Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1416 del 18/01/2019

Cassazione civile sez. un., 18/01/2019, (ud. 04/12/2018, dep. 18/01/2019), n.1416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di Sez. –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto nel R.G. al n. 23193/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CESARINA MITARITONNA;

– ricorrente –

e

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI ZENZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCO IADECOLA;

– ricorrente successivo –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE e MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 88/2018 della Sezione disciplinare del

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, depositata il 18/6/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

4/12/2018 dal Consigliere ALDO CARRATO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MATERA

Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Cesarina Mitaritonna e Gianfranco Iadecola.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 2 marzo 2017, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione promuoveva azione disciplinare nei confronti dei magistrati M.M. e S.A., contestando loro l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1e art. 2, comma 1, lett. d). In modo specifico veniva loro ascritto l’addebito di aver posto in essere un comportamento gravemente scorretto nei confronti di un indagato e del suo difensore, consistito nell’aver depositato – segnatamente nelle loro rispettive funzioni di presidente del collegio (il dr. S.) e di giudice relatore (la dott.ssa M.) della Sezione riesame del Tribunale penale di Bologna un’ordinanza (notificata anche allo stesso difensore), con la quale era stato accolto un appello del pubblico ministero, il giorno prima dell’udienza fissata per la discussione del gravame nei confronti dello stesso indagato.

Al termine dell’attività istruttoria, il suddetto P.G., non ritenendo escluso il descritto addebito nei confronti di entrambi gli incolpati, chiedeva alla Sezione disciplinare del C.S.M. di fissare la discussione orale affinchè si procedesse nei riguardi degli stessi magistrati in ordine alla riportata violazione disciplinare.

All’esito dell’udienza dibattimentale del 9 novembre 2017 la predetta Sezione disciplinare dava lettura del dispositivo della sentenza, con cui la dott.ssa M.M. veniva ritenuta responsabile dell’incolpazione attribuitale con la conseguente irrogazione della sanzione disciplinare della censura, nel mentre il dott. S.A. era assolto con riferimento all’illecito contestatogli per scarsa rilevanza del fatto.

A sostegno dell’adottata decisione (depositata il 18 giugno 2018) la Sezione disciplinare del C.S.M., nell’esaminare – in primo luogo – la posizione della dott.ssa M.M. (che aveva svolto la funzione di relatrice dell’ordinanza depositata anticipatamente rispetto alla programmata udienza di discussione), riteneva che l’illecito alla stessa ascritto fosse da considerarsi perfezionato sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo che con riguardo all’elemento oggettivo. Con riferimento al primo aspetto la citata Sezione del C.S.M., pur escludendo che fosse stata realizzata una condotta scorretta abituale, nondimeno ravvisava la sussistenza della gravità della stessa, che, innanzitutto, aveva arrecato una lesione ai diritti dell’indagato, siccome privato della possibilità di esercitare il diritto di difesa costituzionalmente garantito. Inoltre, nel caso di specie, l’ordinanza redatta dall’incolpata ben poteva qualificarsi come atto idoneo a consentire di ricostruire la reale volontà dell’organo giudicante poichè dall’apparato motivazionale del provvedimento giurisdizionale si potevano desumere le argomentazioni in diritto sulle quali era stato fondato l’accoglimento dell’appello del P.M., con la correlata applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’indagato, senza che potesse avere alcuna rilevanza la circostanza che il dispositivo contenesse il nome di un altro coindagato.

La Sezione disciplinare del C.S.M. riteneva, poi, che l’illecito disciplinare risultava integrato anche sul piano dell’elemento soggettivo, dal momento che, nella condotta della dott.ssa M.M., erano senz’altro ravvisabili gli estremi della colpa, poichè il relativo comportamento aveva costituito il frutto di negligenza nell’aver depositato l’ordinanza (con la sua correlata notificazione contestuale al difensore) anticipatamente rispetto alla celebrazione dell’udienza di discussione, così ledendo i suddetti diritti dell’indagato e del suo difensore e venendo meno all’osservanza di quel minimo di diligenza, cura e precisione che è doveroso esigere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, che, se rispettato, avrebbe certamente impedito l’evento.

Pertanto, esclusa la configurabilità dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto, veniva irrogata nei confronti della dott.ssa M.M. la sanzione disciplinare della censura, ritenuta adeguata rispetto alla natura e all’entità della condotta, al clamore che aveva circondato l’episodio e alla delicatezza della materia processuale attribuita alla competenza del Tribunale del riesame, del quale – nella fattispecie – il predetto magistrato era componente del collegio decidente e, per di più, relatrice e redattrice del provvedimento.

La Sezione disciplinare riteneva, invece, che doveva essere ridimensionata la portata dell’illecito disciplinare addebitato al dr. S.A., quale presidente del collegio decidente del Tribunale del riesame, dovendo la violazione essere contestualizzata ed adeguatamente valutata sotto il profilo causale e con riferimento a quello soggettivo.

Infatti, era rimasto accertato che il dr. S., nella suddetta qualità, aveva sottoscritto l’ordinanza redatta dal predetto giudice estensore, il cui errore era contenuto nella parte motiva, nel mentre il dispositivo riportava correttamente il nominativo di altro soggetto (coindagato nel medesimo procedimento penale) nei confronti del quale era stata celebrata l’udienza e sciolta la riserva. Di conseguenza, considerando l’obiettiva inverosimiglianza di quanto accaduto e la serialità dell’adempimento richiesto al Presidente del collegio, l’errore commesso dal magistrato in questione si poteva considerare spiegabile essendo stato indotto alla sua commissione per effetto dell’apporto decisivo ascrivibile al giudice relatore-estensore. Pertanto, la condotta ascritta al dr. S. si poteva inquadrare nell’ambito del genus della scarsa rilevanza (con derivante assoluzione dello stesso ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis), in dipendenza del carattere episodico del fatto nell’arco di un percorso professionale immune da censure.

Avverso la sentenza in discorso della Sezione disciplinare del C.S.M. hanno proposto – ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24 – distinti ricorsi alle Sezioni unite di questa Corte la dott.ssa M.M. (riferito a tre motivi) e il dr. S.A. (anch’esso fondato su tre censure).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre, innanzitutto, rilevare l’opportunità di esaminare distintamente i ricorsi proposti separatamente dai due magistrati (ancorchè recanti lo stesso numero di iscrizione nel R.G.), peraltro riferiti alla stessa vicenda processuale.

1. Cominciando la disamina dei ricorsi da quello formulato dalla dott.ssa M., emerge che – con il primo motivo – la difesa della stessa ha denunciato il vizio di manifesta illogicità e di contraddittorietà della motivazione, assunto come evincibile dal testo dell’impugnata sentenza, in relazione al formulato giudizio di ricorrenza dell’ipotesi di illecito disciplinare ascrittale con riferimento alla condotta tenuta dallo stesso magistrato e di cui al capo di incolpazione (ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma, lett. e)).

Secondo la prospettazione di tale difesa non poteva, in primo luogo, essere condiviso quanto ritenuto nell’impugnata decisione nella parte in cui, nella fattispecie in questione, avrebbe dovuto essere la motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame a prevalere sul dispositivo, tenuto conto della circostanza che la parte motivazionale e quella statuitiva dell’atto depositato si riferivano alle posizioni di indagati diversi.

Inoltre, la ricorrente ha contestato che il suddetto provvedimento – avuto riguardo alla posizione dell’indagato H.N. (ed, in effetti, coindagato per concorso in furto pluriaggravato insieme ad altre due persone) – potesse essere qualificato come un’ordinanza, difettandone i relativi presupposti, dovendo piuttosto ritenersi un atto amorfo, risultando esso del tutto avulso dalle cadenze procedimentali indefettibilmente previste dalla disciplina normativa processuale, al punto da non poter essere in alcun modo riconducibile al protocollo di formazione ed alla fisionomia del provvedimento decisorio postulato dall’art. 310 c.p.p., donde l’inidoneità a determinare l’assunta violazione dei diritti della difesa dell’indagato per mancata celebrazione effettiva dell’udienza che lo riguardava in appello. E ciò – ad avviso della difesa della dott.ssa M. – sarebbe stato avvalorato dal fatto che lo stesso difensore del prevenuto non aveva inteso l’atto notificatogli come decisione anticipata della posizione del suo assistito, non impugnandolo e provvedendo, invece, a svolgere comunque la sua difesa nell’udienza di riesame del successivo 29 novembre 2016.

2. Con la seconda censura la ricorrente dott.ssa M. ha dedotto il vizio di violazione della legge processuale penale, sul presupposto che era stata conferita valenza giuridica di ordinanza ai sensi dell’art. 310 c.p.p. ad un atto totalmente sprovvisto del dispositivo, adottato senza la celebrazione dell’udienza e mai oggetto di deliberazione collegiale da parte dell’organo giurisdizionale competente a decidere (art. 606 c.p.p., comma 1, in relazione agli artt. 310,125 e 127 c.p.p.). Detto provvedimento andava, piuttosto, ricondotto ad un “monstrum giuridico”, informe ed incompleto (quindi da ritenersi inesistente), dotato della sola fase valutativa ma completamente privo di ogni esplicitazione del “comando”, senza che ad esso avesse fatto seguito un apposito momento deliberativo e volitivo riferibile all’organo deputato a decidere.

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha prospettato il vizio di violazione del D.Lgs. n. 182 del 2012, art. 3-bis (rectius: D.Lgs. n. 109 del 2006) e il vizio di mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, desumibile dal testo del provvedimento impugnato, in relazione all’esclusione dell’esimente della scarsa rilevanza disciplinare del fatto ascrittole (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e)).

Al riguardo la difesa della dott.ssa M. ha dedotto che la Sezione disciplinare del C.S.M., non ritenendo che sussistessero le condizioni per l’applicazione di detta esimente, era illegittimamente ed illogicamente incorsa, da un lato, in una erronea applicazione della relativa disciplina normativa e, dall’altro lato, aveva conferito un improprio rilievo a talune circostanze fattuali (dalle quali non si sarebbe potuto evincere, in concreto, l’elemento della gravità della condotta), trascurandone altre, pur di decisiva rilevanza (quale la già evidenziata assenza di alcuna lesione dei diritti dell’indagato), ai fini della valutazione della violazione dell’interesse protetto.

4. Procedendo all’esame dei motivi di ricorso proposti dall’altro ricorrente, dr. S.A., va rilevato, in primo luogo, che lo stesso ha giustificato il suo interesse a proporre l’impugnazione in sede di legittimità sul presupposto che, pur essendo stato assolto per la ravvisata sussistenza dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, egli intendeva ottenere l’assoluzione piena per effetto della prospettata insussistenza delle violazioni comunque ascrittegli e ritenute provate nei suoi confronti con la sentenza della Sezione disciplinare del C.S.M..

4.1. Ciò premesso, con la prima censura egli ha denunciato il vizio di omessa motivazione e di manifesta illogicità in ordine all’affermazione che il provvedimento notificato all’indagato H.N. avesse natura di ordinanza, dal momento che, in effetti, in relazione alla condotta addebitatagli, doveva considerarsi che era mancata qualsiasi attività decisionale collegiale nei riguardi della posizione del suddetto indagato. Infatti, il Tribunale del riesame, all’udienza del 28 novembre 2016, aveva giudicato solo la posizione del coindagato B.I., la cui motivazione era stata depositata il 28 novembre 2016 (con sottoscrizione di esso ricorrente, quale Presidente del collegio, nell’ultima pagina) ed al cui dispositivo era stata allegata anche la relazione predisposta dal giudice relatore riferita alla posizione dell’ H., nei cui confronti, invero, la decisione era stata adottata solo in una successiva udienza. Pertanto, la suddetta relazione approntata dalla dott.ssa M. (quale relatrice) avrebbe potuto, al limite, rappresentare un’anticipazione di giudizio, per effetto della quale il collegio si era, successivamente, astenuto ai sensi dell’art. 36 c.p.p., lett. h), con la rifissazione dell’udienza nei confronti del predetto coindagato.

Secondo la difesa del dr. S., la sottoscrizione dello stesso non avrebbe potuto rappresentare in alcun modo la sua volontà, poichè apposta nel convincimento che la motivazione riguardasse il coindagato B., tenendo conto che il procedimento di riesame dei tre coindagati non si era svolto unitariamente.

In sintesi, la difesa del ricorrente dr. S. ha inteso denunciare l’asserita illogicità del ragionamento evincibile dall’impugnata sentenza con la quale si era attribuita valenza di ordinanza ad un atto che in alcun modo avrebbe potuto qualificarsi come atto decisionale del collegio, con la conseguenza che tale incoerenza logica aveva inficiato il ragionamento complessivo della sentenza stessa.

5. Con il secondo motivo il ricorrente dr. S. ha dedotto l’omessa motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fatto tipico della grave scorrettezza, non potendosi ritenere ricorrente tale presupposto nella consumazione di qualsiasi condotta negligente se anch’essa non sia connotata dalla caratteristica della gravità, sulla cui configurazione, tuttavia, la Sezione disciplinare non aveva motivato in ordine alla posizione di esso ricorrente.

6. Con il terzo ed ultimo motivo il predetto ricorrente ha dedotto la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), – in ordine alla ritenuta configurazione dell’illecito disciplinare attribuitogli, posto che era stata rilevata la sussistenza di detto illecito malgrado non fosse stato ravvisato un quadro di “grave negligenza” nella condotta accertata a suo carico, la quale era stata, anzi, considerata quale frutto di un errore “comprensibile”, visto che il dispositivo del contestato provvedimento riportava correttamente il nominativo del soggetto effettivamente già giudicato, oltre a valorizzare la serialità dell’adempimento e la decisività dell’apporto del giudice relatore nella determinazione dell’errore in cui era incorso.

Sulla scorta di questi presupposti, la difesa del dr. S. ha prospettato, in definitiva, l’erronea applicazione della norma sostanziale ritenuta violata in relazione all’incolpazione contestatagli, non risultando integrata, per le medesime considerazioni svolte dalla Sezione disciplinare del C.S.M., la fattispecie tipica enunciata dalla stessa norma di riferimento e consistente in una misura di scorrettezza da ritenersi “grave” che, viceversa, nel caso di specie, era stata descritta come lieve.

7. Cominciando la disamina delle complessive censure dalle prime due del ricorso della dott.ssa M. (che possono essere analizzate congiuntamente siccome tra loro strettamente connesse), il collegio rileva che esse sono infondate.

Le due censure sono essenzialmente basate sulla prospettata insussistenza della natura decisoria dell’ordinanza oggetto di valutazione in sede disciplinare poichè non adottata, in effetti, nei confronti del coindagato H.N. e, pertanto, non riconducibile ad un provvedimento giudiziario propriamente valido ed efficace nei riguardi dello stesso. Da ciò – secondo la difesa della dott.ssa M. – sarebbe dovuta scaturire la conseguenza che detto provvedimento non poteva ritenersi idoneo a ledere i diritti di difesa del suddetto indagato per effetto del mero sviluppo argomentativo riferito anche alla sua posizione nell’ambito di una motivazione che aveva comportato – in accoglimento dell’appello del P.M. – l’applicazione della misura custodiale nei riguardi di altro coindagato (in ordine alla consumazione dello stesso reato in concorso), a cui era riferito unicamente il dispositivo.

Tuttavia, osserva il collegio, è indubbio che il provvedimento avesse natura di ordinanza ai sensi dell’art. 310 c.p.p., comma 2, nei confronti del coindagato dell’ H., ma ciò che rileva – in funzione della configurazione dell’illecito disciplinare a carico della dott.ssa M. – è insito nella circostanza che la stessa, quale relatrice del provvedimento, aveva negligentemente valutato, nella motivazione adottata, anche la posizione del predetto H. (malgrado essa fosse stata stralciata per un disguido processuale, con differimento dell’udienza per l’esame dell’appello proposto nei suoi riguardi), così esteriorizzando, comunque, un’anticipazione di giudizio (indipendentemente dal fatto che il dispositivo fosse rivolto ad altro coindagato) – rispetto alla celebrazione della pertinente udienza – come tale suscettibile di determinare la compromissione dei diritti di difesa del predetto indagato e del suo avvocato, risultando l’ordinanza, nel suo complesso, depositata e notificata al difensore dell’ H. il 28 novembre 2016 a fronte dell’udienza fissata per il successivo 29 novembre 2016.

In tal senso il collegio rileva che la dott.ssa M. – redigendo, quale relatrice, la motivazione a supporto dell’atto processuale in questione – è, in effetti, incorsa in una condotta gravemente scorretta nei confronti del predetto coindagato e del suo difensore (a cui il provvedimento era stato comunicato dalla competente cancelleria), ledendo il loro fondamentale diritto di difesa e al contraddittorio prima dell’emissione della decisione conseguente all’appello del P.M., essendo risultata, in sostanza, già “preconfezionata” la motivazione del provvedimento da adottare a carico dell’ H. (inerente la sua libertà personale), malgrado l’udienza fissata ai sensi dell’art. 310 c.p.p. nei suoi confronti non fosse stata ancora celebrata.

A tal proposito, quindi, emerge – sul piano oggettivo – che si sia venuta a configurare, nei riguardi della dott.ssa M., l’illecito disciplinare contestatole (di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d)), il quale si deve ritenere perfezionato anche sul piano soggettivo, essendo il predetto magistrato incorso in un comportamento connotato da evidente e marcata negligenza (e, quindi, inequivocabilmente colposo) concretatosi nell’anticipare la redazione di una motivazione di un provvedimento (ancorchè riferito nel dispositivo ad altro coindagato) nei confronti di un coindagato precedentemente allo svolgimento della fase processuale demandata alla tutela delle garanzie essenziali previste dal codice di rito penale (e, ancor prima, nella stessa Costituzione) riguardanti la piena esplicitazione preventiva dei suddetti diritti di difesa e del contraddittorio. Se solo la dott.ssa M., nella qualità di relatrice, avesse osservato la diligenza ordinaria che si esige nell’esercizio della funzione giurisdizionale (senza sottacere la particolare delicatezza della stessa quando concerne la libertà personale), avendo cura di controllare la portata della motivazione e la riferibilità soggettiva del provvedimento in questione prima di depositarlo, ella sarebbe stata in grado di prevenire l’evento e, quindi, di impedire gli effetti violativi dei suddetti diritti da riconoscersi in favore del coindagato H. e del suo difensore.

Del resto, la giurisprudenza di queste Sezioni unite ha già, in precedenza, chiarito che quel che rileva, in via primaria, per la valutazione delle incolpazioni incentrate sull’adozione di un provvedimento giudiziario non è propriamente l’emergenza o meno della sua correttezza bensì la condotta del magistrato che lo ha adottato quando essa sia idonea a raggiungere un tale livello di negligenza (nella specie palesemente grave, se non addirittura inescusabile) o, eventualmente, di inammissibile imperizia, tale da essere suscettibile di produrre una negativa incidenza sui valori tutelati dalla prescrizione disciplinare che – nel caso in questione – si è sostanziata nella ingiustificata lesione e totale compressione dei menzionati diritti difensivi della parte destinataria degli effetti della medesima condotta illegittima (cfr., per riferimenti, Cass. S.U. n. 20159/2010 e Cass. S.U. n. 11069/2012).

8. Anche la terza censura proposta nell’interesse della dott.ssa M. è priva di fondamento giuridico dal momento che – diversamente da quanto sostenuto dalla sua difesa – l’impugnata sentenza della Sezione disciplinare del C.S.M. ha fornito compiuta e coerente contezza, sul piano motivazionale, delle ragioni che hanno impedito di riconoscere in favore della stessa ricorrente la sussistenza dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto addebitatole.

Sul punto l’anzidetta Sezione disciplinare ha evidenziato, specificamente ed in senso cumulativo, l’apprezzabilità (in senso negativo) del clamore locale suscitato dalla condotta disciplinarmente rilevante a carico della ricorrente e la gravità del comportamento stesso, valorizzando soprattutto la circostanza che esso aveva interessato lo svolgimento della delicata funzione di giudice del collegio del riesame. Occorre, peraltro, sottolineare che, a tal proposito, non può riconoscersi alcuna positiva influenza, in favore della dott.ssa M. (come, invece, dalla medesima dedotto), all’assenza di uno specifico danno per l’indagato (la cui posizione era stata, poi, ritualmente esaminata in una successiva udienza e dinanzi ad altro collegio) e per il suo difensore, non incidendo questo aspetto sulla consumazione dell’esaminato illecito disciplinare da ricondurre, in effetti, alla sola emergenza della grave condotta ascritta alla ricorrente e ritenuta configuratasi sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo.

9. Si può ora passare ad esaminare il ricorso del dr. S., che – nella vicenda processuale in questione – aveva rivestito la funzione di Presidente del collegio del riesame e che, in tale qualità, aveva sottoscritto il provvedimento di accoglimento dell’appello del P.M. il cui dispositivo era riferito ad altro coindagato, ma la cui motivazione si riferiva pacificamente anche alla posizione del coindagato H.N., nei cui riguardi, però, in effetti non si era svolta alcuna udienza per decidere specificamente anche sull’appello formulato nei suo confronti.

9.1. In linea preliminare si deve affermare, malgrado il dr. S. sia stato assolto dalla Sezione disciplinare del C.S.M. dall’incolpazione attribuitagli per scarsa rilevanza del fatto ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, la sussistenza del suo interesse a proporre ricorso per cassazione.

Ritiene, infatti, il collegio che sia sul punto condivisibile il più recente orientamento di queste Sezioni unite (espresso con la sentenza n. 29914/2017) alla stregua del quale, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, l’assoluzione con la formula di cui al citato D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, da parte della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, non è tale da escludere qualsiasi effetto svantaggioso per il magistrato assolto ed è, pertanto, idonea a radicare il suo interesse a impugnare la sentenza davanti alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, al fine di ottenere una pronuncia, totalmente liberatoria, di esclusione dell’addebito per insussistenza del fatto o perchè il fatto non è a lui attribuibile.

9.2. Ciò posto, va rilevato che i primi due riportati motivi denunciati nell’interesse del dr. S. – esaminabili unitariamente siccome tra loro obiettivamente connessi – sono infondati e vanno, pertanto, respinti.

In questa sede deve, invero, essere riconfermato il percorso logico-giuridico già svolto con riferimento all’esame dei primi due motivi di ricorso della dott.ssa M. avuto riguardo alla natura giuridica del controverso atto processuale adottato dal collegio del riesame. Infatti, pur potendosi rilevare la problematicità della sua riconducibilità al prototipo dell’ordinanza (caratteristica pacificamente sussistente in ordine alla decisione adottata nei confronti del coindagato B.I.) per quanto concerneva la posizione del coindagato H.N. in difetto di una preventiva discussione dell’appello che lo riguardava, è comunque incontestatamente emerso che l’atto stesso conteneva l’esplicitazione della motivazione specificamente riferita anche a quest’ultimo coindagato tale da legittimare l’applicazione della misura custodiale anche a suo carico, essendo altresì risultato che l’atto era stato depositato – con tale apparato motivazionale – e comunicato anche al difensore dell’ H..

Di conseguenza – come, oltretutto, ammette la stessa difesa del dr. S. (v. pag. 8 del ricorso) – si era venuta a concretare, mediante l’adozione di quell’atto giuridico, un’anticipazione di giudizio senza l’osservanza delle preventive forme rituali: ed è proprio per effetto di quest’ attività, compiuta con la violazione dei diritti di difesa e al contraddittorio del coindagato H.N. e del suo difensore, che si era venuta a consumare – sul piano oggettivo – la grave e scorretta condotta (anche) da parte del Presidente del collegio del riesame (sottoscrittore di quel provvedimento), siccome illegittimamente lesiva dei suddetti diritti, sussumibile nella contestata violazione di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d).

L’elemento soggettivo dell’illecito è insito proprio nella gravità della scorrettezza processuale commessa connotata dalla mancata adozione (integrante una condotta certamente colposa da ricondursi ad una rilevante forma di negligenza) di una preventiva essenziale attività di controllo dell’atto processuale in discorso, da parte del dr. S. prima di sottoscriverlo, consistente nella verifica dell’adeguatezza e legittimità della motivazione e dell’esattezza della sua corretta riferibilità soggettiva.

10. Anche il terzo ed ultimo motivo formulato nell’interesse del dr. S. non coglie nel segno e va rigettato.

Ed invero, con l’impugnata sentenza, la Sezione disciplinare del C.S.M. ha logicamente ed adeguatamente motivato sul diverso contributo causale ascrivibile alla relatrice dell’atto giudiziario, dott.ssa M., e allo stesso dr. S., chiarendo come la condotta della prima fosse da ritenersi connotata da un maggior livello di gravità rispetto a quella ascritta al Presidente del collegio, siccome ella aveva, per l’appunto, rivestito il ruolo di relatore-estensore dell’atto, così inferendosi che la stessa fosse nella condizione di avere una piena consapevolezza della “scorrettezza processuale” in corso di esecuzione e poi effettivamente commessa, svolgendo, perciò, un ruolo decisivo al riguardo. Il dr. S., invece, esercitando le funzioni di Presidente, aveva sottoscritto l’atto medesimo, confidando nella verosimiglianza della correttezza dello stesso come redatto dal predetto giudice estensore, ma, pur tuttavia, era venuto meno all’assolvimento del suo obbligo di effettivo e completo controllo della sua piena conformità alla legge processuale, in tal modo ponendo, comunque, in essere una condotta grave sul piano della sua rilevanza disciplinare.

In tale ottica, la Sezione disciplinare del C.S.M. ha, perciò, messo in risalto come – pur non venendo, per l’appunto, meno la gravità della condotta addebitata al dr. S. (ancorchè non equiparabile propriamente a quella della dott.ssa M.) e, quindi, la sua perseguibilità dal punto di vista disciplinare – l’emergenza del precisato “ordinario affidamento” e l’evidente episodicità del comportamento allo stesso ascritto hanno legittimato, in un’ottica di complessiva valutazione da correlarsi anche alla valorizzazione del dato di un percorso professionale immune da censure, il riconoscimento dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto.

E’ appena il caso di rilevare che questa eccezionale causa di giustificazione contemplata dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis ha una sua valenza generale e trova applicazione quando – una volta che sia stata comunque accertata la specifica violazione disciplinare addebitata (sul piano oggettivo e soggettivo) al magistrato – si ritenga che, in una valutazione complessiva della vicenda disciplinare e della valorizzazione anche di altri profili caratterizzanti la figura e l’iter professionale del magistrato, il fatto – inteso nella sua globalità (e non, quindi, con riferimento al solo specifico addebito) – non raggiunga quel livello di censurabilità tale da legittimare l’irrogazione di una sanzione disciplinare.

In proposito la giurisprudenza di queste Sezioni unite (cfr., ad es., le sentenze nn. 7934/2013 e 17327/2017) ha avuto già modo di precisare che la previsione di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3-bis, cit. (aggiunto dalla L. 24 ottobre 2006, n. 269, art. 1), secondo cui l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, risulta applicabile – sia per il suo tenore letterale che per la sua collocazione sistematica – a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorchè la fattispecie tipica risulta essere stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze (anche, eventualmente, non riferibili all’incolpato), non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico, vizi nella fattispecie insussistenti.

11. In definitiva, alla stregua delle illustrate complessive argomentazioni riferite ai motivi dei distinti ricorsi proposti nell’interesse della dott.ssa M.M. e del dr. S.A., consegue il rigetto di entrambi i ricorsi, senza che si debba far luogo ad alcuna pronuncia sulle spese di questo giudizio non avendo il Ministro della Giustizia svolto attività difensiva.

PQM

La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, rigetta entrambi i ricorsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni unite, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2019

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