Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14143 del 05/06/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 14143 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: GRECO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SISTI ANTCNIO, in proprio e quale genitore esercente la potestà

sulla minore Sisti Claudia Maria, e SISTI ILARIO NORIA, quali
eredi di Angelamé Nàdia, rappresentati e difesi dall’avv. Massimo

Camiciola ed elettivamente domiciliato in Roma presso Antonia De
Angelis in via Portuense n. 104;
– ricorrenti. –

2-R5

contro

ANrCtgAbEIENTE gpa,

rappresentata e difesa dall’avv. Pericle

Truja, ed elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv.
Raimondo Becchis in via Piemonte n. 26;

contyaricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
delle Marche n. 22/9/06, depositata il 7 aprile 2006;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24 gennaio 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
uditi l’avv. Massimo Camiciola per i ricorrenti e l’avv.
Pericle Truja per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Federico Sorrentino, che ha concluso per il

Data pubblicazione: 05/06/2013

struttura
e
utilizzazione
esclusivo
esercizio attività
pubblicitaria

rigetto del ricorso.
SVOLGDINTO DEL PROCESSO

Antonio Sisti, in proprio e quale esercente la potestà
sulla minore Claudia Maria Sisti, e Ilario Maria Sisti, nella
qualità di eredi di Nadia Angelome, propongono ricorso per
cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti della
sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche che,
accogliendo parzialmente l’appello della contribuente, ha
dell’imposta sulla pubblicità per l’anno 2001, emesso dalla
Anconambiente spa, concessionaria del Comune di Ancona per
imposta pubblicità ed affissioni, per omessa dichiarazione di
pubblicità in relazione a cinque carrelli pubblicitari di grandi
dimensioni ancorati al suolo nel territorio del Comune e ivi
lasciati per più giorni.
Il giudice d’appello ha infatti ritenuto legittima la
pretesa del concessionario del Comune che aveva ospitato gli
impianti al pagamento dell’imposta accertata, alla stregua di un
impianto fisso, da inquadrare nella categoria residuale dei mezzi
di pubblicità ordinaria disciplinata dall’art. 12 del d.lgs. 15
novembre 1993, n. 507, atteso che i mezzi pubblicitari in
questione, per le peculiari caratteristiche e modalità di
utilizzo, non potevano “essere considerati per la loro
“locomovibilità” “veicoli” intesi come mezzi di trasporto idonei
alla circolazione, in quanto assumevano di fatto la natura di
impianto fisso”, evincendosi dalla documentazione essere i detti
carrelli di dimensioni notevoli, tali da non poter essere
trasportati come comuni rimorchi; essi inoltre erano stati
ancorati al suolo mediante paletti.
Ha poi ritenuto, alla luce del disposto dell’art. 6, comma
2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che l’autore della
violazione non fosse punibile ravvisando, in considerazione
dell’obiettiva incertezza in ordine alla materia dei carrelli
pubblicitari la buona fede della contribuente proprietaria dei
mezzi, aveva versato l’imposta al Comune di Porto Recanati, dove
aveva sede, ritenendo così di aver assolto ogni onere tributario,
sicché “nessuna contestazione amministrativa poteva essere mossa
alla medesima.

2

confermato la legittimità dell’avviso di accertamento

Infine, preso atto del decesso della contribuente, ha
affermato, a norma dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 472 del
1997, l’intrasmissibilità agli eredi delle sanzioni applicate.
La spa Anconambiente resiste con controricorso.

wenn

DEILA, DECISIaNE

Con il primo motivo del ricorso gli eredi della
contribuente denunciano, in relazione all’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del

riferimento al principio tributario di divieto di doppia
imposizione di cui all’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, e nullità della sentenza e carenza e contraddittorietà della
motivazione, per non avere il giudice d’appello considerato che,
riconoscendo l’esimente della buona fede e statuendo che alla
contribuente, la quale aveva già una volta corrisposto il
tributo, non poteva essere mossa alcuna contestazione, la stessa
non avrebbe potuto essere comunque condannata a pagare il
tributo, realizzandosi in tal modo una illegittima doppia
imposizione per il medesimo presupposto ed annullando gli effetti
della statuizione contenuta nella parte motiva.
Il motivo è infondato, in quanto la norma del comma 2
dell’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 concerne le violazioni di
norme tributarie e stabilisce una ipotesi di non punibilità, vale
a dire l’esclusione dell’applicazione di sanzioni amministrative,
nell’ipotesi, di cui il giudice d’appello ha ravvisato la
ricorrenza, di obiettiva incertezza “sulla portata e sull’ambito
di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono”. La
previsione, concernente le sanzioni, non tocca quindi
l’obbligazione concernente il tributo.
Né può nella specie farsi discorso di violazione del
principio di divieto della doppia imposizione, sol che si
consideri che la norma dell’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973
non consente di applicare più volte la medesima imposta “in
dipendenza dello stesso presupposto”. Nella specie, la pretesa
impositiva che si contesta è riferita ad un presupposto, la
pubblicità, ritenuta riconducibile a quella “ordinaria”,
effettuata nel Comune di Ancona, diverso da quello che la
contribuente considera ricorrente, vale a dire pubblicità

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d.lgs. n. 472 del 1997 e 10 della legge n. 212 del 2000, in

effettuata con veicoli, per la quale l’imposta è dovuta nel
comune ove ha sede l’impresa proprietaria dei veicoli stessi,
vale a dire Porto Recanati.
Con il secondo motivo si dolgono, denunciando violazione di
legge, che i mezzi utilizzati non siano stati assoggettati ad
imposizione alla stregua di veicoli, ai sensi dell’art. 13 del
d.lgs. n. 507 del 1993, ma come impianti fissi, in applicazione
del precedente art. 12, per il solo fatto che essi perderebbero
integrerebbe anche vizio di motivazione, stante l’erronea
qualificazione di impianti fissi attribuita ai mezzi utilizzati
dalla ricorrente per il solo fatto di essere stati rinvenuti in
sosta.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha infatti Chiarito come “ai veicoli costruiti
o strutturalmente trasformati per l’esclusivo o prevalente
esercizio dell’attività pubblicitaria, e concretamente utilizzati
a tal fine, è applicabile la disciplina di cui all’art. 12 del
d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, relativa alla pubblicità
ordinaria, e non quella di cui all’art. 13 del medesimo decreto
legislativo, riguardante la pubblicità effettuata con veicoli,
poiché questa, a differenza dell’altra, costituisce una modalità
eccezionale, insuscettibile di interpretazione estensiva, e che,
per il suo tenore letterale, si riferisce ad attività svolta
mediante veicoli che mantengano le caratteristiche strutturali e
la destinazione d’uso loro propria: nella specie, la S.C. ha
confermato la decisione impugnata che aveva affermato
l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 12 d.lgs. n. 507
del 1993 in relazione a camion-vela, espressamente adibiti ed
immatricolati per l’espletamento di attività pubblicitaria”
(Cass. n. 5858 del 2012).
Nella specie il giudice d’appello ha accertato che i
rimorchi – che i ricorrenti affermano essere immatricolati come
“veicolo uso speciale auto pubblicitario” -, sono di notevoli
dimensioni, tali da non poter essere trasportati come comuni
rimorchi, che erano stati rinvenuti in Ancona privi di
autoveicolo di traino, ancorati al suolo mediante paletti, e che
non possono “essere considerati per la loro locomotilità veicoli

4

la qualifica di veicoli solo perché rinvenuti in sosta. Ciò

MENTE DA liEGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 26/4119.6
N, 131 TA. ALL.
N. 5
MAFERIATIMITAXIA
intesi come mezzo di trasporto idonei alla circolazione”; ed ha

correttamente ritenuto che per le loro caratteristiche
strutturali essi erano destinati – e così venivano in concreto
impiegati – all’esclusivo esercizio dell’attività pubblicitaria,
assumendo, ai fini dell’applicazione dell’imposta, “di fatto la
natura di impianto fisso”.
A

conclusione dell’esposizione del terzo motivo viene

formulato il seguente quesito di diritto: sussiste violazione e

in riferimento agli artt. 16 d.lgs. n. 472/97 – 7 1. n. 212/00 ed
ai principi della 1. n. 241/90 sull’obbligo di motivazione degli
avvisi di accertamento, tale da inficiare radicalmente per
nullità insanabile l’atto impugnato.
Il motivo è inammissibile in quanto corredato da un quesito
di diritto non idoneo. Esso, infatti, senza alcun riferimento
alla fattispecie, si risolve nella mera asserzione della
violazione della normativa sull’obbligo di motivazione, tale da
far ritenere nullo l’atto impugnato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
P . Q .M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio, liquidate in euro 4.500 oltre ad euro 200 per esborsi.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2013
Il consigliere estensore

falsa applicazione di norme ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,

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