Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14159 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/06/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 27/06/2011), n.14159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13534-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO

9, presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZ2A LUIGI, giusta

delega in atti;

– MA.NI., R.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO

SERGIO NATALE EDOARDO, che li rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

e contro

L.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 333/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/04/2006 R.G.N. 1238/04 + altri;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2011 dal Consigliere Dott. DI CERBO Vincenzo;

udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega TRIFIRO’ SALVATORE;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso,

inammissibilità per MA..

La Corte:

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza del 28 aprile 2006 la Corte d’appello di Milano ha, in particolare, con riferimento ai profili che ancora rilevano in questo giudizio di legittimità, confermato le sentenze di prime cure che avevano dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati da Poste Italiane s.p.a. con M. G., L.P., R.R. e Ma.Ni.;

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; R.R. e M. N. hanno resistito con controricorso illustrato da memoria;

M.G. ha pure resistito con autonomo ricorso; L. P. è rimasto intimato;

3. in corso di causa è stato depositato un verbale di conciliazione in sede sindacale concernente la controversia fra Poste Italiane s.p.a. e il Ma.;

dal suddetto verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto dai lavoratore interessato, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a., risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale;

ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278);

in definitiva il ricorso nei confronti del Ma. deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse;

4. tenuto conto de contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, che ha anche regolato le spese processuali dei giudizi di merito, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse le spese del giudizio di cassazione;

5. M.G. e L.P. sono stati assunti con contratti a termine con decorrenza, rispettivamente, 30 novembre 1999 ( M.) e 10 ottobre 2000 ( L.); tali contratti sono stati stipulati a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane;

6. osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che i contratti in esame sono stati stipulati in data successiva al 30 aprile 1998;

tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto ai contratti de quibus;

al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 ” (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

in applicazione di tale principio vanno quindi rigettati i primi quattro motivi di ricorso (nella parte in cui si riferiscono ai contratti stipulati ai sensi dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997) e deve essere pertanto confermata la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti suddetti risultando superfluo l’esame di ogni altra censura al riguardo;

7. per quanto riguarda R.R., assunta con contratto a termine con decorrenza 5 giugno 2002, la Corte di merito ha ritenuto l’illegittimità del termine apposto al suddetto contratto sulla base di una doppia motivazione: ha infatti affermato, da un lato, che trattandosi di contratto stipulato ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l, del 2001, non era stata fornita la prova della sussistenza del previo accordo, previsto dalla citata normativa collettiva, concernente la valutazione della sussistenza, in concreto, delle condizioni che legittimavano il ricorso ai contratti a termine; dall’altro che, trattandosi di contratto stipulato dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001 – che consente l’apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (art. 1) e prescrive, quale requisito ad substantiam, la specificazione delle ragioni per l’apposizione del termine stesso – era mancata la prova, da parte della società, della riconducibilità concreta dell’assunzione a esigenze produttive e organizzative; in particolare nulla di specifico era stato dedotto sulla situazione dell’ufficio di adibizione nè sulla posizione professionale attribuita alla lavoratrice;

8. secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 12 aprile 2001 n. 5493; Cass. 19 marzo 2002 n. 3965; Cass. 24 maggio 2006 n. 12372), in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata sì fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa, specifica impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa.

nel caso di specie la censura (quinto e sesto motivo di ricorso oltre ai riferimenti contenuti nei precedenti motivi) ha riguardato soltanto la ratio decidendi basata sull’interpretazione dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 e pertanto deve ritenersi inammissibile essendo rimasta ferma la statuizione basata sull’art. 1 dei D.Lgs. n. 368 del 2001;

9. così respinte le censure attinenti alla nullità del termine apposto ai contratti sopra citati, o il primo motivo, osserva il Collegio che, quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010, del seguente tenore:

Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo una indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà.

Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli finì della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c.;

10. in proposito va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; in particolare, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche dell’accertata nullità dei termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze;

11. premessi tali principi di diritto, si rileva che nel caso in esame il motivo che investe il tema cui potrebbe essere riferibile, la disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7 è il settimo, indicato nella rubrica come violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 c.c. nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18; la società sostiene, in sostanza, che la situazione di mora accipiendi non è integrata dalla istanza pregiudiziale relativa al tentativo di conciliazione come pure dalla domanda introduttiva del giudizio; il motivo così riassunto si conclude con la formulazione del seguente quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ.: dica la Corte se, per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. c.c.;

se si tiene conto del principio secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato in maniera specifica e deve essere pertinente rispetto alla fattispecie cui si riferisce la censura (cfr., ad es., Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36; Cass. S.U. 5 febbraio 2008 n. 2658) è evidente che il quesito come sopra formulato dalla società si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia ed omette di enucleare il momento di conflitto, rispetto ad esse, del concreto accertamento operato dai giudici di merito; il motivo deve pertanto considerarsi inammissibile ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.;

12. il ricorso nei confronti dei lavoratori sopra indicati va pertanto respinto e la società ricorrente, in applicazione del criterio della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti dei lavoratori costituiti, spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Ma.Ni.; spese compensate fra quest’ultimo e Poste Italiane s.p.a.; rigetta il ricorso nei confronti di M. G., L.P. e R.R.; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti di M. e R. liquidate per ciascuno in Euro 30,00, oltre Euro 2500 (duemilacinquecento) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA;

nulla spese per L..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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