Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14157 del 07/06/2017

Cassazione civile, sez. I, 07/06/2017, (ud. 09/02/2017, dep.07/06/2017),  n. 14157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26490/2012 proposto da:

O.G., (c.f. (OMISSIS)), C.A. (c.f.

(OMISSIS)), N.S. (c.f. (OMISSIS)),

G.D.R.A.M. (c.f. (OMISSIS)), Ni.Gi. (c.f. (OMISSIS)),

Ni.Vi. (c.f. (OMISSIS)), e C.A. (c.f. (OMISSIS)),

quest’ultima nella qualità di legale rappresentante delle figlie

minori B.F. e B.L., elettivamente domiciliati

in Roma, via L. Spallanzani n. 22, presso l’avvocato Pescatore

Valerio, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Pescatore Gabriele, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Intesa San Paolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele

II n. 173, presso l’avvocato Stazi Lucia, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Ca.Si. in P., Ce.Si., P.E.,

T.F.M. in Pe., T.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4916/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;

udito, per i ricorrenti, l’avvocato V. PESCATORE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’avvocato L. STAZI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.G., + ALTRI OMESSI

In relazione a queste pronunce del tribunale capitolino, la Corte territoriale ha ritenuto – ferma la responsabilità della Banca per il furto di oggetti contenuti in cassette di sicurezza intestate agli attuali ricorrenti, come avvenuto tra l’11 e il 12 dicembre 1988 – che questi ultimi non avessero dimostrato quale fosse l’effettivo contenuto delle cassette di loro pertinenza e che non avessero quindi dato prova alcuna del danno in ipotesi patito e che, di conseguenza, non si rendesse ammissibile il giuramento suppletorio. E pure ha stabilito che nemmeno fosse possibile procedere a una liquidazione equitativa del danno, posta appunto l’assenza di elementi probatori circa l’effettiva sussistenza di un danno.

Nei confronti del ricorso, così proposto, resiste Banca Intesa San Paolo, che ha depositato apposito controricorso, tra l’altro contestando la legittimazione attiva di B.F. e di B.L..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi della norma dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I motivi di ricorso, che sono stati prospettati, denunziano i vizi qui di seguito richiamati.

Il primo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di giudicato interno, nonchè violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Il secondo motivo assume, a sua volta, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione al’art. 24 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c., art. 2729 c.c., comma 1, e di ogni altra norma e principio in materia di prove per presunzioni, nonchè dell’art. 115 c.p.c., comma 2 e dell’art. 2736 c.c., n. 2, art. 1839 c.c., art. 1325 c.c., n. 2 e art. 1226 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Nullità del procedimento (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Il terzo motivo predica, infine, “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2687 c.c., comma 1 e art. 1226 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

2.- Prima di tutto va presa in considerazione l’eccezione di difetto di legittimazione attiva che la resistente ha mosso, nei suoi atti difensivi, nei confronti di B.F. e di B.L..

Nel contesto del controricorso, l’eccezione è riferita al fatto che le signore B. si sono legittimate, in sede di ricorso, dichiarandosi eredi di C.O., già attore e appellante nei gradi del merito, e si sostanzia nel rilevare la mancata prova di tale qualità da parte delle medesime. Esaminata la documentazione prodotta in proposito, la resistente ha abbandonato il rilievo, peraltro contestualmente affermando, in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di B.F..

In questa ulteriore prospettiva, la resistente ha rilevato, in particolare, che la “notifica del ricorso è stata eseguita il 16.11.2012, ossia quando B.F. (nata… il (OMISSIS)…) era già divenuta maggiorenne, con conseguente estinzione della procura conferita in precedenza dalla madre esercente la responsabilità genitoriale… per la proposizione del ricorso”.

L’eccezione va disattesa. Il momento di esecuzione della notifica del ricorso risulta, infatti, dato in sè stesso non rilevante, posto che la questione si concentra sull’emissione e rilascio della procura. Questa, d’altro canto, è senz’altro anteriore al raggiungimento della maggiore età da parte di B.F., in quanto il ricorso è stato consegnato per la notifica in data 15.11. 2012.

3.- Il primo motivo svolto dai ricorrenti viene, in via segnata, a gravitare attorno al punto della sentenza in cui la Corte territoriale ha negato l’ammissione del giuramento suppletorio, rilevando l’insussistenza di una semipiena probatio in proposito.

Assumono dunque i ricorrenti che correttamente la Corte ha ritenuto che la sentenza definitiva del primo grado “non aveva il potere di disporre la revoca del giuramento suppletorio ammesso” dalla sentenza non definitiva. Tuttavia, la Corte ha errato nel passo successivo della motivazione svolta, là dove ha ritenuto ancora passibile di esame il tema dell’ammissibilità, o meno, del detto giuramento suppletorio. Perchè non ha tenuto conto del fatto che Banca Intesa San Paolo non aveva impugnato il capo della sentenza parziale di primo grado in cui era stato affermata la “ricorrenza delle condizioni per il deferimento del giuramento suppletorio”: la pronuncia della Corte ha così violato – concludono i ricorrenti – il giudicato interno che, in ragione di tale mancata impugnazione, si era ormai formato in materia.

4.- Il motivo è infondato.

Quello relativo alla ammissione del giuramento suppletorio è provvedimento di natura non decisoria, bensì istruttoria (ancorchè contenuto nella sentenza non definitiva), in quanto tale inidoneo a costituire giudicato. Cfr., al riguardo, già le sentenza di Cass., 8 maggio 1965, n. 861. Del resto, è principio acquisito della giurisprudenza di questa Corte pure quello secondo cui, nel caso in cui il giudice di primo grado abbia deciso la controversia a mezzo del deferimento del giuramento decisorio, comunque il giudice di appello può procedere alla rivalutazione delle prove e decidere anche prescindendo dal giuramento suppletorio. Cfr., da ultimo, Cass. 31 dicembre 2014, n. 27563.

5.- Con il secondo motivo, viene in particolare affermato che la “sentenza impugnata è gravemente carente nel capo in cui ha negato che gli odierni ricorrenti abbiano dimostrato che, al momento del furto, beni di loro proprietà erano custoditi dalla banca nelle cassette di sicurezza”.

La Corte territoriale – assumono i ricorrenti – ha “omesso di considerare le peculiarità del servizio relativo alle cassette di sicurezza”, che implica, tra l’altro, un'”assoluta riservatezza in ordine agli oggetti inseriti nel loculo messo a disposizione dalla banca”: la stessa avrebbe dovuto tenere in conto, perciò, dell'”oggettiva, inevitabile difficoltà” che il titolare della cassetta incontra quando deve dimostrare “quali e quanti beni fossero contenuti nel loculo”.

Per contro, la Corte non ha ritenuto costituire – non da soli, non nel loro complesso – valida prova presuntiva i “numerosi e convergenti elementi di prova forniti” dai ricorrenti, quali le “denunce di furto indirizzate all’autorità giudiziaria,… gli elenchi dei valori custoditi nei rispettivi loculi, redatti da pubblico ufficiale… le stime dei preziosi trafugati, rese da gioiellieri, periti e orafi”. E pure ha escluso che la somma di questi elementi formasse quella semipiena probatio che è sufficiente a giustificare l’ammissibilità del giuramento suppletorio. La Corte si è anzi spinta – soggiungono i ricorrente – sino ad affermare che “osta all’espletamento di tale mezzo istruttorio la mancata escussione in primo grado dei testi ammessi…, ma non assunti”: quando, in realtà, tale “mancata escussione, indotta esclusivamente dall’anomalo (eufemismo) andamento del procedimento, è del tutto irrilevante”.

6.- Il Collegio reputa inammissibile questo motivo. Lo stesso risulta inteso a richiedere una rivalutazione delle risultanze probatorie.

In materia di presunzioni è riservata al giudice del merito la valutazione discrezionale della sussistenza sia dei presupposti per il ricorso a tale mezzo di prova, sia dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare determinati elementi di fatto come fonti di presunzione, ovverosia come circostanze idonee a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit. L’unico controllo esercitabile sulle valutazioni compiute dal giudice ai fini suddetti è quello relativo alla coerenza logica e sufficienza della motivazione ed alla non avvenuta pretermissione di elementi di fatto decisivi per il giudizio. Cfr., da ultimo, Cass., 24 gennaio 2017, n. 1792.

Nella specie la Corte territoriale dà motivatamente conto della (ri)valutazione di insufficienza del quadro probatorio raccolto prima della delazione del giuramento e del convincimento che gli elementi acquisiti risultavano di per sè inidonei, sì da non giustificare l’ammissione del giuramento, nè tantomeno l’accoglimento della domanda.

D’altro canto, il potere del giudice di merito di deferire il giuramento suppletorio ha natura eminentemente discrezionale, trattandosi di mezzo di prova eccezionalmente sottratto alla disponibilità delle parti ed ammissibile d’ufficio; e la valutazione circa la sussistenza o meno dei presupposti per detto deferimento ex art. 2736 c.c., n. 2 è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione immune da vizi logico giuridici. Cfr. Cass., 25 febbraio 2004, n. 3810.

7.- Il terzo motivo assume, in particolare, che il “giudice dell’appello non ha considerato che, sebbene la determinazione equitativa consentita dall’art. 1226 c.c. sia possibile quando il danno sia ontologicamente certo, la relativa certezza può conseguirsi anche attraverso il ricorso a presunzioni”.

8.- Il motivo si manifesta inammissibile.

In effetti, la stessa formulazione di questo suppone che il giudice del merito abbia ravvisato, nel materiale probatorio sottoposto al suo esame, la valida formazione di una prova presuntiva.

Il che, nella specie, non risulta avvenuto.

9.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna O.G., + ALTRI OMESSI

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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