Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14150 del 11/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/07/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 11/07/2016), n.14150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16445-2014 proposto da:

F.LLI T. D.T.M. E C.A. SNC, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE CAMILLO SABATINI 150, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO CEPPARULO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA AMATUCCI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 865/05/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI NAPOLI SEZIONE DISTACCATA DI SALERNO del 01/07/2013,

depositata il 03/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, osserva:

La CTR di Napoli ha accolto l’appello dell’Agenzia avverso la sentenza della CTP di Avellino n.451/12/2012 con la quale erano stati accolti il ricorsi della contribuente “F.LLi T. snc” e dei soci T.M. e C.A. (originariamente autonomi e poi riuniti in primo grado) – ed ha così confermato l’avviso di accertamento per IVA-IRAP nonchè IRPEF (“per trasparenza”, in riferimento ai redditi da partecipazione dei soci) per l’anno 2007, avviso a mezzo del quale era stato contestato maggiore imponibile d’impresa in virtù delle risultanze di documentazione extracontabile rinvenuta in sede di attività ispettiva presso terza società (tale “Andreone Marbles srl”), con annotazione di cessioni di merci a favore della contribuente nel corso dell’anno 2007, nonchè in virtù di vendita di marmo asseritamente effettuata sottocosto e ritenuta simulata a riguardo del corrispettivo (rideterminato secondo i prezzi correnti di mercato). La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che – quanto alla valenza probatoria delle valorizzate annotazioni contabili non ufficiali, rinvenute presso terzi, da ritenersi “mero elemento indiziario di evasione fiscale, insuscettibile in quanto tale di soddisfare l’onere probatorio gravante sull’Ufficio – dette annotazioni (nell’ottica della formazione del libero convincimento giudiziale) erano state in concreto debitamente e correttamente apprezzate e valorizzate dal giudice di primo grado alla luce dell’esistenza tra le due società di consolidati rapporti commerciali e dell’ulteriore rilievo per cui le annotazioni riferite a transazioni non fatturate si riferivano non solo all’anno 2007, ma anche a quello precedente ed a quello successivo, il che poteva considerarsi sufficiente al raggiungimento del “ragionevole convincimento…. della ricorrenza di una consuetudine di operazioni non fatturate tra le due società…nel quadro di un frequente e consolidato rapporto commerciale”. A ciò la CTR aggiungeva il fatto che le annotazioni extracontabili rinvenute dalla GdF erano in concreto riportate all’interno di una più ampia contabilità parallela, con esatta indicazione della data delle operazioni, dei relativi importi e dei soggetti terzi con i quali dette operazioni erano state concretizzate. Quanto, poi, alla questione della contestata vendita sottocosto (con ribasso del 99,58%) e alla sua asserita riconducibilità ad una vendita di materiale di scarto, la CTR evidenziava che la contribuente non aveva fornito alcun concreto elemento di prova a sostegno di tale assunto che, perciò stesso, è stato ritenuto implausibile. D’altronde, dal PVC emergeva che anche nell’anno 2008 risultava effettuata analoga operazioni con emissione di analoga fattura (con lo sconto del 50%), ciò che valeva a corroborare l’assunto di complessiva inattendibilità della contestata contabilizzazione.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia non si è difesa se non con atto destinato a conservare la facoltà di partecipare alla udienza di discussione.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 546 del 1992, art. 36 e del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 2729 c.c.) la parte ricorrente si duole del fatto che la Commissione abbia violato il principio secondo il quale “gli scritti provenienti da terzi estranei alla lite, che non siano costituiti da documenti ufficiali, non possono costituire da soli prova che legittimi una ripresa da parte dell’Amministrazione finanziaria” e possono essere valutati solo come meri indizi che, solo in concorso con altri elementi, costituiscono fonte di convincimento circa l’esistenza di evasione fiscale. Detto principio era stato affermato dalla stessa CTR e poi contraddetto dall’avvenuta valorizzazione del mero indizio consistito nella documentazione extracontabile rinvenuta presso terza ditta e – perciò stesso – non valorizzabile da sè sola come legittima fonte di convincimento, perchè non costituente elemento idoneo a fondare una presunzione idonea a termini del menzionato art. 39 ma semplice presunzione supersemplice.

La censura appare manifestamente infondata e da disattendersi.

Il costante indirizzo interpretativo-applicativo di legittimità è infatti contrastante con la tesi di parte contribuente, che appare fondata su precedenti che – invece – confermano quanto subito si dirà. A tal proposito basti menzionare la recente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20094 del 24/09/2014, a mente della quale: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss.

tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo)”.

Come si desume dagli argomenti valorizzati da detta pronuncia e che qui vale la pena ribadire, per i redditi d’impresa ilD.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. In tal caso, l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente dimostrare – anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette l’infondatezza della pretesa fiscale” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9210 del 2011; adde Cass. n. 6337/2002, Cass. n. 4601/2002).

Deve perciò concludersi nel senso che – secondo il consolidato indirizzo di legittimità- “la contabilità in nero” (sebbene rinvenuta preso terzi), costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39e – per il suo valore probatorio – legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli”.

Con riguardo specifico alla fattispecie di causa va poi messo in peculiare rilievo che il giudicante ha espletato correttamente e diffusamente il proprio dovere di dare conto delle ragioni per le quali ha ritenuto convincenti gli elementi di prova addotti, ai fini del raggiungimento del proprio convincimento, con valutazione che è riservata per la legge di rito alle sue specifiche competenze e che non potrebbe essere rinnovata in questa sede.

Invero, è noto che, in materia di presunzioni, è riservato all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito sia lo stesso ricorso a tale mezzo di prova, sia la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, salvo il limite del controllo in sede di legittimità a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omessa considerazione di fatti determinanti. Nel caso in esame, la parte ricorrente ha dedotto un vizio di violazione di legge, sicchè il giudizio da espletarsi in questa sede non può avere riguardo alla idoneità degli indizi posti a base dell’accertamento presuntivo che attiene alla valutazione dei mezzi di prova e spetta esclusivamente al giudice di merito (Cass. 26 gennaio 2007 n. 1715).

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 92 TUIR; D.P.R. n. 546 del 1992, art. 46 e combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 2729 c.c.) la parte ricorrente si duole che il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile la contabilizzazione di una vendita sottocosto, giustificata dalla natura di materia di scarto attribuita alla merce in questione e censura detta valutazione come motivazione solo apparente ed illogica”, atteso che dalla stessa lettura della sentenza emerge la totale obliterazione di elementi che avrebbero condotto ad una diversa decisione: in prossimità della chiusura della propria attività (avvenuta il 19.12.2008 una siffatta cessione avrebbe dovuto ritenersi “ordinaria”, trattandosi di materiale residuo accumulato nel corso di 40 anni di attività ed avente superficie insufficiente ai fini dell’utilizzo per la realizzazione di lapidi, quale era il nucleo dell’attività esercitata. Anche con riferimento alla omessa rilevazione tra i costi delle rimanenza iniziali pari ad Euro 28.700,00 la sentenza impugnata aveva realizzato una palese violazione di legge, per l’apparenza ed illogicità della motivazione, siccome i ricorrenti avevano debitamente evidenziato nell’appello che “non era stato decurtato l’importo delle giacenze iniziali” mentre erano state indicate tra i ricavi le rimanenze finali. I giudici di appello, “senza alcuna logica, sono andati ad esaminare il prospetto al foglio Il del PVC, nel quale è riportato invece il calcolo della percentuale di ricarico che secondo gli accertatori dovrebbe essere applicata ai costi”, ciò che non aveva correlazione alcuna con quanto eccepito.

Anche con riguardo all’IRAP la motivazione risultava del tutto apparente ed illogica, siccome fondata unicamente sull’esame dell’accertamento e della differenza tra l’accertato ed il versato e non sulla violazione rilevata nel PVC a pag.23.

Il motivo appare inammissibilmente formulato.

Invero, allorchè è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. Non è infatti sufficiente un’affermazione apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass. 31 maggio 2006 n. 12984; Cass. 18 aprile 2007 n. 9245).

Nella specie di causa, la parte ricorrente non ha provveduto a quanto oggetto di detto onere, limitandosi a semplicemente postulare (senza esplicitarne il dettaglio) l’esistenza di un errore interpretativo-

applicativo, sicchè è incorsa nel rilevato vizio di inammissibilità.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza ed inammissibilità.

Roma, 15 dicembre 2015.

ritenuto inoltre:

che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;

che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa per sostenere la legittimazione processuale della società contribuente, assunto al quale la Corte ritiene di non annettere rilevanza alcuna, atteso che sono costituiti nella presente procedura (ab origine) anche i soci che sono diventati necessari successori in universum ius della società medesima ed hanno perciò legittimante proposto la domanda di impugnazione del provvedimento impositivo (Cass. SS.UU. 6070/13; Cass. 9418/01, 20874/04, 23765/08);

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2016

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