Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14157 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta Maria Consolata – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8069-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO GIOVANNINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 190/2012 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA

SEZ.DIST. di LIVORNO, depositata il 26/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 190/23/12 pubblicata il 26 settembre 2012 la Commissione tributaria regionale della Toscana sezione distaccata di Livorno ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Livorno n. 119/2/11 con la quale era stato accolto il ricorso proposto da S.R. avverso l’avviso di accertamento n. R5PH85 con il quale, in base agli studi settore, erano stati determinati maggiori ricavi per Euro 19.997,00 ai fini IRPEF, IRAP ed IVA per l’anno 2004, con conseguenti sanzioni;

che la Commissione tributaria regionale ha considerato che probabilmente il previo contraddittorio non vi era stato in quanto lo stesso Ufficio aveva comunicato al contribuente che, sulla base della documentazione fornita, l’accertamento sarebbe stato comunque confermato e, comunque, le doglianze del S. trovavano fondamento nella localizzazione dell’impresa e nella concorrenza esistente, per cui gli studi di settore applicati dall’Ufficio trovavano solo parziale conferma e non univoco riscontro;

che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi;

che S.R. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla normativa sugli studi di settore, e quindi al D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, comma 1, lett. d) e al D.P.R. n. 331 del 1993, art. 67 sexies, comma 3. In particolare si deduce che erroneamente la Commissione tributaria regionale avrebbe affermato che incombe all’Ufficio l’onere della prova sui maggiori redditi risultanti dall’applicazione degli studi di settore;

che con il secondo motivo si assume insufficiente motivazione su punto controverso e decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento, in particolare, agli elementi considerati a giustificazione del, reddito dichiarato dal contribuente, solo indicati ma non esplicitati;

che il primo motivo di ricorso è fondato. Per costante giurisprudenza di questa Corte “i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”, Cass. sez. V, sent. 20.02.2015, n. 3415. Già le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano del resto affermato che La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (Cass. SS.UU. 18 dicembre 2009, n. 26635). La legittimità dell’accertamento tributario fondato sugli studi di settore, ed il ricordato orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato poi confermato anche in sede sovranazionale (cfr. CGUE, 21.11.2018, in causa C-648-16). Se ne deduce che l’onere della prova fra le parti risulta così ripartito: all’ente impositore spetterà la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento, mentre al contribuente farà carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce;

che la Commissione tributaria regionale ha invece affermato che l’ufficio avrebbe dovuto provare il reddito accertato, mentre invece, come detto, il reddito di cui agli studi di settore è legittimamente presunto ed è onere del contribuente provare il reddito dichiarato in misura inferiore;

che, comunque, il giudice dell’appello non prende posizione riguardo alle prove acquisite sostenendo che nè l’Ufficio nè il contribuente hanno fornito elementi sufficienti per affermare l’esistenza, rispettivamente, del reddito accertato e del reddito dichiarato e, nel dubbio, sostenendo l’illegittimità dell’accertamento non dando, in tal modo, applicazione al principio sopra riferito;

che il secondo motivo è assorbito;

che la sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio alla medesima Commissione tributaria regionale della Toscana sezione distaccata di Livorno, in diversa composizione che si adeguerà a quanto sopra affermato e provvederà anche regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte di cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione distaccata di Livorno, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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