Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14152 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. I, 07/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.07/06/2017),  n. 14152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28859/2012 proposto da:

Intesa SanPaolo S.p.a. (p.i. 10810700152), quale incorporante il

Sanpaolo Imi s.p.a. in Banca Intesa s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Cassiodoro n. 1, presso l’avvocato Costantino Giorgio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mangone Eugenio,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del Curatore avv.

F.S., elettivamente domiciliato in Roma, P.le Clodio n. 8, presso

l’avvocato Falcone Sergio, rappresentato e difeso dall’avvocato De

Franco Salvatore, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 291/2011 della CORTE D’APPELLO DI LECCE

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 02/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/04/2017 dal cons. DI VIRGILIO ROSA MARIA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale SALVATO Luigi, che chiede che la Corte accolga

il ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

Rilevato che:

Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 2006, n. 1533, accoglieva parzialmente la domanda del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l. e revocava i versamenti eseguiti dalla società in bonis nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento sul c/c (OMISSIS) per Lire 81.117.970, che avevano estinto il debito eccedente il fido accordato, ritenendo sussistente la scientia decoctionis della Banca, alla stregua dei dati negativi del bilancio del 1996, dei protesti, levati sin dal 1995, dal saldo costantemente passivo del rapporto di conto; non revocava la rimessa di Lire 444.602.905, risalente al periodo tra il 4/2 ed il 9/3 del 1998, perchè, essendo stata eseguita “in assenza di affidamenti e di scoperti di c/c” (rilievo del Ctu), era da ritenersi estranea alla causa petendi.

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 2/3-31/10/2011, ha accolto per quanto di ragione l’appello principale del Fallimento, condannando Intesa Sanpaolo al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 180.099,45, oltre interessi, ed ha respinto l’appello incidentale della Banca.

In sintesi, la Corte del merito ha ritenuto che la domanda del Fallimento, per come formulata, riguardava tutti i versamenti destinati ad estinguere la posizione debitoria della correntista, da cui la revoca per Lire 347.348.663 della rimessa di Lire 413.200.000, avvenuta nella stessa data della revoca dell’affidamento il 24/3/98, per l’importo pari al saldo debitore del conto(nè a riguardo ostavano la derivazione di detta rimessa dalla conversione in denaro dei titoli costituiti in pegno e la concreta inapplicabilità DELLA L. Fall., artt. 53 e 54, per non essere ancora attiva all’epoca la procedura fallimentare), nonchè la revoca della rimessa di Lire due milioni del 16/7/98, nella misura di Euro 708,84, pari al debito gravante a tale data sul c/c in assenza di affidamento.

Era infondato l’appello incidentale della Banca in relazione al requisito soggettivo della domanda del Fallimento, attesi gli elementi già apprezzati dal Tribunale (dati di bilancio, con valori in passivo, esistenza di protesti sin dal 1993, saldo sistematicamente a debito oltre i limiti del fido, risultanze della Centrale Rischi), specialmente in relazione con la professionalità della Banca nell’acquisizione di elementi relativi alla posizione economica dei clienti, e la revoca del fido e il repentino realizzo del pegno erano indici inconfutabili della situazione di allarme percepita dell’istituto.

Ricorre avverso detta pronuncia Intesa Sanpaolo spa, già Banca Intesa spa, con ricorso strutturato su due motivi.

Si difende con controricorso il Fallimento.

Il P.G. ha depositato le conclusioni scritte.

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo motivo, sotto il profilo dei vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente si duole dell’avere la Corte di merito ritenuto revocabile per Euro 179.390,61 (Lire 347.348.633 delle vecchie Lire) la rimessa di Lire 413.200.000 del 24/3/98, con valuta del 28/2/98, registrata con la causale “controval. titoli senza contabile”), disattendendo l’eccezione della parte intesa a far valere che tale versamento integrava il realizzo di un pegno irregolare, costituito a garanzia dell’obbligazione restitutoria derivante dalle aperture di credito concesse alla società (garanzia costituita con l’atto dell’8/8/1996, sui titoli descritti come “SPAOLO CD SEM 7,60% Importo 1.300.000.000”, che all’art. 10 attribuiva alla Banca il diritto di disporre dei beni dati in pegno e delle somme integranti il controvalore), da ciò conseguendo che non si trattava di pagamento revocabile, ma di compensazione, consentita L. Fall., ex art. 56.

Secondo la ricorrente, sussistono da parte della Corte pugliese l’erronea ricognizione della fattispecie, atteso il riferimento al precedente di legittimità relativo alla rimessa non riveniente dall’esercizio della prelazione da parte della Banca, ed il vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo della natura solutoria del versamento, e quindi della sua effettiva qualificazione come pagamento.

Col secondo mezzo, la ricorrente denuncia i due vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla reiezione del proprio appello incidentale sul requisito soggettivo, e si duole dell’avere la Corte del merito desunto la conoscenza dello stato di insolvenza della società:

dai dati di bilancio con valori in passivo, visto che la Banca non ha potuto esaminare i bilanci degli esercizi 1997 e 1998 mai depositati o depositati solo dopo la dichiarazione di fallimento, ma solo quello del 1996 che registrava un utile di esercizio, mentre i dati di bilancio possono essere considerati allo scopo ove chiaramente evidenzianti l’insolvenza;

dall’esistenza dei protesti, visto che quello del 1993 era stato dovuto ad un errore del Monte dei Paschi, comunque era isolato e risalente nel tempo, mentre i protesti come risulta dalla visura Cerved erano stati pubblicati a giugno 1998;

dal saldo sistematicamente a debito sul conto oltre il limite del fido, che non rivela alcuna situazione di insolvenza, che invece potrebbe essere manifestata dalla tendenza opposta al sistematico rientro;

dalle risultanze della Centrale Rischi, nel richiamo agli indici valutati dal Tribunale, evidenzianti solo due esigue segnalazioni di modesta sofferenza dal 31/1/97;

dalla revoca del fido e dal repentino realizzo del pegno, che sono avvenuti successivamente all’atto da revocare il 24/3/98.

Il primo motivo è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

Va in via preliminare considerato, a fronte dei rilievi del Fallimento, che l’esistenza della garanzia pignoratizia e la riferibilità alla linea di credito concessa per Lire 400.000.000 sono state presupposte dalla Corte del merito e non sono state rimesse in discussione dal Fallimento in via di ricorso incidentale condizionato.

E’ altresì stata presupposta dal Giudice territoriale la natura irregolare del pegno, alla stregua della fattispecie oggetto di causa, come si evince dalla sia pur sintetica espressione di cui al secondo capoverso di pag. 5 della pronuncia, che pertanto induce a ritenere qualificato in tali termini il pegno in oggetto.

Come ritenuto, tra le altre, nelle pronunce 16/6/05, n. 12964, del 5/11/2004, n. 21237, 2456/08, si esula dall’ipotesi di pegno regolare e si rientra, viceversa, nella disciplina del pegno irregolare, qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, abbia vincolato al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, conferendo a quest’ultimo anche la facoltà di disporre del relativo diritto, come delineato dall’art. 1851 c.c., norma (riferita all’anticipazione bancaria, ma che costituisce tuttavia la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare) in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso di inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della relativa scadenza.

Si rende applicabile il principio espresso nelle pronunce del 5/11/2004, n. 21237, del 20/4/06, n. 9306, del 28/5/2008, n. 14067 e del 1/4/2011, n.7565, (e vedi altresì, per l’enunciazione del principio non ritenuto applicabile nel diverso caso di pegno regolare, le pronunce 12/9/2011, n. 18597 e 8/8/2016, n. 16618), secondo cui in tema di revocatoria fallimentare, nel caso di costituzione in pegno di un certificato di credito, avente natura di titolo al portatore, a garanzia di un’apertura di credito, con riconoscimento alla banca garantita del potere di disporre del titolo, si configura una ipotesi di pegno irregolare, a fronte della quale, ove la banca abbia alienato il titolo soddisfacendosi sul ricavato per quanto dovutole a seguito della revoca dell’affidamento concesso al debitore, poi fallito, l’estinzione del credito vantato dalla banca si sottrae alla revocatoria fallimentare, giacchè nel pegno irregolare – il quale implica che il creditore garantito acquisisca la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire, in caso di inadempimento, solo nella parte eccedente l’ammontare del credito garantito – la compensazione costituisce la modalità tipica di esercizio della prelazione.

La revocabilità è quindi esclusa dal fatto che la modalità di estinzione dell’obbligazione, diversa dal pagamento, è esplicitamente sancita dalla L. Fall., art. 56, che riconosce ai creditori del fallito il diritto di compensare i debiti verso il fallito con i propri crediti “ancorchè non scaduti prima della dichiarazione di fallimento”.

Ed il richiamo in sentenza alla pronuncia di questa Corte del 26/2/2010, n. 4785, non è corretto, dato che nel caso richiamato, si trattava del caso diverso della rimessa sul conto corrente del prezzo della vendita, che non poteva essere collegato al contratto di pegno, perchè era stato lo stesso debitore ad alienare il certificato di deposito ad acquirente designato dalla banca, che aveva pertanto implicitamente rinunciato all’esercizio della prelazione e consentito all’eliminazione del vincolo di destinazione del pegno.

Anche il secondo motivo (che non è assorbito, visto che lo stesso riguarda anche le altre rimesse revocate) è fondato, sia pure considerati gli specifici limiti del vizio di motivazione, che nella specie si applica nella formulazione anteriore alla modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012.

Ed infatti, tenuti presenti gli indici rivelatori della scientia decoctionis secondo la Corte del merito, va osservato che: quanto alle risultanze di bilancio “con valori in passivo”, la ricorrente ha fatto valere la non conoscibilità dei bilanci degli esercizi 1997 e 1998 e che l’unico bilancio valutabile presentava un utile di esercizio: a fronte di ciò, la Corte territoriale non ha sviluppato alcun argomento per sostenere l’inattendibilità della voce; quanto ai protesti, la banca ha richiamato quanto già sostenuto nel merito, trattarsi di un unico protesto nel 1993 (del quale erano stati contestati i presupposti tant’è che era stato promosso giudizio risarcitorio anteriormente al fallimento, come rilevato dal curatore nella propria relazione), e che gli altri risalivano al maggio 1998; quanto all’andamento del conto, a fronte delle deduzioni sullo svolgimento del rapporto svolte nel giudizio di merito, la sentenza impugnata si è espressa in termini meramente assertivi, così come è apodittico il richiamo alle risultanze della centrale Rischi, senza alcuna considerazione delle circostanze concrete determinanti la segnalazione della sofferenza; incongruo è infine il richiamo alla revoca del fido ed al repentino realizzo dei titoli in pegno, avvenuti a marzo 1998, ma che non possono essere considerati probanti la scientia in capo alla banca in relazione ai versamenti oggetto di revocatoria, avvenuti in date antecedenti.

Va pertanto accolto il ricorso; va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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