Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1415 del 19/01/2018


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Cassazione civile, sez. un., 19/01/2018, (ud. 21/11/2017, dep.19/01/2018),  n. 1415

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Ente strumentale della Croce Rossa Italiana, nel resistere all’impugnazione del licenziamento disciplinare avanzata nei suoi confronti dal Dr. P.C., ha proposto contro costui domanda riconvenzionale intesa ad ottenere il versamento delle somme da lui illegittimamente percepite per aver svolto, in situazione di incompatibilità con il suo status di pubblico dipendente, attività professionale in seno alla “Associazione professionale anestesisti e rianimatori”; tale attività, non essendo stata autorizzata, era stata all’origine del licenziamento del suddetto Dr. P..

2. L’adito Tribunale di Roma ha disposto la separazione della causa riconvenzionale, pendente la quale – sempre innanzi al Tribunale capitolino – il Dr. P. ha proposto istanza di regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo affermarsi la giurisdizione del giudice contabile, istanza cui resiste con controricorso l’Ente strumentale della Croce Rossa Italiana.

3. Nelle proprie conclusioni scritte il PG ha chiesto che venga affermata la giurisdizione del giudice ordinario.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Il ricorso è ammissibile, essendo stato proposto prima che la causa sia stata decisa nel merito in primo grado (cfr. art. 41 c.p.c., comma 1).

2.1. Si sostiene nell’istanza di regolamento la sussistenza della giurisdizione esclusiva della Corte dei conti ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7-bis, comma introdotto dalla L. n. 190 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b), in forza del quale “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.

3.1. Deve invece ravvisarsi nel caso di specie la giurisdizione del giudice ordinario, in continuità con le considerazioni svolte dall’ordinanza n. 19072/2016 di queste Sezioni unite seppur in una ipotesi anteriore all’introduzione del cit. comma 7-bis.

Si muova dal rilievo che l’obbligo di versamento all’amministrazione delle somme percepite nello svolgimento di attività professionali in situazione di incompatibilità con lo status di pubblico dipendente (obbligo previsto del cit. D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7) costituisce una particolare sanzione prevista dalla legge per la violazione del dovere di fedeltà.

In primo luogo milita in tal senso il tenore letterale della norma, che nell’ultimo periodo del comma così si esprime: “In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato…”.

Il fare salve “le più gravi” sanzioni anzichè le “sanzioni” tout court oggettivamente conferisce anche al versamento de quo la medesima natura sanzionatoria, ancor più evidente se si considera il carattere disincentivante proprio della sanzione, desumibile dalla coincidenza dell’entità del versamento con quella delle somme indebitamente percepite dal pubblico dipendente, affinchè questi sappia in partenza di non poter trattenere vantaggio alcuno da prestazioni che si appresti a svolgere in violazione del dovere di fedeltà.

La conclusione è rafforzata dal rilievo che l’obbligo di versare tali somme, per come delineato dal cit. comma 7, prescinde da quelli che sono i necessari presupposti della responsabilità per danno erariale (evento dannoso, nesso causale con una data condotta e relativo elemento psicologico).

A ciò si aggiunga – sempre per escludere che l’art. 53, comma 7, cit. delinei una pretesa risarcitoria in capo all’amministrazione per danno erariale – che la prestazione resa dal pubblico dipendente a favore di terzi non necessariamente implica un danno per l’amministrazione (ben potendo il pubblico dipendente aver correttamente adempiuto tutti gli altri obblighi lavorativi malgrado lo svolgimento di altra attività non autorizzata) e che la previsione d’una fattispecie determinativa di danno risulterebbe dissonante con la quantificazione del risarcimento in misura invariabilmente coincidente (nulla di più, nulla di meno) con gli emolumenti indebitamente percepiti dal pubblico dipendente.

D’altronde, come sostenuto in dottrina e ripreso dalla summenzionata Cass. S.U. n. 19072/16, se il mero percepire da terzi determinati compensi costituisse di per sè ipotesi di responsabilità erariale, dovrebbe – a rigori – essere attivata soltanto ad iniziativa della Procura della Corte dei conti.

Ma vi osta il tenore letterale dell’art. 53, comma 7, cit., che prevede l’obbligo di versamento dell’indebito compenso a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore: è chiaro che in nessun caso la Procura della Corte dei conti potrebbe agire per danno erariale nei confronti dell’erogante, poichè per definizione autore di danno erariale può essere soltanto un soggetto che agisca, anche solo temporaneamente e in via straordinaria, per conto della pubblica amministrazione, in qualità di funzionario, di dipendente o di soggetto inserito nel suo apparato organizzativo in rapporto di servizio inteso in senso lato o comunque legato da una qualche relazione funzionale con l’ente pubblico che abbia patito il danno (cfr., ex aliis, Cass. S.U. n. 1377/06).

Nel caso in discorso, invece, il terzo che abbia erogato compensi al pubblico dipendente in corrispettivo della prestazione da lui resa non è in rapporto alcuno con la pubblica amministrazione da cui dipende il percettore, di guisa che non potrebbe mai essere evocato in un giudizio per responsabilità erariale.

Nè sarebbe ragionevole ipotizzare una diversa giurisdizione per il recupero delle somme (contabile nei confronti del percettore, ordinaria nei confronti dell’erogante), foriera di potenziali contrasti di giudicati.

4.1. In conclusione, dalla natura sanzionatoria dell’obbligo del versamento previsto dal cit. art. 53, comma 7, deriva la giurisdizione del giudice ordinario, secondo le ordinarie regole di riparto in materia di rapporto di pubblico impiego contrattualizzato.

Sussiste, invece, la giurisdizione contabile solo se alla violazione del dovere di fedeltà e/o all’omesso versamento della somma pari al compenso indebitamente percepito dal dipendente si accompagnino specifici profili di danno (ma non è questo il caso).

PQM

dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, che provvederà anche sulle spese del regolamento in oggetto.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018

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