Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14143 del 11/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 11/07/2016), n.14143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25140/2014 proposto da:

I.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PRINCIPE AMEDEO 221, presso Confsal-Comunicazioni, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNA COGO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), società con socio unico – in

persona dell’Amministratore delegato e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1657/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

24/09/2013, depositata il 30/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 12 maggio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 30 settembre 2013 la Corte di Appello di Messina confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da I.N. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. ed intesa alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra la ricorrente e la convenuta società per il periodo dal 6 giugno al 30 settembre 2001 con conseguente accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condanna della società alla reintegra della lavoratrice nonchè al pagamento delle retribuzioni maturate dalla scadenza del termine alla riammissione in servizio.

Il termine al contratto era stato apposto ai sensi dell’art. 25 CCNL 2001 “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più favorevole riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.

La Corte territoriale – esclusa la ricorrenza di una ipotesi di scioglimento del rapporto per mutuo tacito consenso, questione oggetto dell’appello incidentale di Poste Italiane – riteneva legittima la clausola appositiva del termine alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui: l’accertamento da parte dei contratti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione di esse come idonea causale del contratto a termine escludono la necessità di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse situazioni; l’indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non era necessaria.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la I. affidato ad un unico motivo.

Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso.

Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta omessa pronuncia su un motivo di gravame della sentenza di primo grado, violazione degli artt. 112, 116, 132 e 414 c.p.c., in relazione alla disposizione di cui al comma 3 dell’art. 25 del CCNL Poste del 2001 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) per avere omesso di pronunciarsi sulla questione relativa alla nullità del termine per violazione del limite percentuale del 5% – fissato dall’art. 25, comma 3 cit. – tra le assunzioni a termine ed i lavoratori a tempo indeterminato in servizio al 31 dicembre dell’anno precedente. Si evidenzia: che il Tribunale, con riferimento alla questione del rispetto della cd.

“clausola di contingentamento”, aveva osservato che “…parte ricorrente ha sollevato tale eccezione per la prima volta nella memoria depositata in data 4 maggio 2009, donde deve rilevarsene la tardività; che tale statuizione era stata censurata nell’atto di appello (nei seguenti passaggi: “Invero, non era stata specificata dal Poste, l’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato sì da poter verificare il rapporto percentuale tra i lavoratori stabili ed a termine, come disposto dall’art. 25 CCNL al punto 3^..”; “il giudice….non ha valutato in modo adeguato….la mancata indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, sì da potere verificare il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine. Infatti nessuna prova documentale è stata fornita da parte resistente, che a mezzo del proprio responsabile RUR per la Sicilia, in proposito ha solo confermato il rispetto della percentuale in linea generale….”) che nelle note autorizzate del 27 maggio 2013 la difesa della I. aveva espressamente dedotto che la Corte avrebbe dovuto accertare la illegittimità del contratto a termine per violazione del limite fissato dall’art. 25, comma 3, CCNL 11.1.2001 che il giudice di primo grado, errando, non aveva preso in considerazione; che nella memoria di costituzione di nuovo difensore era stata ribadita la nullità del termine per violazione della clausola di contingentamento.

Il motivo è infondato.

Vale ricordare che il requisito della specificità dei motivi dell’appello postula che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante finalizzate ad inficiare il fondamento logico – giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono. E’ quindi indispensabile che l’atto di appello contenga sempre tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione senza la possibilità di rinviare l’esposizione delle argomentazioni ad un momento successivo del giudizio (nel caso in esame alle note o alla memoria di costituzione di nuovo difensore), essendo l’atto di appello quello che fissa i limiti della controversia in sede di gravame ed esaurisce il diritto potestativo di impugnazione. La violazione di tale principio comporta la inammissibilità del gravame rilevabile anche d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte (Cass. n. 12984 del 31/05/2006; Cass. n. 24817 del 24/11/2005; Cass. n. 10401 del 30/07/2001; Cass. n. 2012 del 22/02/1995).

Con riferimento alla parte argomentativa è stato anche precisato che non è sufficiente che l’individuazione delle censure sia consentita, anche indirettamente, dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di appello, dovendosi considerare integrato in sufficiente grado l’onere di specificità dei motivi di impugnazione, pur valutato in correlazione con il tenore della motivazione della sentenza impugnata, solo quando alle argomentazioni in essa esposte siano contrapposte quelle dell’appellante in guisa tale da inficiarne il fondamento logico giuridico, come nel caso in cui lo svolgimento dei motivi sia compiuto in termini incompatibili con la complessiva argomentazione della sentenza, restando in tal caso superfluo l’esame dei singoli passaggi argomentativi (Cass. n. 12984 del 31/05/2006).

Orbene, in applicazione di tali principi va rilevato che i riportati motivi di appello in alcun modo possono essere considerati idonei a confutare l’argomentazione con la quale il primo giudice non aveva valutato nel merito la questione relativa alla eccepita nullità del termine sotto il profilo della violazione della clausola di contingentamento (la ritenuta tardività). Anzi l’appello, laddove lamenta la non adeguata valutazione del materiale probatorio con riferimento alla mancata prova da parte di Poste Italiane del rispetto del predetto limite percentuale, finisce con l’essere del tutto inconferente con la motivazione dell’impugnata sentenza.

In siffatta situazione, il lamentato vizio non appare decisivo in quanto sulla statuizione del Tribunale in ordine alla inammissibilità della questione relativa alla nullità del termine per violazione della clausola di contingentamento perchè tardiva si era formato il giudicato interno – non essendo stata oggetto di specifica censura nel gravame rimanendo così preclusa alla cognizione della Corte di appello la valutazione del merito dell’eccepito profilo di nullità.

Alla luce di quanto esposto si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ex art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Poste Italiane ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., adesiva al contenuto della relazione che viene pienamente condiviso dal Collegio. Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto del D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent.

n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2016

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