento dell’obbligazione risarcitoria” dedotta nella specie, con la conseguenza che “dovendosi ritenere che il tribunale abbia implicitamente escluso una responsabilità ai sensi dell’art. 1218 c.c., quest’ultimo profilo di colpa non possa essere più trattato in mancanza di impugnazione di specifico gravame incidentale, essendosi formato il giudicato sul punto”.

Rilevato, poi, che l’albergo era stato di proprietà sino al 1997 di S.G. e che la gestione era stata curata dal marito S.A. sino al (OMISSIS), ha quindi disatteso la domanda degli eredi della S., non avendo questa mai “gestito direttamente l’albergo” ed essendo perciò “priva di legittimazione” a far valere qualsiasi ragione risarcitoria in relazione ad un danno “che univocamente riguarda la gestione della struttura albeghiera” e dovendo altresì escludere che fosse nella specie configurabile un impegno vincolante dell’amministrazione comunale alla costruzione della strada sul presupposto del rilascio nel 1976 della licenza per l’edificazione del plesso, fermo peraltro, in fatto, che l’albergo non era affatto intercluso, potendo contare su un accesso sia pur disagevole, attraverso le vie del centro storico del paese.

Occupandosi infine della pretesa dello S. – pacificamente prescritta, in ragione del termine dettato dall’art. 2947 c.c. e dell’interruzione di esso avvenuta solo con l’atto di citazione del 20.8.1994, per gli anni antecedenti al 20.8.1989 -, trattandosi di accertare la colpa in concreto in capo all’amministrazione convenuta e competendo il relativo onere probatorio alla parte, ha reputato che nella specie questa “non avesse offerto ed invero neppure dedotto elementi utili a tal fine”, non risultando conducente il fatto che il Consiglio di Stato avesse annullato i provvedimenti con cui il Comune aveva revocato i precedenti atti di esproprio ed essendo, al contrario, significativo che l’atteggiamento del Comune non fosse stato inerte o negligente nella vicenda.

1.3. Avverso detta decisione si gravano di nuovo ricorso a questa Corte gli S. con un mezzo basato su cinque motivi, ai quali replica il Comune di Rio di Pusteria con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso – a cui non si oppone la preclusione eccepita dall’intimato, atteso che ai fini della sua ammissibilità, è sufficiente che la formulazione del ricorso permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato come se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, 6/05/2015, n. 9100) – gli S. si dolgono, per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, della violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., avendo il giudice del rinvio, nel rigettare l’esercitata pretesa risarcitoria, disconosciuto il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva accertato in relazione ai fatti di causa e, conseguentemente pronunciato la condanna del Comune di Rio Pusteria, anche “per responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.”, atteso che detta statuizione non era stata impugnata da alcuna delle parti ed essa era perciò passata in cosa giudicata.

1.2 Il motivo – ferma l’inconferenza del richiamo al parametro enunciato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la censura sollevata è di puro diritto – è infondato e va pertanto disatteso.

Deducono invero i ricorrenti che, avendo il Tribunale accertato e dichiarato la responsabilità dell’intimato anche a titolo contrattuale – dal momento che a seguito del rilascio della licenza per l’edificazione del complesso albeghiero sarebbe sorto in capo al licenziatario un diritto soggettivo perfetto – non avendo il relativo capo della decisione formato oggetto di impugnazione, su di esso si sarebbe formato il giudicato, onde il giudice del rinvio non avrebbe potuto discostarvisi negando che in favore dei ricorrenti la declaratoria di responsabilità avesse titolo anche contrattuale.

1.3. La pretesa è tuttavia primariamente frutto di un’errata interpretazione delle conseguenze giuridiche scaturite dalla decisione di primo grado, poichè, sebbene il Tribunale abbia inteso riconoscere nella specie la sussistenza in capo al licenziatario di un diritto soggettivo perfetto quale naturale effetto dell’adozione del provvedimento amministrativo abilitante l’edificazione, la statuizione così adottata non è perciò foriera di alcun vincolo giuridico di natura obbligatoria, sì che si possa riconnettere alla successiva declaratoria di responsabilità natura contrattuale, legittimando piuttosto l’inquadramento di una condotta contra ius fonte perciò di un danno ingiusto per gli istanti nell’alveo proprio della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c..

Del resto lo stato dell’arte nella vicenda in esame è ineccepibilmente scolpito in questi termini dalla sentenza qui impugnata (“volendo prendere posizione sulla questione si osserva che l’esame della sentenza di primo grado induce a valutare che è stato accertato il comportamento illecito del Comune consistente in “una condotta colposa, integratrice di un danno ingiusto per gli attori e, quindi, sia foriero di un obbligo risarcitorio ex art. 2043 c.c.” – pag. 26 della sentenza del Tribunale -. E’ stata perciò considerata una responsabilità extracontrattuale a fondamento dell’obbligazione risarcitoria e del resto non pare ipotizzabile una responsabilità ex contractu, dal momento che fra gli odierni riassumenti ed il Comune non è intercorso alcun rapporto negoziale per effetto del rilascio della concessione edilizia per la realizzazione della struttura alberghiera. Ne consegue da un lato che correttamente l’amministrazione comunale ha censurato la sentenza di primo grado in relazione all’inesistenza degli elementi costitutivi ex art. 2043 c.c. e dall’altro lato che, dovendosi ritenere che il Tribunale abbia implicitamente escluso una responsabilità ai sensi dell’art. 1218 c.c., quest’ultimo profilo di colpa non possa essere più trattato in mancanza di impugnazione di specifico gravame incidentale, essendosi formato il giudicato sul punto”), che si sottrae perciò motivatamente alla critica di diritto cui intendono sottoporla gli odierni ricorrenti, essendosi sul punto doverosamente attenuta alle consegne della pronuncia del rinvio, sicchè pretenderne che se ne sindachi il decisum, ancorchè esso sia conforme a diritto, cela in realtà il tentativo di riaprire lo scrutinio su profili della controversia definitivamente cristallizzatisi a seguito della pronuncia di rinvio.

2.1. Il secondo motivo del ricorso di parte S. fa valer mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043, avendo la sentenza impugnata declinato, quanto alla pretesa degli eredi S., la chiesta declaratoria di responsabilità extracontrattuale del convenuto Comune sul presupposto che il rilascio della licenza non fosse fonte di un diritto soggettivo perfetto alla costruzione della strada a favore del concessionario e che l’accesso all’albergo fosse pur sempre possibile, sebbene la prima affermazione sia contrastata dalla constatazione che la legge urbanistica provinciale impone anche alla P.A. “l’obbligo giuridico di eseguire le opere di urbanizzazione”, mentre l’altra non riceve conferma dai “fatti accertati nel corso dell’istruttoria”.

2.2. Il motivo – in relazione al quale vale, quanto al richiamo al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ciò che si è osservato analogamente in relazione al primo motivo di ricorso – è inammissibile in quanto esso non esaurisce tutte le rationes decidendi che sorreggono in parte qua la decisione.

Vale invero osservare, come questa Corte ha ancora di recente deliberato (Cass., Sez. 6-5, 18/04/2017, n. 9752) che “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza”.

Nella specie la statuizione censurata è fondata oltre che sulle due rationes impugnate con il motivo (il rilascio della licenza non è fonte di un diritto risarcibile e l’albergo era pur sempre accessibile) anche sulla considerazione che, non avendo mai gestito direttamente l’albergo avendolo dapprima affittato al marito e poi alla società Panoramik alla quale lo aveva infine conferito, la S. – e così per essa gli eredi che le sono succeduti nel processo – “è priva di legittimazione a far valere ragioni risarcitorie in relazione al danno lamentato che univocamente riguarda la gestione della struttura alberghiera”. Non avendo detta statuizione formato oggetto di impugnazione con il motivo e mostrandosi in grado di suffragare autonomamente l’impugnata decisione, i ricorrenti non hanno interesse a contestare la legittimità di quelle impugnate con il motivo, in quanto, quand’anche le censure riguardo ad esse trovassero accoglimento, la sentenza non potrebbe essere perciò cassata potendo efficacemente fondarsi sulla ratio non contestata.

3.1. Con il terzo motivo di ricorso gli S. deducono per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., avendo la sentenza impugnata declinato la chiesta declaratoria di responsabilità extracontrattuale del convenuto Comune “stravolgendo ed alterando” completamente con grande disinvoltura i fatti accertati nel corso dell’istruttoria processuale espletata in primo grado, quali la c.t.u. del geom.tra P., la prova testimoniale diretta, delegata e per rogatoria, la documentazione prodotta e i giudizi amministrativi celebrati dinanzi al Consiglio di Stato.

3.2. Il motivo è inammissibile in quanto è inteso unicamente a sollecitare questa Corte una revisione del giudizio sostanziale esperito dal giudice di merito, oltretutto veicolando la pretesa in modo improprio per mezzo cioè della denuncia di un errore di diritto e del mero richiamo al parametro del vizio motivazionale non altrimenti illustrato.

4.1. Il quarto motivo di ricorso evidenzia per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione alla posizione di S.A., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292, 2935 e 2947 c.c., vero che, circa la sussistenza nella specie di una solidarietà attiva tra i ricorrenti, “nonostante la questione non abbia alcuna rilevanza in riferimento alla decorrenza della prescrizione quinquennale da fatto illecito”, vanno richiamate le deduzioni già sottoposte al giudice d’appello, mentre con riguardo alla dichiarata prescrizione il termine era iniziato a decorrere, contrariamente a quanto sostenuto da questo, “dalla data del passaggio in giudicato della sentenza che aveva annullato gli atti causativi del danno” ovvero dalla sentenza del Consiglio di Stato depositata il 19.7.1993 che ne aveva decretato l’annullamento, onde alla data della citazione (20.8.1994) la prescrizione non poteva ritenersi maturata ed in ogni caso la natura permanente dell’illecito imponeva che il termine decorresse dalla cessazione degli effetti di esso ovvero nella specie dal 20.12.1994, “data di apertura della strada di collegamento all’albergo”.

4.2. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse in capo allo S..

Invero, quand’anche la deduzione di cui al motivo dovesse risultare fondata, essa non comporterebbe alcun beneficio per l’istante, avendo la Corte d’Appello – come si evince dalla pregressa narrativa di fatto – rigettato la formulata domanda risarcitoria pronunciando nel merito di essa ovvero giudicandola infondata per difetto di colpa in quanto “parte appellata sulla quale incombeva il relativo onere probatorio non ha offerto e invero neppure allegato elementi utili a tal fine”.

5.1. Con il quinto motivo del ricorso gli S. censurano per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento all’art. 92 c.p.c., comma 2, la statuizione in punto di spese adottata dalla Corte d’Appello, che ne pronunciato la condanna alla loro integrale rifusione, ancorchè nella specie si sarebbe dovuto riconoscere la sussistenza dei “giusti motivi” per operarne la compensazione.

5.2. Il motivo – inammissibile ut supra per i profili motivazionali è infondato quanto al preteso errore di diritto, essendosi il giudice d’appello attenuto esattamente ai principi di diritto regolanti la materia giusta i quali i soccombenti – nella specie gli S. sono tenuti al pagamento delle spese processuali.

6. Il ricorso va conclusivamente respinto con l’ovvio riflesso delle spese di giudizio a carico dei soccombenti.

PQM

 

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 10200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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