Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14143 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso 36369-2018 proposto da:

DOBANK SPA nella qualità di mandataria della FINO 2 SECURITISATION

SRL nonchè nella qualità di mandataria della ROMEO SPV S.r.l., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE AMERICA 93, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCA CRIVELLARI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FAUSTO TASCIOTTI;

– ricorrente –

contro

P.A.P., B.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA LERO 14, presso lo studio dell’avvocato VIRGILIO DI MEO,

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5939/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5939/2018, pubblicata il 25 settembre 2018, ha rigettato l’appello proposto da Unicredit S.p.a. e Unicredit Management Bank S.p.a. avverso la sentenza del 9 marzo 2012 con cui il Tribunale di Roma, Sezione distaccata di Ostia, aveva rigettato le domande – proposte nei confronti di B.F. e della moglie di questi, P.A.P. – di simulazione o, in via subordinata e alternativa, di inefficacia ex art. 2901 cod. cv. dell’atto in data 18 marzo 2004 per notaio F.M. di Roma, con cui il B. – debitore delle parti istanti in virtù di d.i. emessi nei suoi confronti, in solido con altri soggetti, in relazione a posizioni debitorie di alcune società per affidamenti bancari, poi revocati, in relazione ai quali il predetto aveva prestato fideiussione – aveva costituito un fondo patrimoniale con la moglie P.A.P., destinandovi gli stessi beni offerti in garanzia generica all’atto della richiesta dei fidi, al solo scopo di frodare i creditori.

Avverso la sentenza della Corte di merito, doBank S.p.a., quale mandataria di Fino 2 Securitisation S.r.l. (quest’ultima quale titolare, a decorrere dal 14 luglio 2017, di un portafoglio di crediti pecuniari classificati in “sofferenza”, derivanti da contratti di finanziamento di varia tipologia ad essa trasferiti da Unicredit S.p.a. e Arena One S.r.l., di cui alla pubblicazione sulla G.U. dell’8 agosto 2017, parte II, n. 42, tra cui la posizione debitoria di cui si discute), e la medesima doBank S.p.a., quale mandataria di Romeo SPV S.r.l. (già Unicredit Corporate Banking S.p.a.), ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria (nella quale si indica doValue S.p.a. come attuale denominazione di doBank S.p.a., precedentemente denominata UniCredit Credit Management Bank S.p.a. – UCCMB S.p.a., e prima ancora UniCredito Gestione Crediti Banca S.p.a. – UGC Banca S.p.a.).

Hanno resistito con controricorso B.F. e P.A.P..

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva preliminarmente questa Corte che la ricorrente non ha, come invece prescritto dall’art. 369 c.p.c., depositato la copia autentica con la relata di notifica della sentenza impugnata, pubblicata il 25 settembre 2018, che la stessa doBank S.p.a., nelle dedotte qualità, ha indicato in ricorso (v. p. 1) essere stata notificata in data 29 settembre 2018, nè a tanto hanno provveduto i controricorrenti.

Nella specie, in particolare, risulta depositata tempestivamente dalla ricorrente copia della sentenza impugnata, estratta tramite consultazione remota del fascicolo informatico e attestata conforme al corrispondente atto contenuto in detto fascicolo dall’avv. Fausto Tasciotti in data 12 dicembre 2018, priva però della relata di notifica, evidenziandosi che tale relata non è stata tempestivamente depositata neppure in copia non attestata conforme all’originale.

1.1. Peraltro, il mancato deposito, a cura della parte ricorrente, nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., della copia autentica della sentenza impugnata corredata della relata di notifica (rilevante nella specie, atteso che il ricorso risulta essere stato notificato a mezzo pec in data 28 novembre 2018, mercoledì, quindi oltre il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata, con esito negativo della cd. prova di resistenza) non risulta essere stato smentito in sede di memoria dalla ricorrente, la quale ha confermato, in tale atto, l’avvenuto deposito della sentenza impugnata in copia conforme, nonchè la data di notifica della stessa e ha depositato copia della sentenza di secondo grado con la relata di notifica con asseverazione di conformità all’atto notificato in formato telematico via pec solo in allegato alla detta memoria (v. memoria p. 15).

1.2. Osserva il Collegio che il mancato deposito, nei termini stabiliti dall’art. 369 c.p.c., a pena espressa di improcedibilità, della copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione comporta l’improcedibilità del ricorso nè il vizio, rilevabile d’ufficio, è sanabile dalla non contestazione da parte dei controricorrenti, come sembra, invece, sostenere la ricorrente nella memoria.

1.3. In particolare, va evidenziato che, con la sentenza del 2 maggio 2017, n. 10648, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’art. 369 c.p.c. non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione, con la conseguenza che anche la mancanza di uno solo dei due documenti determina l’improcedibilità, che l’improcedibilità può essere evitata se il deposito del documento mancante avviene in un momento successivo, purchè entro il termine di venti giorni dalla notifica del ricorso per cassazione, che l’irnprocedibilità non può, invece, essere evitata qualora il deposito avvenga oltre detto termine e che, al contrario, l’improcedibilità non sussiste quando il ricorso per cassazione risulta notificato prima della scadenza dei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, nel rispetto del termine breve per l’impugnazione, perchè in tal caso perde rilievo la data della notifica del provvedimento impugnato (Cass. 10/07/2013, n. 17066) e, pertanto, non risulta necessario il deposito della relazione di notificazione della sentenza impugnata, dovendo, in ogni caso, essere però depositata la copia autentica della sentenza impugnata.

1.4. Con la già richiamata pronuncia delle SS.UU. del 2 maggio 2017, n. 10648, questa Corte ha pure affermato che, in tema di giudizio di cassazione, deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilità del giudice perchè prodotta dalla parte controricorrente o perchè presente nel fascicolo d’ufficio acquisito su istanza di parte, con la precisazione che tale ultima affermazione deve essere rettamente confinata – come specificato da Cass., ord., 15 settembre 2017, n. 21386 – alle sole limitate ipotesi, diverse da quella all’esame, in cui la decorrenza del termine breve per ricorrere in cassazione sia ricollegata dalla legge alla comunicazione del provvedimento ovvero nelle altre ipotesi in cui la legge preveda che sia la stessa Cancelleria a notificare la sentenza e che tale notificazione sia idonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c., in quanto, al di fuori di tali ipotesi eccezionali, trattasi di attività che non avviene su iniziativa dell’ufficio e che interviene in un momento successivo alla definizione del giudizio.

1.5. Nè nella presente controversia può ritenersi che possa spiegare efficacia, in relazione al rilievo dell’improcedibilità, quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8312/2019.

Tale decisione, riferita alla specifica ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata a mezzo PEC, ha, infatti, avuto modo di precisare alla pag. 42, sub 2) che, ai fini della procedibilità del ricorso, si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, ancorchè prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all’udienza dell’attestazione di conformità dei messaggi cartacei.

Deve, quindi, reputarsi che il ricorso resti improcedibile qualora, come nel caso all’esame, pur essendo stata depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine dell’art. 369 c.p.c., anche i detti messaggi pec con annesse ricevute, ancorchè in difetto di attestazione di conformità degli stessi (Cass., ord., 22/07/209, n. 19695), nè a tale deposito risultino aver provveduto i controricorrenti.

2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile.

3. E’ appena il caso di aggiungere che, ove lo scrutinio dei motivi proposti fosse stato possibile, il suo esito sarebbe stato comunque negativo per la ricorrente in base ai rilievi che seguono.

4. In particolare, con il primo motivo, lamentando “violazione e falsa applicazione dell’art. 1414 c.c.”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma: “Del tutto generica appare la doglianza relativa alla simulazione dell’atto, siccome non supportata da alcuna specifica allegazione volta a fondare la domanda”. La ricorrente sostiene che, nella specie, oltre a sussistere tutti i presupposti per l’accoglimento dell’azione revocatoria, sarebbe “rinvenibile anche l’atteggiamento simulatorio della costituzione del fondo patrimoniale”; evidenzia, inoltre, che “la prova della simulazione può essere fornita dai terzi con ogni mezzo, sia pure tramite il ricorso a presunzioni” e che la relativa prova sarebbe stata fornita mediante il ricorso a presunzioni e a riscontri documentali.

4.1. Il motivo, ove scrutinabile, sarebbe inammissibile per assoluta genericità, alla stregua del consolidato principio di diritto, che va ribadito in questa sede, secondo cui “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo” (Cass. 4/03/2005, n. 4741; Cass. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione).

Nel motivo in parola, non risulta rappresentato in quali esatti termini la doglianza relativa alla simulazione sia stata proposta al giudice del secondo grado; inoltre, non sono specificamente indicati i documenti cui si fa riferimento nè è riportato il loro tenore, per quanto qui rilevante, nè è indicato quando gli stessi siano stati prodotti (non essendo al riguardo sufficiente l’indicazione generica dei due precedenti gradi di giudizio) e dove essi siano ora reperibili. Infine, con il primo mezzo si finisce per sollecitare, in sostanza, una rivalutazione delle risultanze istruttorie, il che non è consentito in questa sede.

5. Parimenti inammissibile sarebbe il secondo motivo di ricorso, con il quale, denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.”, si censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ravvisa in capo ai convenuti un comportamento in frode alla legge”. Ed invero tale mezzo difetta dell’indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 in relazione agli elementi istruttori ai quali fa riferimento (Cass., sez. un., 27/12/2019 n. 34469; Cass., ord., 20/11/2017, n. 27475), non essendo stato precisato quando gli atti cui ci si riferisce siano stati prodotti (non essendo al riguardo sufficiente l’indicazione generica del giudizio di primo grado) e dove essi siano reperibili e neppure essendo stato specificato in quali esatti termini siano stati allegati i fatti che si assume siano idonei a provare, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, l’intento fraudolento del disponente debitore. Inoltre, anche con il motivo in parola, si tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito non consentita in questa sede.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara improced bile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.050,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 8 luglio 2020

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