Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14155 del 07/06/2017
Cassazione civile, sez. I, 07/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.07/06/2017), n. 14155
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11171/2011 proposto da:
International Factors Italia S.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via
Crescenzio n.82, presso l’avvocato Bassi Stefano, rappresentata e
difesa dall’avvocato Tucci Massimo, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) S.r.l.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 376/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,
depositata il 13/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/04/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale SALVATO Luigi, che chiede che la Corte rigetti
il ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 13 marzo 2010, ha respinto il gravame proposto da International Factors Italia S.p.A. (d’ora innanzi, per tutti, solo IFI) per la modificazione dello stato passivo del Fallimento (OMISSIS) Srl, avendo richiesto – senza successo davanti al GD e al Tribunale di quella stessa città – l’ammissione, in via chirografaria, del proprio credito nascente dal contratto di factoring concluso in data 19 luglio 1984 con la società in bonis.
1.1. Secondo la Corte, per quello che ancora interessa in questa sede, avendo la curatela formalmente contestato la produzione documentale posta a supporto sia della domanda che dell’opposizione allo stato passivo, i detti documenti versati dalla creditrice, ossia le copie dell’estratto notarile del “libro giornale cedenti”, non sarebbero state idonee a provare il credito preteso, non trovando applicazione il disposto dell’art. 2710 c.c. nei rapporti tra l’impresa e la curatela fallimentare, che agisca nella sua funzione di gestore del patrimonio del fallito (e non già in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito).
1.2. Infatti, la documentazione, “seppur attestante un rapporto di factorig tra le due società, non poteva assurgere a dignità di prova in ordine alla certezza, liquidità ed esigibilità del preteso credito, elementi non determinabili per mezzo del sistema delle cd. presunzioni semplici” (p. 3 della sentenza).
2. Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione International Factors Italia S.p.A., con tre motivi.
3. Il PG, nella persona del dr. Luigi Salvato, ha concluso, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., affinchè la Corte rigetti il ricorso. 4.La curatela non ha svolto attività difensiva.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo mezzo di impugnazione (insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la ricorrente ha censurato il ragionamento svolto dalla Corte territoriale in quanto – secondo il giudice a quo – il Fallimento avrebbe contestato i documenti da essa prodotti e posti a base della domanda e dell’opposizione, senza che la lapidaria affermazione contenuta nella sua comparsa (“Controparte si è limitata a produrre a corredo delle proprie domande unicamente una serie di estratti conto”) possa rappresentare una contestazione, precisa e puntuale, delle appostazioni contabili rilevabili dagli estratti conto riferibili all’intero rapporto contrattuale, in mancanza della spiegazione del perchè tali conteggi (interessi, pagamenti, commissioni) non fossero validi.
2. Con il secondo (Violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., commma 1, n. 3), la ricorrente ha censurato il ragionamento svolto dalla Corte d’appello in quanto essa avrebbe erroneamente ritenuto che il Fallimento avesse contestato le risultanze degli estratti conto in mancanza di una specifica e puntuale presa di posizione, come gli imponeva la nuova formulazione dell’art. 167 c.p.c., con la conseguenza che la creditrice non aveva alcun ulteriore onere probatorio.
3. Con il terzo (insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la ricorrente ha censurato il ragionamento svolto dalla Corte territoriale in quanto essa avrebbe, indebitamente, fatto riferimento all’art. 2710 c.c. (mai citato e menzionato dalla ricorrente nella precedente fase di merito), sulla base del presupposto non corretto che essa aveva (contrariamente al vero) invocato la speciale rilevanza della contabilità dell’imprenditore, mentre la prova del credito nasceva in applicazione del principio di contestazione.
4. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, perchè incentrati sulla stessa ragione di doglianza relativa al fatto che gli estratti conto non fossero stati contestati, se non genericamente, dalla Curatela fallimentare.
4.1. Ma essi sono infondati e devono essere respinti in quanto, alla base delle due doglianze, vi è un equivoco costituito dalla confusione tra gli oneri di (non) contestazione, che riguardano solo le allegazioni sui fatti, e le prove prodotte per dimostrarne l’attendibilità, a cui quel principio non si applica.
4.2. A tal proposito, peraltro, questa Corte ha già affermato (Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 2016) il principio di diritto secondo cui “l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice.”.
4.3. Ha perciò ragione il PG, nella sua requisitoria scritta, il quale ha osservato che le due censure si risolvono in una inammissibile critica dell’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine all’apprezzamento delle prove.
5. Il terzo mezzo, riguardante la censura relativa al preteso fraintendimento all’applicazione del consolidato principio di diritto relativo agli artt. 2709 e 2719 c.c. (da ultimo, espresso da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14054 del 2015, e secondo cui “al curatore fallimentare, che agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui, non è opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori, di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c., delle scritture contabili regolarmente tenute, senza che tale inopponibilità, in sede di accertamento del passivo, resti preclusa ove non eccepita, trattandosi di eccezione in senso lato – e, dunque, rilevabile d’ufficio in caso di inerzia del curatore – poichè non si riconnette ad una azione necessaria dell’organo ma al regime dell’accertamento del passivo in sè, nel cui ambito il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito.”), in quanto frutto di un equivoco del giudice di merito, che non si sarebbe avveduto che le doglianze della parte riguardavano non già la speciale rilevanza della contabilità dell’imprenditore, ma la prova del credito, ricavabile facendo corretta applicazione del principio di (non) contestazione, rifluiscono in realtà nella già esaminata infondatezza dei primi due mezzi di cassazione, restando assorbito.
6. In conclusione, il ricorso va respinto senza che vi sia necessità di provvedere sulle spese di lite, in difetto di un’attività difensiva da parte della Curatela fallimentare, in questa fase del giudizio.
PQM
Respinge il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 19 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017