Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14145 del 08/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14145 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 24265-2008 proposto da:
GIRARDI FIDELMO C.F. GRRFLM44D24H823X, QUAGGIO PAOLA,
GIRARDI

FIDELMO,

CAZZADOR

RICCARDO

C.F.

CZZRCR57B23L736L, ZUGNO IDELMA C.F. ZGNDLM44P551551Y,
CAVASIN MARIA C.F. CVSMRA52P63F269W, CELIN BIANCA
C.F. CLNBNC42R41L736Y,

tutti domiciliati in

ROMA,

PIAllA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dagli

avvocati ALDO CAMPESAN, CLAUDIO MONDIN, giusta delega

in atti;
– ricorrenti –

Data pubblicazione: 08/07/2015

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA
RICERCA, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO DIREZIONE GENERALE, UFFICIO SCOLASTSICO REGIONALE PER
IL VENETO – DIREZIONE GENERALE -CENTRO SERVIZI

– intimati –

e sul ricorso 6980-2009 proposto da:
BASSO REGINA BRUNA C.F. BSSRNB5OS68L085V, DRIGO
MARISA C.F. DRGMRS44S41A, BERNARDINI IVO C.F.
BRNVI059C09I373M, tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati
ENZO URBANI, FLAVIO RANA, giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA C.F. 80185250588, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia,
in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– controricorrente nonché contro

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO
DIREZIONE GENERALE, UFFICIO SCOLASTSICO REGIONALE PER
IL VENETO – DIREZIONE GENERALE -CENTRO SERVIZI

AMMINISTRATIVI DI VENEZIA;

AMMINISTRATIVI DI VENEZIA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 768/2007 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 13/03/2008 R.G.N. 49/2006
altre;

udienza del 21/04/2015 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato ZAMPIERI NICOLA per delega CAMPESAN
ALDO, MONDIN CLAUDIO (per R.G. N. 24265/2008);
udito l’Avvocato ZAMPIERI NICOLA per delega PANA
FLAVIO, URBANI ENZO (per R.G. N. 6980/2009);
udito l’Avvocato DI MATTEO ENRICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso R.G.N. 24265/2008,
accoglimento del ricorso R.G.N. 6980/2009.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

.4

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

Svolgimento del processo

1.— Con sentenza depositata il 13 marzo 2008, n. 768/2007, la Corte di
Appello di Venezia, in riforma della pronuncia del primo giudice, ha rigettato le
domande proposte da Fidelnno Girardi, Riccardo Cazzador, Bianca Celin, Maria

Marisa Drigo, dipendenti di enti locali transitati al Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca ai sensi dell’art. 8 della I. n. 124 del 1999, volte al
riconoscimento giuridico ed economico dell’effettiva anzianità maturata presso gli
enti locali di provenienza da parte della pubblica amministrazione di destinazione.
La Corte distrettuale ha risolto la controversia applicando l’art. 1, co. 218,
della I. n. 266 del 2005, intervenuto in corso di giudizio, secondo cui “il comma 2
dell’articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il
personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico
ed ausiliario (ATA) statale é inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili
professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico
complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della
posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento
annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla
retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti,
previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto enti locali, vigenti
alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione
stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre
1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile,
previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione
stipendiale”.
Poiché la pubblica amministrazione di destinazione aveva inquadrato gli istanti
sulla base di tale criterio – usualmente definito del cd. “maturato economico” – in
quanto già presente nel decreto del Ministro della Pubblica Istruzione 5 aprile
,

2001, che a sua volta aveva recepito l’accordo stipulato tra l’ARAN e i
rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000, i giudici
d’appello hanno respinto le domande dei lavoratori.

2.— Per la cassazione di tale sentenza Fidelmo Girardi, Riccardo Cazzador,
Bianca Celin, Maria Cavasin, Paola Quaggio, Idelma Zugno, hanno proposto

\DA

R.G. n. 2426512008 e 6980/2009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente Macloce Relatore Arnendola

Cavasin, Paola Quaggio, Idelma Zugno, Bernardini Ivo, Regina Bruna Basso,

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

ricorso in data 10 ottobre 2008, affidato a 17 motivi. Rispetto a tale ricorso la
pubblica amministrazione è rimasta intimata. Con altro ricorso dell’11 marzo
2009 hanno domandato la cassazione della medesima sentenza Bernardini Ivo,
Regina Bruna Basso, Marisa Drigo, con 17 motivi. Ad esso il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha resistito con controricorso.

precedente ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, proposto da
Fidelmo Girardi, Riccardo Cazzador, Bianca Celin, Maria Cavasin, Paola Quaggio,
Idelma Zugno, notificato in data 18 luglio 2008, è stato dichiarato improcedibile
da questa Corte in data 2 febbraio 2012 con ordinanza n_ 1495; ha così
sollecitato le parti al contraddittorio sul punto a mente dell’art. 384, co. 3, c.p.c..
Per la successiva udienza del 21 aprile 2015 i ricorrenti hanno comunicato
memoria ex art. 378 c,p.c..

Motivi della decisione

3.— Occorre pregiudizialmente rilevare che il ricorso R.G. n. 24265 del 2008,
proposto il 10 ottobre 2008 da Fidelmo Girardi, Riccardo Cazzador, Bianca Celin,
Maria Cavasin, Paola Quaggio, Idelma Zugno, deve essere dichiarato
inammissibile.
Invero le medesime parti hanno proposto un precedente ricorso per
cassazione avverso la stessa sentenza n. 768/2007 della Corte di Appello di
Venezia, dichiarato improcedibile da questa Corte in data 2 febbraio 2012 con
ordinanza n. 1495; dalla stessa ordinanza risulta che detto ricorso era stato
notificato in data 18 luglio 2008.
Con plurime pronunce questa Corte insegna che il principio di consumazione
dell’impugnazione, di cui all’art. 387 c.p.c. per il quale il ricorso per cassazione
dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, non esclude
che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa
essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del
precedente e destinato a sostituirlo, ma sempre che “esso sia tempestivo,
requisito per la cui valutazione occorre tenere conto, anche in caso di mancata
notificazione della sentenza, non del termine annuale, che comunque non deve
essere già spirato al momento della richiesta della notificazione della seconda
impugnazione, ma del termine breve, che decorre dalla data di proposizione della

R.G. n. 24265/2008 e 6980/2009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente MAcloce Relatore Amendola

All’udienza pubblica dell’8 gennaio 2015 il Collegio ha dato atto che un

-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da
parte dell’impugnante” (da ultimo, Cass. n. 18604 del 2014; conformi: Cass. n.
12898 del 2010; Cass. n. 17411 del 2004; Cass. n. 643 del 1998).
Nella specie, rispetto alla data di proposizione della prima impugnazione (18
luglio 2008), era ormai decorso il termine breve di sessanta giorni al momento in

Del tutto irrilevante che la questione non sia stata eccepita da parte intimata,
attenendo essa alle condizioni di ammissibilità del ricorso per cassazione a causa
del passaggio in giudicato della sentenza impugnata; quanto all’acquisizione
dell’ordinanza n. 1495/2012 questa Corte è tenuta alla conoscenza dei propri
precedenti (Cass. n. 30780 del 2011; Cass. n. 5360 del 2009).
Nulla per le spese, non avendo svolto attività difensiva, rispetto al ricorso
iscritto al R.G. n. 24265/2008, l’amministrazione intimata.

4.—

Resta da esaminare il ricorso R.G. n. 6980 del 2009 proposto da

Bernardini Ivo, Regina Bruna Basso, Marisa Drigo, e, per il suo carattere
pregiudiziale, occorre delibare il quindicesimo motivo, in quanto tendente a
sostenere il passaggio in giudicato della pronuncia di primo grado.
Con esso si denuncia violazione di norme di diritto, poiché l’avvocatura
distrettuale dello stato avrebbe notificato i ricorsi in appello oltre il termine di
dieci giorni previsto dal secondo comma dell’art. 435 c.p.c., avente natura
perentoria ai sensi dell’art. 326 c.p.c..
Il motivo è infondato. Per la giurisprudenza di questa Corte la violazione del
termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435, co. 2,
c.p.c., deve notificare all’appellato il ricorso, tempestivamente depositato in
cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione unitamente al decreto di
fissazione dell’udienza di discussione, non produce alcuna conseguenza
pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun interesse di ordine
pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato (tra le tante v. Cass. n.
23426 del 2013 e precedenti ivi richiamati).

5.— Gli altri motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente stante le loro
reciproche connessioni, sono fondati nei limiti definiti dalla motivazione che
segue, per le ragioni espresse da questa Corte già da Cass. 12 ottobre 2011, n.
20980 e Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, e reiteratamente ribadite in

R.G. n. 2426512008 e 698012009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente MAcloce Relatore Amendola

cui è stata proposta (10 ottobre 2008) la seconda impugnazione.

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Sezione Lavoro

!

controversie analoghe e che qui si condividono (v. Cass. da n. 25066 a 25101 del
2011; Cass. da n. 12021 a 12051 del 2012; Cass. nn. 15740 e 24581 del 2014;
più di recente, Cass. nn. 336, 6627, 7620 e 10712 del 2015).

6.—In sintesi gli elementi rilevanti della vicenda storica sono i seguenti.

amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola

trasferito dagli enti locali

al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8, a far tempo dal 10
gennaio 2000.
Sulla base di detto art. 8 i dipendenti transitati hanno sostenuto la tesi che
avrebbe dovuto essere loro riconosciuta, all’atto del trasferimento, l’anzianità già
maturata presso gli enti locali e, per l’effetto, una retribuzione corrispondente a
quella di un lavoratore che avesse maturato detta anzianità interamente alle
dipendenze del Ministero.
Il MIUR, invece, sulla base del decreto ministeriale e dell’accordo sindacale
innanzi richiamati, ha calcolato la retribuzione in godimento per il predetto
personale al momento del trasferimento e, in base ad essa, ha individuato una
anzianità convenzionale attribuendo un inquadramento corrispondente ad essa.
In altre parole ha attribuito una anzianità non corrispondente a quella
effettiva, ma che fosse tale da consentire la percezione di un trattamento
economico equivalente a quello goduto dal dipendente al momento del
trasferimento (il cd. “maturato economico”).
Il legislatore, dettando la I. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (finanziaria
del 2006), ha recepito a sua volta i contenuti dell’accordo sindacale e del decreto
ministeriale, elevando a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva.
L’efficacia retroattiva della disposizione è stata affermata da questa Corte (per
tutte, Cass. SS.UU., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale
(sentenza n. 234 del 2007).
L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi
(Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009).
Sulla base della I. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218, ricorsi di contenuto
analogo a quelli in esame, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre
2010, n. 22751).
In ragione della medesima disposizione di legge la sentenza qui impugnata ha
rigettato le domande dei lavoratori.

R.G. n. 24265/2008 e 6980/2009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente MAdoee Relatore Amendola

Si controverte del trattamento giuridico ed economico del personale

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Sezione Lavoro

In tale contesto determinato dalla sopravvenienza dell’art. 1, co. 218, 1. n.
266/2005 perde di attualità il riferimento alla giurisprudenza precedente di
questa Corte maturata in una diversa cornice normativa (come Cass., 17 febbraio
2005, n. 3224; Cass. 4 marzo 2005, n. 4722, Cass. 27 settembre 2005, n.
18829).

dai molteplici motivi di impugnazione, non è tanto, dunque, l’interpretazione del
comma 218 dell’art. 1 della I. n. 266 del 2005, quanto piuttosto, più a monte, la
stessa possibilità di applicarlo alla fattispecie concreta.
Non a caso i ricorrenti, in varie forme e per diverse strade, invocano
l’espunzione della norma citata dalla premessa maggiore del sillogismo idoneo a
decidere la loro domanda.

7.—

Successivamente alla sentenza qui impugnata è intervenuta nella

vicenda la Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) con la
sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10, Scattolon), emessa su
domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del
Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE.
La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal giudice a quo.
La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato
dalla L. n. 124 del 1999, art. 8, costituisca un trasferimento d’impresa ai sensi
della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori.
La soluzione è stata affermativa: “La riassunzione, da parte di una pubblica
autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica
autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti,
in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un
trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977,
77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di
imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è
costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori
in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro”.
Con la seconda e con la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: – se
la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n.

1 della 77/187 deve essere

interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati

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Presidente MAcloce Relatore Amendola

Aspetto nodale della controversia sottoposta all’esame del Collegio, sollecitato

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Sezione Lavoro

presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni
effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del
cedente; – se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al cessionario
rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente
quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di
trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al
trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma
anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui
l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a
favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il
cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di
lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle
concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza).
Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine
di elasticità, devono attenersi allo scopo della direttiva, consistente “nell’impedire
che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno
favorevole per il solo fatto del trasferimento” (punto n. 75).
“Viceversa – precisa la Corte – la direttiva 77/187 non può essere validamente
invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre
condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa. Peraltro, …,
questa direttiva non osta a che sussistano talune disparità di trattamento
retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del trasferimento, erano
già al servizio del cessionario” (punto 77).
Il dispositivo della decisione è: “quando un trasferimento ai sensi della
direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del
contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive
previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa,
l’art. 3 di detta direttiva oste a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla
loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento
retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro
maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle
dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione
retribuiva di partenza presso quest’ultimo. è compito del giudice del rinvio

R.G. n. 24265/2008 e 6980/2009

Udienza 21 aprile 2015
Presidente MAcioce Relatore Arnendora

collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia
verificato un siffatto peggioramento retributivo”.

8.— Come più volte affermato da questa Corte la sentenza della CGUE ora
ricordata incide sui giudizi in corso, anche se pendenti innanzi ai giudici di

In base all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e,
prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata
applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i
soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato
ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel

cui ambito resta ferma la

possibilità del controllo di costituzionalità (cfr., per tutte, Corte cost. sentenze n.
183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonché, da ultimo,
sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011).
L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze
interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di
procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili
(cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991,
nonché, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n.
28 del 2010 e n. 190 del 2000).
Invero la sentenza della Corte di Giustizia, affermata l’applicabilità della
direttiva 77/187/CEE ad una vicenda successoria quale quella regolata dall’art. 8
della I. n. 124 del 1999, ha indicato che essa direttiva asta ad una normativa
interna che faccia subire ai lavoratori trasferiti “un peggioramento retributivo
sostanziale” per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso
il cedente, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al
trasferimento.
Ne consegue,

a contrario,

che ove per la normativa interna tale

peggioramento non si verifichi la stessa deve considerarsi conforme alla
direttiva, perché non è il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata presso
il cedente che, di per sé, costituisca la lesione di un diritto che i lavoratori
trasferiti possano far valere nei confronti del cessionario (punto 69).
Dalla motivazione della sentenza in esame si evince altresì che la direttiva
77/187 non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle
condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un

R.G. n. 24265/2008 e 6980/2009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente MAciace Relatore Arnendola

legittimità.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

trasferimento d’impresa e che essa non osta a che sussistano talune disparità di
trattamento retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del
trasferimento, erano già al servizio del cessionario (punto 77).
La Corte di Giustizia demanda al giudice del rinvio il compito di esaminare se,
all’atto del trasferimento in questione, si sia verificato un peggioramento

Tale compito deve considerarsi esteso a tutti i giudici nazionali che si trovino
ad applicare il complesso normativo in questione, perché la decisione della
controversia loro sottoposta deve avvenire sulla base della interpretazione della
normativa nazionale orientata dal diritto europeo, come si è già messo in
evidenza nelle sentenze di questa Corte nn. 20980 e 21282 del 2011, nonché n.
12051 del 2012, e ribadito, da ultimo, da Cass. n. 15740 e n. 24581 del 2014.
Poiché la sentenza qui impugnata non ha effettuato tale verifica, anche
perché pronunciata prima della decisione della Corte di Giustizia, la stessa deve
essere cassata.
Essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sottratti alla disponibilità di
questa Corte, consegue il rinvio ad altro giudice il quale dovrà uniformarsi a
quanto di seguito indicato.

9.— Già in controversie analoghe si è statuito che, al fine di stabilire se, a
causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso
l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un “peggioramento
retributivo”, il giudice investito del rinvio dovrà osservare i seguenti criteri.
a. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le
condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore
trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa “posizione sfavorevole rispetto a
quella di cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e 83). Al contrario,
non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano
già in servizio presso il cessionario (n. 77).
b.

Quanto alle modalità, si deve trattare di “peggioramento retributivo

sostanziale” (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere
globale (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione
globalmente sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto.

k.G. n. 24265/2008 e 6980/2009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente MAdoee Relatore Amendola

retributivo sostanziale per i lavoratori.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Lavoro

c. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere
fatto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto
della determinazione della loro posizione retribuiva di partenza”).

10.— Il Tribunale di Venezia sottopose da ultimo alla Corte di Giustizia la

[dell’Unione] della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della
uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, ad un
tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall’art.
6, n. 2, [TUE] in combinato disposto con l’art. 6 della [CEDUI e con gli artt. 46,
47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata
a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona, debbano essere
interpretati nei senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo
un arco temporale apprezzabile (5 anni), di una norma di interpretazione
autentica difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con
l’interpretazione costante e consolidata dell’organo titolare della funzione
nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo
stesso Stato italiano è coinvolto come parte”.
La Corte di giustizia, con la sentenza Scattolon, ha preliminarmente dato atto
(punto n. 27) che “durante il 2008 e il 2009, dinanzi alla Corte europea dei diritti
dell’uomo sono stati proposti tre ricorsi da membri del personale ATA degli enti
locali sottoposti al trasferimento nei ruoli del Ministero, nei quali si accusava la
Repubblica italiana di aver violato, adottando l’art. 1, comma 218, della legge
n. 266/2005, l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo addizionale della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali. Con sentenza 7 giugno 2011, detta Corte ha accolto questi ricorsi
(Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Agrati e a. c. Italia)”.
Quindi, avuto riguardo alla quarta questione pregiudiziale sollevata dal
Tribunale di Venezia come innanzi riportata, la CGUE ha testualmente statuito
(punto 84) che “vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non
c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata
alla ricorrente nella causa principale, violi i principi menzionati dal giudice del
rinvio nella sua quarta questione. Di conseguenza, non occorre risolvere
quest’ultima questione”.

R.G. lì. 24265/2008 e 6980/2009
Udienza 21 aprile 2015
Presidente Macioce Relatore Amendala

seguente questione pregiudiziale: “Se i principi generali del vigente diritto

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Sezione Lavoro

In sintesi, pertanto, la Corte ha ritenuto che: si vede nell’ambito del diritto
dell’Unione europea; di conseguenza, la normativa nazionale in esame deve
essere interpretata alla luce del diritto dell’Unione europea; l’interpretazione
orientata alla luce del diritto europeo comporta che il passaggio alle dipendenze
dello Stato non Può determinare per il lavoratore condizioni meno favorevoli; la

Ulteriore conseguenza di questa impostazione è l’assorbimento del problema
della conformità della norma in questione all’art. 6 del TUE in combinato disposto
con le norme della CEDU e della Carta di Nizza, come recepite nel Trattato di
Lisbona, problema esaminato dalla sentenza Agrati della CEDU, precedente alla
sentenza della Corte di giustizia e da quest’ultima considerata.
L’interpretazione della norma che regola la materia in senso conforme al
diritto europeo, esclude la possibilità di disapplicarla e, secondo il Collegio, non
impone una nuova rinnessione al giudizio della Corte di giustizia dell’Unione
europea, come richiesto dalle parti ricorrenti.
Infatti detta Corte si è già espressa sui vari profili di compatibilità con il diritto
europeo, compreso quello, posto con il quarto quesito dal Tribunale di Venezia,
del ‘diritto ad un equo processo, garantit(o) dall’art. 6, n. 2, [TUE] in combinato
disposto con l’art. 6 della [CEDU] e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000”;
quindi, pur dando atto che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza
Agrati del 7 giugno 2001, aveva accolto tre ricorsi da membri del personale ATA
degli enti locali sottoposti al trasferimento nei ruoli del Ministero, nei quali si
accusava la Repubblica italiana di aver violato, adottando l’art. 1, comma 218,
della legge n. 266/2005, l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo addizionale
della Convenzione, la CGUE, stante la risposta data alla seconda ed alla terza
questione sollevata dal Tribunale di Venezia, ha statuito non ci fosse più bisogno
di esaminare se la normativa nazionale in oggetto violasse i principi del giusto
processo menzionati dal giudice del rinvio nella sua quarta questione.
Trattasi di tecnica di assorbimento altre volte utilizzata dalla Corte di giustizia
in materia di diritti sociali, allorquando si è trattato di affrontare il tema della
irretroattività della legge civile (cfr. sent. Carratù – C-361/2012 del 2 dicembre
2012), evidentemente sul presupposto che la riconduzione della fattispecie
nell’alveo delle direttive sul trasferimento di azienda, valorizzando le garanzie del
diritto dell’Unione, fosse di per sé sufficiente ad apprestare adeguata tutela

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relativa verifica spetta al giudice nazionale.

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“comunitaria”, senza necessità di attingere al livello dei diritti fondamentali
protetti dalla Carta di Nizza.
Inoltre la pronuncia della CGUE si colloca in ambiente normativo già
caratterizzato dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ed è stata seguita dalla
sentenza 24 aprile 2012, nella causa C-571.10, Servet Kamberaj c. Istituto per

rapporto tra norme nazionali e convenzione europea affermando: “il rinvio
operato dall’art. 6, par. 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale, in
caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta convenzione, di
applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di
diritto nazionale in contrasto con essa” (punto 63).
Analogamente, la Corte costituzionale italiana ha escluso che l’entrata in
vigore del Trattato di Lisbona abbia comportato un mutamento della collocazione
delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti (Corte Cost. n. 80 del 2011,
Cass. sez. un., n. 9595 del 2012), sicché il giudice comune non ha il potere di
disapplicare direttamente norme interne ritenendole contrastanti con la
convenzione.
Il rimedio in questi casi è costituito dal giudizio di legittimità costituzionale.
In fattispecie del tutto analoghe, però, questa Corte ha più volte ritenuto non
ammissibile una reiterazione della questione di legittimità costituzionale per
violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione ai vincoli derivanti dalla
CEDU. Infatti la Corte costituzionale italiana, su sollecitazione di questa Corte di
cassazione, si è già espressa sulla specifica questione con la decisione n. 311 del
2009, che, sebbene antecedente alla sentenza Agrati, considera i medesimi
problemi, prendendo posizione non solo sulla sussistenza nel caso in esame dei
“motivi imperativi di interesse generale”, ma anche, più in generale, sulla
competenza a valutarli.
In ogni caso la questione del contrasto con l’art. 117 Cost. su cui insistono le
parti ricorrenti, sia avuto riguardo all’art. 6 CEDU che all’art. 1 Protocollo n. 1
allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, non appare sorretta dalla
necessaria rilevanza, in quanto occorre prima che il giudice di rinvio verifichi in
concreto se si sia verificato un peggioramento retributivo sostanziale per i
lavoratori, stante l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea fornita
dalla Corte di giustizia. Ovviamente il carattere necessariamente attuale della
rilevanza della questione di legittimità costituzionale impedisce che possa trovare

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l’edilizia sociale della provincia autonoma di Bolzano e altri, che si è espressa sul

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ingresso in questa fase la prognosi infausta sull’esito del giudizio di rinvio, così
come prospettata dai ricorrenti sulla scorta di altre controversie.
Su questi aspetti relativi alla questione di legittimità costituzionale della I. n.
266 del 2005, art. 1, co. 218, ed alle reiterate richieste di remissione alla Corte di
giustizia la giurisprudenza di questa Corte, nei termini innanzi esposti, si è

paragrafo 5, ordinanze pronunciate dalla VI Sezione (Cass. da n. 71 ad 80 del
2015; n. 2811/2015; n. 3084/2015; n. 3343/2015).

11.—. In conclusione, in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con
rinvio alla Corte di Appello indicata in dispositivo.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 384 c.p.c. la stessa dovrà uniformarsi a
quanto statuito da questa Corte compiendo ogni accertamento necessario per
verificare la sussistenza, o meno, di un peggioramento retribuivo sostanziale
all’atto del trasferimento, secondo i criteri di comparazione precisati al par. 9,
punti a), b) e c) (cfr. Cass. n. 6627 e 7620 del 2015).
In particolare il giudice del merito designato dovrà tenere in debito conto che
gli originari ricorsi degli istanti sono antecedenti alla I. n. 266 del 2005 ed alla
sentenza della Corte di Giustizia che ne ha sostanzialmente orientato
l’interpretazione nell’ordinamento interno sulla base della verifica di taluni
elementi fattuali.
Detti elementi, dunque, dovranno essere necessariamente valutati in sede di
rinvio onde consentire la decisione della causa alla stregua del diritto
sopravvenuto, attenendo dette indagini di merito alla stessa possibilità di
applicare alla fattispecie concreta la normativa sopraggiunta.
Ancora di recente questa Corte ha ribadito (Cass. n. 26730 del 2014) che, pur
essendo quello di rinvio un giudizio a carattere “chiuso”, tendente a una nuova
decisione (nell’ambito fissato dalla sentenza di legittimità) in sostituzione di
quella cassata, nel quale le parti sono obbligate a riproporre la controversia nei
medesimi termini e nel medesimo stato di istruzione, senza possibilità di svolgere
nuove attività probatorie od assertive, tuttavia possono esservi deroghe a tale
principio.
Esse possono essere rappresentate dal caso in cui fatti sopravvenuti o la
sentenza di cassazione, che abbia prodotto una modificazione della materia del

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consolidata, giungendo ad emettere, oltre alle numerose sentenze di cui al

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..
contendere, rendano necessaria un’ulteriore attività probatoria od assertiva,
strettamente dipendente dalle statuizioni di questa Suprema Corte (cfr., ex aliis,
Cass. n. 9859 del 2006). Ciò avviene, ad esempio, in ipotesi di avvenuta
applicazione di ius superveniens, o quando si debbano accertare fatti non ancora
conosciuti la cui giuridica rilevanza derivi, appunto, dalla sentenza di cassazione
(cfr., ad esempio, Cass. n. 21587 del 2009) o, ancora, quando in sede di rinvio

quando la pronuncia rescindente abbia diversamente definito il rapporto dedotto
in giudizio. Il carattere cd, chiuso del giudizio di rinvio concerne poi l’attività delle
parti e non i poteri officiosi del giudice, sicché egli può — se del caso — anche
disporre una consulenza tecnica o rinnovare quella già espletata nei precedenti
gradi del giudizio di merito (cfr., ex aliis, Cass. n. 341 del 2009), nonché
esercitare i poteri istruttori ex art. 437 c.p.c. limitatamente ai fatti già allegati
dalle parti, o comunque acquisiti al processo ritualmente nella fase processuale
antecedente al giudizio di cassazione (cfr. Cass.

n. 3047 del 2006 e n. 900 del

2014).
All’esito del giudizio di rinvio la Corte di Appello provvederà anche sulle spese
del processo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso recante il R.G. n. 24265/2008; nulla
per le spese di detto giudizio; accoglie il ricorso R.G. n. 6980 del 2009 e, rispetto
ad esso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Trieste,
anche per le spese.

Roma, così deciso nella carriera di consiglio del 21 aprile 2015.

siano da delibarsi questioni ritenute assorbite dalla sentenza cassata oppure

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