Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14149 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30014-2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA

15, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI SPEDICATI,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE LOMARTIRE;

– ricorrente –

contro

COMUNE SAN PIETRO VERNOTICO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA APOLLODORO 26, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO VITTORIO LELLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GUIDO MASSARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 368/2018 del TRIBUNALE di BRINDISI, depositata

il 16/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

Fatto

RILEVATO

che:

P.M. ricorre per la cassazione della sentenza n. 368/2018 del Tribunale di Brindisi, pubblicata il 16 marzo 2018, articolando un solo motivo.

Resiste con controricorso il Comune di San Pietro Vernotico.

Il ricorrente espone in fatto di avere ottenuto dal Giudice di Pace di San Pietro Vernotico, con sentenza n. 525/2014, il parziale accoglimento della propria domanda risarcitoria nei confronti del Comune di San Pietro Vernotico, condannato, perciò, a corrispondergli la somma di Euro 1.000,00, al netto degli interessi legali e delle spese di lite.

Il Tribunale di Brindisi, con la decisione qui impugnata, aveva rigettato l’appello proposto dall’odierno ricorrente e lo aveva condannato, accogliendo le censure di merito dell’Ente Comunale, a restituire la somma ottenuta con la sentenza di prime cure e al pagamento delle spese di lite.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo formulato il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 2, e art. 339 c.p.c., comma 3.

Secondo l’argomentazione del ricorrente, il Tribunale, rigettando l’eccezione di inammissibilità dell’appello perchè tardiva – in quanto formulata in sede di precisazione delle conclusioni – ed infondata – in quanto il Giudice di Pace aveva pronunciato non secondo equità, ma sulla base delle prove orali espletate e della documentazione esibita dalle parti -avrebbe duplicemente errato: a) in merito alla tardività, perchè, quale Giudice di appello avverso una sentenza del Giudice di pace per controversia di valore inferire ad Euro 1.100,00, avrebbe dovuto verificare d’ufficio l’ammissibilità dell’appello ex art. 339 c.p.c., comma 3, indipendentemente dalla eccezione di parte; b) in merito all’infondatezza, perchè non avrebbe tenuto conto che la sentenza del Giudice di Pace è appellabile non se sia pronunciata secondo equità, ma solo in ragione del valore della controversia determinato in base alla domanda. Perciò, avendo egli chiesto il risarcimento del danno nella misura di Euro 1.035,66 (oltre a IVA) ovvero nella misura ritenuta di giustizia, oltre a rivalutazione e interessi dal fatto, il valore della controversia – determinata aggiungendo agli Euro 1.035,66 la rivalutazione e gli interessi – sarebbe stato di Euro 1.096,38, quindi, sarebbe rientrato nel limite del giudizio di equità.

E quanto alla richiesta di condanna nella diversa misura ritenuta di giustizia, il ricorrente, enunciati gli orientamenti invalsi presso la giurisprudenza di questa Corte – a) quello restrittivo, che considera il valore della controversia indeterminato; b) quello che la considera ininfluente sul valore della controversia, in quanto clausola di stile; c) quello che impone di valutare i fatti esposti dall’attore e le prove offerte, al fine di verificare se emergano circostanze atte a far ritenere che la domanda superasse il valore espressamente menzionato – sostiene la tesi che la perifrasi “nella diversa misura che il giudice riterrà di giustizia” non potesse essere considerata espressione della sua volontà di chiedere una somma maggiore di quella di Euro 1.035,66, essendosi la domanda rivolta verso la diversa misura eventualmente ritenuta dal giudice.

Di conseguenza, ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3, la sentenza di prime cure avrebbe potuto essere impugnata solo per violazione di norme del procedimento, di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi che regolano la materia.

2. Il ricorso è inammissibile.

Queste le ragioni.

Mette conto rilevare, in primo luogo, che l’esposizione del fatto risulta carente, in quanto il ricorrente si limita a riferire di avere formulato una domanda risarcitoria nei confronti del Comune di San Pietro Vernotico, ma omette: a) di indicare le ragioni della domanda proposta; b) di riferire dello svolgimento del giudizio di primo grado; c) di indicare le ragioni della decisione, dato che non va oltre il richiamo della condanna al pagamento della somma di Euro 1.000,00, ottenuta in ragione di un non meglio specificato danno asseritamente subito e per il quale il Comune di San Pietro Vernotico era stato condannato.

Egli si è limitato a riportare, sia pure per estrema sintesi e senza le argomentazioni essenziali in fatto e in diritto atte a supportarle, le censure mosse alla sentenza di prime cure dal Comune di San Pietro Vernotico – “Mancata pronuncia su eccezioni tempestivamente sollevate dalla parte e vizio di ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c. – Erronea applicazione dell’art. 2052 c.c., – Erronea ed omessa valutazione delle prove acquisite in palese violazione degli artt. 115-116 c.p.c., – art. 2697 c.c., – Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – Violazione art. 244 c.p.c., (Cass., Sez. un., 18/05/2006 n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde, infatti, non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 20/02/2003 n. 2602). Stante tale funzione, per soddisfare la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Deve essere rilevato che, in aggiunta al mancato rispetto del requisito della esposizione sommaria del fatto che già porterebbe ad un giudizio di inammissibilità del ricorso:

a) con il motivo, pur dolendosi della violazione di una norma del procedimento, in quanto censura il non essere stato dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza del Giudice di Pace, invece, di evocare l’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente si avvale erroneamente della categoria logica di cui al n. 3, che non è rilevante nel caso di vizi inerenti la violazione della legge processuale;

b) il motivo risulta quantomeno aspecifico, perchè, pur avendo lamentato che la sentenza del Giudice di Pace avrebbe dovuto essere considerata inappellabile o almeno appellabile solo per i vizi specifici di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, il ricorrente non svolge alcuna argomentazione volta a dimostrare che le censure formulate dal Comune di San Pietro Vernotico non rientrassero tra quelle ammesse. Egli si limita a censurare il fatto che il valore della controversia non superava il valore di Euro 1.100,00 e che quindi ricorrevano i presupposti dell’art. 113 c.p.c., comma 2, (c.d. equità necessaria) nonchè che, indipendentemente dalla tempestività della propria eccezione, il Tribunale avrebbe dovuto anche d’ufficio rilevare l’inappellabilità della sentenza se non per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di nome costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolati della materia.

Deve precisarsi che se è vero che il Tribunale di Brindisi non ha fatto corretta applicazione del principio già affermato da questa Corte, e che va qui ribadito, secondo cui per stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, occorre assumere a riferimento non già il contenuto della decisione, ma il valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 c.p.c., e segg. e senza tenere conto del valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato (per consolidato orientamento di legittimità, per determinare il mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del Giudice di pace, deve aversi riguardo esclusivamente al valore oggettivo della causa, da determinarsi, secondo i principi di cui all’art. 10 c.p.c., e ss., sulla base della domanda proposta, restando irrilevante che il Giudice di pace abbia, in concreto, deciso la controversia, secondo diritto ovvero secondo equità: ex multis: Cass., Sez. un., 16/06/2006, n. 13917; da ultimo: Cass. 18/01/2018, n. 1210), la formulazione di una domanda ulteriore rispetto a quella determinata diretta a postulare l’accoglimento della richiesta per un maggior importo indeterminato fa sì che, secondo la giurisprudenza di questa Corte cui si intende dare seguito (Cass. 11/07/2006, n. 15698 e numerose pronunce successive conformi), la causa si presuma di competenza per valore eguale a quello massimo della competenza del giudice adito. Nel caso di specie, dunque, la competenza era eguale al massimo della competenza del Giudice di Pace, di cui all’art. 7 c.p.c., comma 1, pertanto, l’appello non era soggetto alla limitazione di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3.

3. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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