Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14155 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12120-2014 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA N. 45, presso lo studio dell’avvocato LORENZA DOLFINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 672/2013 della COMM.TRIB.REG. LAZIO,

depositata il 12/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.E. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 672/01/2013, depositata il 12.11.2013 dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, con cui, declinando la giurisdizione del giudice italiano, era stato rigettato l’appello del contribuente avverso l’avviso di mora per un presunto debito nei confronti del fisco belga, notificatogli dall’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 27 della Convenzione tra la Repubblica Italiana e il Regno del Belgio per evitare le doppie imposizioni e per prevenire la frode e l’evasione fiscale in materia di imposte sul reddito, firmata a Roma il 29 aprile 1983 e ratificata con 3 aprile 1989, n. 148.

Ha rappresentato che il contenzioso aveva tratto origine dalla notifica dell’atto, eseguita 11 28 febbraio 2006, con il quale il Concessionario della riscossione dei tributi, su incarico dell’Agenzia delle entrate, aveva richiesto all’odierno ricorrente il pagamento di Euro 99.673,57 a titolo di tributi maturati nei riguardi dello Stato belga, Stato richiedente assistenza per la riscossione ai sensi dell’art. 27 della suddetta Convenzione. Sostenendo che i redditi prodotti nel Belgio nel 1995 erano stati regolarmente dichiarati in Italia e già cumulati con quelli esposti nel Modello 740 del 1996, il C. aveva adito la Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso con sentenza n. 388/20/2006, dichiarata tuttavia nulla dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con pronuncia n. 121/22/2007 per violazione del contraddittorio. Rimessa la controversia al giudice di primo grado, la Commissione provinciale, con sentenza n. 90/01/2012, e la Commissione regionale, con la sentenza ora impugnata, avevano dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano per essere la controversia nella giurisdizione di quello belga in relazione ai motivi di ricorso. Il giudice d’appello, sulla base di precedenti di questa Corte, ha affermato che la giurisdizione avverso gli atti di riscossione di crediti tributari, richiesti dallo Stato straniero nell’ambito della cooperazione tra Stati in materia fiscale, resta riservata al giudice italiano per le sole questioni attinenti a vizi propri dell’atto di riscossione, mentre va ricondotta all’autorità giudiziaria straniera qualora il contribuente abbia contestato la sussistenza del debito tributario. Per il giudice d’appello il caso di specie rientrava nella seconda ipotesi.

Il ricorrente censura la decisione affidandosi ad un solo motivo, con il quale si duole della violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, per aver erroneamente escluso che il ricorso avverso l’avviso di mora afferiva a vizi propri dell’atto impugnato, solo ulteriormente corroborato dalla deduzione della infondatezza nel merito della pretesa fiscale. Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza con ogni conseguente provvedimento.

Si è costituita con controricorso l’Agenzia delle entrate, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Nell’adunanza camerale dei 13 gennaio 2021 la causa è stata trattata e decisa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

innanzitutto la questione va inquadrata nella disciplina regolante i rapporti di collaborazione tra lo Stato italiano e quello belga, disciplina introdotta dalla citata Convenzione, ratificata con L. n. 148 del 1989, il cui art. 27 così recita: “1. Gli Stati contraenti si impegnano a prestarsi reciproco aiuto ed assistenza ai fini della notifica e della riscossione delle imposte specificate all’art. 2, delle soprattasse ed addizionali di tali imposte nonchè degli interessi e spese ad esse relativi. 2. Su richiesta dell’autorità competente di uno Stato contraente, l’autorità competente dell’altro Stato contraente assicura, secondo le disposizioni legali e regolamentari applicabili alla notifica ed alla riscossione di dette imposte di quest’ultimo Stato, la notifica e la riscossione dei crediti fiscali di cui al primo paragrafo che siano esigibili nel primo Stato. Tali crediti non godono di alcun privilegio nello Stato richiesto e questo non è obbligato ad applicare le procedure esecutive non autorizzate dalle disposizioni legali o regolamentari dello Stato richiedente. 3. Le richieste previste al paragrafo 2 sono avvalorate da una copia ufficiale dei titoli esecutivi corredata, ove occorra, da una copia ufficiale delle decisioni passate in giudicato. 4. Per quanto concernei crediti fiscali suscettibili di gravame, l’autorità competente di uno Stato contraente può, al fine di salvaguardare i propri diritti, chiedere all’Autorità dell’altro Stato contraente di adottare le misure conservative previste dalla legislazione di quest’ultimo; le disposizioni dei paragrafi da 1 a 3 sono applicabili, mutatis mutandis, a tali misure. 5. L’art. 26, terzo, quarto e quinto periodo del primo paragrafo, si applica ugualmente alle informazioni portate a conoscenza, in esecuzione del presente articolo, delle Autorità competenti dello Stato richiesto”. L’art. 2 della Convenzione chiarisce che essa trova applicazione “1….alle imposte sul reddito prelevate per conto di uno Stato contraente, delle sue suddivisioni politiche o amministrative o dei suoi enti locali, qualunque sia il sistema di prelevamento. 2. Sono considerate imposte sul reddito le imposte prelevate sul reddito complessivo o su elementi del reddito, comprese le imposte sugli utili derivanti dall’alienazione di beni mobili o immobili, le imposte sull’ammontare complessivo dei salari corrisposti dalle imprese, nonchè le imposte sui plusvalori”.

La materia disciplinata appare prima facie più ampia di quella regolata dalla Convenzione concernente la reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa ed i Paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – OCSE -, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1988 e resa esecutiva con L. 10 febbraio 2005, n. 19, il cui art. 11, paragrafi 1 e 2, dispone che “1. Su richiesta dello Stato richiedente, lo Stato interpellato adotta, fatte salve le disposizioni degli artt. 14 e 15, le misure necessarie al recupero dei crediti di natura fiscale del primo Stato, come se si trattasse di crediti tributari propri. 2. Le disposizioni del paragrafo 1 si applicano soltanto ai crediti di natura fiscale che formano oggetto di un titolo che ne consente recupero nello Stato richiedente e che non sono contestati, a meno che le Parti interessate non abbiano convenuto diversamente. Tuttavia, se il credito è vantato nei confronti di una persona che non ha qualità di residente dello Stato richiedente, il paragrafo 1 si applica soltanto quando il credito non può più essere contestato, a meno che le Parti interessate non abbiano convenuto diversamente”. Ciò perchè quest’ultima afferisce a crediti fiscali portati in un titolo non contestato, e, quanto a debitori non residenti nello Stato che faccia richiesta di assistenza, si applica solo per crediti non più contestabili. Tuttavia quest’ultima Convenzione fa salvi gli accordi intervenuti tra singole Parti, ossia gli accordi bilaterali, tra cui deve certo annoverarsi quello tra l’Italia e il Regno del Belgio, sicchè deve argomentarsi la sintonia e correlazione delle fonti che complessivamente disciplinano la materia dell’assistenza alla riscossione.

Quanto poi alla giurisprudenza formatasi nella materia, questa Corte, sia pur con riferimento a convezioni bilaterali tra l’Italia ed altri Sati Europei, già da tempo ha enunciato il principio secondo cui, in tema di riscossione in Italia di crediti per imposte dovute all’amministrazione finanziaria tedesca, ai sensi dell’art. 7 della convenzione tra l’Italia e la Germania sull’assistenza amministrativa e giudiziaria in materia tributaria, ratificata con r.a.i. 9 settembre 1938, n. 1676, l’Autorità italiana, quando viene incaricata dall’Autorità tedesca di riscuotere un credito tributario, procede senza udire preventivamente il debitore, ma pur sempre in conformità alla legge italiana. Essa è pertanto tenuta a provvedere alla notifica di una cartella esattoriale, o comunque di un atto che renda il contribuente consapevole del fatto che l’amministrazione italiana procede alla riscossione di un debito tributario nell’interesse e per conto dell’amministrazione tedesca, nonchè della natura e delle caratteristiche del debito stesso, atteso che il contribuente ha il diritto di verificare da dove scaturisca la pretesa che l’amministrazione pretende di esercitare, movendo contestazioni, sia pur solo nel ristretto ambito delle questioni devolute alla giurisdizione italiana (Cass., 9/10/2006, n. 21669, relativa ad un avviso di mora, costituente l’unico atto notificato al contribuente, che non aveva riportato le informazioni minime per poter identificare il credito medesimo). Sempre con riguardo alla disciplina regolante l’assistenza tra l’Italia e la Germania in materia di riscossione di debiti tributari, si è anche affermato che qualora l’autorità tedesca, dando atto della definitività del titolo esecutivo in quanto “non contestato”, si rivolga a quella italiana per la riscossione delle imposte (nella specie l’IVA) e per i conseguenti atti esecutivi, secondo le previsioni della Convenzione del 9 giugno 1938, cit., il contribuente italiano che, ricevuta l’ingiunzione doganale del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, ex art. 82 si opponga lamentando la mancata regolare notifica del titolo e della richiesta estera di recupero, non introduce una controversia appartenente alla giurisdizione italiana e relativa alle modalità di svolgimento della fase esecutiva, la cui regolarità non è in discussione, non richiedendo il D.P.R. n. 43 cit., art. 346-bis (applicabile catione temporis) che l’ingiunzione sia preceduta dalla notifica del titolo estero. Al contrario, quando l’opponente assume l’illegittimità (derivata) dell’ingiunzione doganale solo in quanto nega l’esecutività dei suddetto titolo tedesco per difetto di notifica, derivando tale esecutività dalla dichiarazione di non contestazione rilasciata dalla autorità richiedente, egli, pur contestando formalmente un atto, quale l’ingiunzione doganale, adottato dalla autorità italiana, nel dedurre la necessità della previa notifica, in realtà contesta la suddetta dichiarazione e, con essa, l’esecutività del titolo azionato, in tal modo introducendo una questione esplicitamente attribuita dalla legge all’autorità dello Stato richiedente, in quanto dello stesso art. 346-bis, il comma 4 prevede che la contestazione del titolo esecutivo emesso nell’altro Stato membro va rivolta all'”organo competente dello Stato membro, in conformità delle leggi ivi vigenti” (cfr. Cass., Sez, U, 23/04/2009, n. 9671; vedi anche 12/09/2014, n. 19283).

Dunque, ai fini della individuazione della giurisdizione, si è affermato che, relativamente all’assistenza tra Stati dell’Unione Europea per la riscossione dei crediti, la controversia appartiene alla giurisdizione dello Stato richiedente ove le contestazioni riguardino il credito od il titolo esecutivo, mentre ricade nella giurisdizione dello Stato destinatario quando le censure investano gli atti esecutivi (Cass. 17/03/2017, n. 6925; 11/04/2018, n. 8931). La giurisdizione del giudice tributario italiano è pertanto correttamente individuata quando sia contestata l’idoneità del titolo esecutivo a sostenere gli atti esecutivi, in particolare la sua idoneità a dar corso alla richiesta di assistenza avanzata. Nei conseguente affinamento dei principi preposti alla individuazione della giurisdizione, con un recente arresto, questa Corte ha ritenuto che ai sensi della Convenzione di reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale tra Stati membri de Consiglio d’Europa e Paesi membri dell’OCSE, ratificata con L. n. 19 del 2005, al fine di assicurare il diritto di difesa del contribuente a fronte di un titolo contenente la pretesa tributaria proveniente da uno Stato estero, la cartella di pagamento deve contenere elementi sufficienti a consentire al destinatario di valutare se contestarla, dovendosi nondimeno commisurare la congruità di tale contenuto all’ambito, ristretto, delle questioni che egli possa sottoporre alla giurisdizione italiana (Cass., 25/09/2020, n. 20189, nella quale si è ritenuto che detti requisiti sono soddisfatti quando l’Amministrazione finanziaria italiana abbia dichiarato di procedere, in adempimento delta menzionata Convenzione, nell’interesse e per conto del collaterale ufficio straniero, alla riscossione di un debito tributario dall’importo determinato che l’Amministrazione fiscale estera vantava in forza di un titolo esecutivo ed in relazione ad imposte dovute per un anno specifico).

Esaminando dunque il caso di specie, il C. lamenta l’erroneità della decisione impugnata perchè, secondo la prospettazione difensiva, il giudice regionale non avrebbe correttamente compreso l’oggetto del ricorso, ritenendolo rivolto al merito della pretesa fiscale dello Stato belga, laddove invece con esso erano stati denunciati vizi formali dell’atto di riscossione notificato dai Concessionario italiano.

Ebbene, a parte l’incongruenza defila vocazione in giudizio della sola Agenzia delle entrate e non ancne del concessionario, cui sarebbero riconducibili i vizi dell’azione e dei procedimento esecutivo, dalla lettura del ricorso emerge che il C., impugnando l’avviso di mora, aveva sostenuto: a) di aver dichiarato i redditi prodotti in Belgio ne corso dell’anno 1995 unitamente a quelli prodotti in Italia per il medesimo anno d’imposta; b) la prescrizione in ogni caso del credito azionato con l’avviso di mora; c) l’illegittimità dell’atto impugnato per omessa previa notifica di un atto impositivo da parte dell’Amministrazione finanziaria dello Stato belga; d) la violazione dell’art. 27 della Convenzione, laddove il comma 3 prevede che “le richieste di cui al paragrafo 2 sono avvalorate da una copia ufficiale dei titoli esecutivi; e) l’illegittimità dell’atto impugnato “in quanto affetto da un insanabile vizio di motivazione che non consente al ricorrente di comprendere le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della pretesa avanzata con l’avviso di mora impegnato”.

Risulta evidente che i primi quattro motivi sono rivolti nei confronti del credito fiscale belga. Anche la contestazione di cui al punto d), con cui si contesta il presupposto dell’attività esecutiva intrapresa in Italia in adempimento degli accordi di assistenza alla riscossione, è diretta a mettere in discussione il credito medesimo. E ciò anche volendo prescindere dal rilievo che la prescrizione afferisce al complesso della documentazione che lo Stato belga richiedente deve allegare alla richiesta di assistenza, senza che lo Stato italiano richiesto di assistenza debba a sua volta allegarlo necessariamente all’atto di recupero, mancando una prescrizione di tal fatta nella Convenzione (cfr. Cass., n. 20198 del 2005 cit., pag. 14 della pronuncia, per una analoga fattispecie, in riferimento alla Convenzione ratificata con L. n. 19 del 2005 cit., il cui dettato normativo, espresso dall’art. 11 della Convenzione medesima, contiene una formula analoga al comma 3 dell’art. 27 della Convenzione italo-belga che qui interessa, essendo espressamente relazionata alla richiesta inoltrata dal Belgio e non alla documentazione che secondo la disciplina italiana in materia di esecuzione deve corredare l’atto esattoriale).

Quanto all’unica censura che può ricondursi ai vizi dell’avviso di mora impugnato, essa è inammissibile per difetto di autosufficienza del ricorso, non avendo riprodotto il ricorrente il contenuto dell’avviso di mora, e non potendo dunque questo Collegio esaminare se Fatto esattoriale fosse carente di quel contenuto minimo, cui la giurisprudenza medesima ha vincolato il giudizio di nullità dell’atto emesso dal concessionario italiano per i recupero del tributo reclamato dallo Stato belga.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali del giudizio, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese di causa, che liquida in Euro 5.400,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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