Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14154 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/05/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10877-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 75/2012 della COMM.TRIB.REG. PUGLIA,

depositata il 24/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 75/11/2012, depositata il 24.10.2012 dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, che, accogliendo l’appello di L.F., aveva ritenuto – in motivazione – illegittimo l’avviso di accertamento notificato il 21 dicembre 2009 al contribuente, per la rideterminazione dei redditi relativi all’anno d’imposta 2004, ai fini Irpef, Irap, Iva, nonchè dei contributi previdenziali.

Dalla sentenza impugnata e dal ricorso dell’Ufficio si evince che, a seguito di processo verbale di constatazione redatto dalla GdF, l’Amministrazione finanziaria per l’anno d’imposta 2007 aveva notificato al contribuente, esercente commercio all’ingrosso di oli e grassi alimentari, un avviso d’accertamento, con cui erano stati contestati ricavi non dichiarati e costi non deducibili. Il 12 dicembre 2007 L. aveva presentato istanza di accertamento con adesione, successivamente perfezionatasi.

Il 4 settembre 2009 la GdF notificò al contribuente un ulteriore processo verbale di constatazione, relativo al periodo d’imposta aprile 2004 – novembre 2005. L’atto era scaturito da indagini bancarie sul conto corrente del L., da cui erano emersi redditi non dichiarati, pari ad Euro 247.626,03. Il 28 dicembre 2009 l’Agenzia delle entrate notificò pertanto al L. un nuovo atto impositivo per la rideterminazione dei maggiori tributi dovuti a titolo di Irpef, Irap, Iva, addizionali regionali e contributi previdenziali.

Era seguito il contenzioso, esitato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Bari nella sentenza n. 115/24/2011, che aveva rigettato il ricorso. Nel successivo giudizio d’appello la Commissione tributaria regionale della Puglia, con la decisione ora al vaglio della Corte” aveva invece accolto l’impugnazione del contribuente. Il giudice regionale ha ritenuto che il secondo accertamento non fosse collegato, sotto il profilo formale e sostanziale, all’attività commerciale del contribuente, atteso che i versamenti bancari riscontrati, dell’importo di Euro 361.519,83, derivavano esclusivamente dalla vendita di terreni agricoli, effettuata per atto notarile del 26 aprile 2004, operazione dunque estranea all’azienda dell’appellante e priva di rilevanza ai fini dell’accertamento del reddito aziendale. Ha in ogni caso ritenuto assenti i presupposti prescritti dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 2, comma 4, lett. a), così che l’accertamento medesimo ne era risultato illegittimo. Ha rilevato infine che l’attività dell’Amministrazione finanziaria fosse stata condotta in violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10 perchè con l’emissione del secondo atto impositivo era stato violato il principio di tutela dell’affidamento del contribuente, che aveva già definito con la procedura per adesione il primo avviso d’accertamento.

Con un unico motivo l’Agenzia delle entrate ha censurato la decisione dolendosi della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a) nonchè del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto che l’avviso d’accertamento era stato fondato sulla seconda verifica della GdF, da cui erano scaturiti elementi nuovi, non conosciuti dall’Ufficio al momento della emissione del primo atto impositivo. Ha affermato inoltre che gli importi emersi con la suddetta verifica erano estranei a ricavato della vendita dei terreni, cui il giudice d’appello aveva ricondotto la fonte dei proventi del contribuente, reputandone l’estraneità al reddito d’impresa.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza.

Nonostante la rituale notifica del ricorso l’intimato non ha depositato controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate ha invocato l’errore di diritto, in cui sarebbe incorsa la Commissione regionale nel ritenere insussistenti i presupposti dell’accertamento integrativo, che aveva fatto seguito al primo atto impositivo, definito con l’istanza di accertamento con adesione.

Li ricorso, così come formulato, è inammissibile. Va premesso che la sentenza impugnata è fondata su diverse rationes decidendi, tra loro autonome. Dalla semplice e piana lettura della motivazione si evince infatti che la Commissione regionale ha innanzitutto ricondotto i versamenti riscontrati sul conto corrente bancario dei L. alla vendita di terreni agricoli, avvenuta per atto notarile dei 26 aprile 2004. Ha peraltro evidenziato che si trattava di operazione economica personale del contribuente, estranea all’attività imprenditoriale di commercio di oli e grassi alimentari, nel cui alveo era stato elevato il secondo atto impositivo – emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, – non rappresentando dunque neppure un reddito imponibile aziendale, ma una ordinaria operazione di compravendita concretizzatasi con la cessione di proprietà immobiliari verso un corrispettivo: Solo nel prosieguo della motivazione il giudice d’appello ha ritenuto che l’avviso d’accertamento fosse comunque illegittimo, mancando i presupposti prescritti dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 4, lett. a) per l’emissione di un accertamento integrativo al primo, già notificato per il medesimo anno d’imposta e definito con ricorso al procedimento di accertamento con adesione. A tal riguardo ha ritenuto che l’Ufficio abbia anche violato i principi posti dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 a tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente.

Si tratta con evidenza di due ragioni autonome, la prima relazionata ad una valutazione in fatto sull’oggetto della contestazione fiscale, in forza della quale il giudice d’appello ha ritenuto per un verso di giustificare e identificare la fonte della provvista costituita sul conto corrente bancario del L., corrispettivo della vendita di terreni, per altro verso di affermarne l’estraneità all’attività commerciale oggetto di verifica fiscale, disconoscendone peraltro ogni natura reddituale per derivare dalla dismissione di un cespite patrimoniale del contribuente; la seconda relazionata alla ritenuta illegittimità dei secondo atto impositivo, per mancanza dei presupposti per l’emissione di un accertamento integrativo.

Ebbene, questa Corte ha affermato che la sentenza basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, impone al ricorrente l’onere di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso (Cass., 13/07/2005, n. 14740; 6/07/2020, n. 13880; cfr. anche 18/04/2019, n. 10815; 14/08/2020, n. 17182).

Nel caso di specie il motivo di censura dell’Amministrazione finanziaria ricorrente è inequivocabilmente volto nei confronti della legittimità dell’accertamento integrativo, mentre il riferimento alle considerazioni spese dal giudice regionale sulla fondatezza dell’atto impositivo impugnato appaiono come meri argomenti che non perfezionano un vero motivo d’impugnazione. Manca ogni riferimento alle norme che si assumerebbero violate, e ciò sia nell’epigrafe del motivo articolato, sia nell’incipit delle ragioni esplicitate, laddove si afferma che “la sentenza de qua risulta pronunciata in evidente violazione delle disposizioni contenute del D.Lgs. n. 218 del 1997” (pag. 6, righi 7-8).

In ogni caso, e per mera completezza, anche a voler ritenere che con tali accenni sia stato formulato un autonomo motivo di impugnazione della sentenza, si tratterebbe di un motivo comunque inammissibile. In esso infatti la critica sarebbe volta alla denuncia di un vizio di motivazione della sentenza, in carenza però dei presupposti, sia perchè violato il principio di autosufficienza – per non aver riprodotto nè indicato, anche solo sinteticamente, il passaggio motivazionale dell’accertamento integrativo o dell’atto difensivo del giudizio di merito, con il quale l’Amministrazione aveva escluso che la provvista ed i proventi risultanti sul conto corrente fossero riconducibili alla cessione dei terreni -, sia perchè in ogni caso la censura sarebbe rivolta ad un accertamento in fatto del giudice d’appello, la cui rivalutazione è inibita in sede di legittimità, non avendo la ricorrente neppure individuato il vizio logico o l’errore materiale in cui la pronuncia impugnata sarebbe incorsa nella valutazione dei fatti di causa.

Ebbene, l’inammissibilità o infondatezza, dei motivi d’impugnazione, anche solo nei confronti di una delle rationes decidendi autonome della decisione impugnata comporta il rigetto dei l’impugnazione medesima. Risulta infatti comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della o delle censure infondate o inammissibili (cfr. Cass., 13;06/2018, n. 15399).

D ricorso dunque va rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese per fa mancanza di atti difensivi dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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