Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14155 del 11/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/07/2016, (ud. 16/06/2016, dep. 11/07/2016), n.14155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16877/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 564/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO del 28/01/2014, depositata il 03/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore Cons. Dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Milano ha accolto l’appello di M.A. – appello proposto contro la sentenza n. 83/03/2013 della CTP di Como che aveva respinto il ricorso del predetto contribuente – ed ha così annullato l’avviso di accertamento per IRPEF-IRAP ed altro afferenti all’anno 2007 e concernenti la dichiarazione dei compensi degli esercenti e gerenti degli apparecchi che distribuiscono vincite in danaro, essendo emersa incongruenza tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto comunicato dal concessionario di zona.

La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando – per quanto qui ancora rileva – che l’avviso di accertamento appariva viziato da errata interpretazione dei fatti che avevano condotto al recupero di tassazione a riguardo dei componenti positivi (asseritamente non dichiarati per Euro 155.454,00, cifra che risultava determinata in ragione di una interpretazione presuntiva ed erronea dei dati comunicati dalla concessionaria Gamenet spa, sulla concessione della quale il M. operava come gestore degli apparecchi anzidetti). Ed invero, dalla tabella fornita dalla Gamenet risultava che l’ultima colonna dei dati (relativa ai compensi del “gestore/esercente”) indicava la cifra incassata non solo dal gestore ma anche dagli esercenti nei locali pubblici dei quali gli apparecchi erano collocati. I rapporti tra le due categorie menzionate “sono liberamente determinati dal gestore che li regola contrattualmente” e perciò l’Ufficio aveva erroneamente interpretato l’importo collocato nell’anzidetta colonna e che doveva risultare dalle ricevute rilasciate dai singoli esercenti al M.. In ciascuna ricevuta, invero, risultava il criterio di compartecipazione del 50%, sicchè non poteva che essere frutto di errore l’avere imputato al M. l’intero ammontare degli importi indicati nella colonna ridetta.

D’altro canto, in analogo avviso di accertamento relativo a diverso anno di imposta (prodotto dal M.) risultava essere stata fatta la corretta imputazione delle quote di rispettiva competenza del gestore e degli esercenti, sicchè altro non restava che annullare il provvedimento erroneamente adottato.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il motivo di impugnazione (rubricato come: “Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè dei principi generali in materia di contenzioso tributario e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 36”) la ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice del merito – una volta identificato l’errore di cui riteneva affetto il provvedimento impositivo – non abbia rideterminare l’imposta dovuta, limitandosi invece ad annullare integralmente il provvedimento impositivo.

Il motivo è inammissibilmente formulato per violazione del canone di autosufficienza.

Ed invero, il presupposto imprescindibile affinchè il giudice tributario debba “esaminare nel merito la pretesa tributaria e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (in termini si veda, per tutte, Cass. sez. 6-5 Ordinanza n. 26157 del 21.11.2013) e che vi sia obiettiva materia per siffatta valutazione sostitutiva, di che non può che essere onere della parte ricorrente fare dettagliata ricostruzione.

Nella specie, in sostanza, sarebbe spettato alla parte ricorrente allegare e debitamente illustrare la circostanza che l’errore rilevato e debitamente descritto dal giudice del merito non esaurisca l’ambito della contestazione la quale ultima (nascendo dall’affermazione dell’esistenza di una “incongruenza” tra i dati comunicati dalla concessionaria e quelli dichiarati dal contribuente) non è stata debitamente delucidata nella sua concreta consistenza.

In tal modo, è impossibile per la Corte fare apprezzamento della concreta rilevanza della censura, e perciò apprezzare se – alla luce dei dati acquisiti al processo e dei dati storici allegati in atti dalle parti – al giudicante sarebbe stato concretamente possibile l’espressione di una apprezzamento valutativo idoneo ad un giudizio sostitutivo.

La censura della parte ricorrente, invece, prospettata in termini di puro e vago principio, assume i connotati di pura proposta esplorativa e non può essere concretamente esaminata per la stessa insussistenza dei presupposti di sua ammissibilità i quali consistono anzitutto nella “possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 9777 del 19/07/2001).

Se poi la censura concretamente proposta dalla parte ricorrente è un mero succedaneo di quella di ultrapetizione (che il giudicante può avere commesso accogliendo la domanda di parte come rivolta ad ottenere l’integrale annullamento del provvedimento, avendone invece la parte contribuente-appellante richiesto il solo parziale annullamento ovvero la solo parziale censura della pronuncia di primo grado, ovvero che il giudicante può avere commesso limitando il proprio apprezzamento solo ad alcune censure di appello, obliterandone altre riferite a specifici capi della pronuncia di primo grado), si imporrebbe altra dichiarazione di inammissibilità, appunto per l’erronea proposizione di un mezzo diverso da quello che sarebbe stato necessario proporre.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 20 dicembre 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2016

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