Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14141 del 05/06/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 14141 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: GRECO ANTONIO

processo
tributario

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VITOID BRUNO, rappresentato e difeso dall’avv. Franco Picciaredda
presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma in via Panama
n. 95;

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore generale pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello
Stato, presso la quale è domiciliata in Roma in via dei
Portoghesi n. 12;
– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale,
sezione 26, n. 8691, depositata il 3 novembre 2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24 gennaio 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
uditi l’avv. Franco Picciaredda per il ricorrente e
l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Federico Sorrentino, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Data pubblicazione: 05/06/2013

SVOLGMMENTO DEL PROCESSO

Bruno Vitolo propone ricorso per cassazione, affidato a due
motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria
centrale che, accogliendo il ricorso dell’Ufficio delle imposte
dirette di Roma, nel giudizio introdotto con l’impugnazione
dell’iscrizione a ruolo dell’IRPEF per il 1980 ed il 1981, della
quale il contribuente asseriva essere venuto a conoscenza solo
con l’avviso di mora notificatagli il 22 febbraio 1989, non
accertamento, ha ritenuto che questi ultimi, diversamente da
quanto affermato dal giudice di secondo grado, erano stati
regolarmente notificati, ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ.,
ed ha perciò escluso la possibilità di contestare, con
l’impugnazione dell’avviso di mora e dell’iscrizione a ruolo,
anche la pretesa impositiva, e quindi di impugnare i detti avvisi
di accertamento.
La Commissione tributaria centrale ha quindi ritenuto
irrilevante ogni questione concernente l’applicabilità nel
presente giudizio, ai sensi dell’art. 12 del d.l. 10 luglio 1982,
n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516, del
giudicato penale costituito dalla “sentenza del Tribunale di Roma
del 21 marzo 1990 che aveva assolto il Vitolo dalla imputazione
di infedele dichiarazione dei redditi per gli anni 1980 e 1981
perché il fatto non sussiste”.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
MOTIVI DMA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, denunciando violazione e
falsa applicazione dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.
600, in relazione all’art. 140 cod. proc. civ. e con riferimento
all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente assume che
la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto rispettata la
procedura notificatoria, ai sensi dell’art. 140 cod. proc., degli
avvisi di accertamento relativi alle due annualità d’imposta 1980
e 1981, che non risulterebbero essergli stati mai notificati,
sicché non si sarebbe mai verificata la presunta definitività
che starebbe alla base dell’iscrizione a ruolo. La omessa o
irregolare notificazione degli avvisi ne comporterebbe, pertanto,

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preceduta dalla notifica né del ruolo né degli avvisi di

la nullità, con la conseguente nullità di tutti gli atti
successivi.
Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 12
del d.l. n. 429 del 1982, nonché dell’art. 19, coma 3, del
d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e con riferimento all’art. 360,
n. 3, cod. proc. civ., censura la sentenza per non aver
dichiarato la nullità degli avvisi di accertamento il cui
contenuto sarebbe stato caducato per effetto della sentenza
del 28 marzo 1990 di assoluzione perché il fatto non sussiste, la
quale avrebbe travolto sia gli eventuali giudicati tributari che
gli accertamenti divenuti definitivi, in base al detto art. 12
della legge n. 429 del 1982, ancora applicabile ratione terporis
al caso in esame, e per non aver ritenuto la correttezza e la
validità dell’impugnazione congiunta degli avvisi di accertamento
e degli atti consequenziali in base al disposto dell’art. 19,
comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Il primo motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha infatti ritenuto regolarmente
notificati, nel rispetto dell’art. 140 cod. proc. civ., sulla
base degli atti del relativo procedimento, “in assenza
dell’interessato presso la sua casa di abitazione ed in assenza,
comunque, di persona legittimata a riceverli”, gli avvisi di
accertamento prodromici all’iscrizione a ruolo di cui all’avviso
di mora impugnato dal contribuente. Da ciò consegue la
preclusione per il contraente della possibilità di contestare,
con l’impugnazione di un atto successivo, come la cartella o
l’avviso di mora, anche gli accertamenti, “giacché questi ultimi
– come correttamente rilevato nella sentenza impugnata – erano da
considerarsi ormai definitivi ed inoppugnabili”. E consegue
inoltre che l’oggetto del giudizio introdotto dal contribuente
rimane circoscritto alla contestazione dell’atto impugnato
esclusivamente per vizi propri di questo.
E’ del pari infondato, ai limiti dell’inammissibilità, il
secondo motivo.
Va anzitutto rilevato che per la fattispecie dedotta dal
contribuente, concernente una sentenza penale del Tribunale di
Roma del 21 (o 28) marzo 1990, trova applicazione, in tema di

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riguardante la medesima fattispecie, del Tribunale penale di Roma

rapporti fra giudicato penale e processo tributario, non la
normativa contenuta nell’art. 12 del d.1 n. 429 del 1982, ma
quanto disposto dall’art. 654 del nuovo codice di procedura
penale, entrato in vigore il 24 ottobre 1989, atteso che, a norma
dell’art. 260 disp. att. cod. proc. pen., “nelle materie regolate
dal libro X del codice – nel quale è appunto compreso l’art. 654
cod. proc. pen. – si osservano le disposizioni ivi previste anche
per i provvedimenti emessi anteriormente alla data di entrata in

data..”.
Questa Corte ha da tempo (Cass. n. 10411 del 1998) chiarito
come l’art. 12, primo coma, del d.l. 10 luglio 1982, n. 429,
convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516 – secondo il quale “…
la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento
pronunciata in seguito a giudizio relativa a reati previsti in
materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto
ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto
concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio
penale” – sia stato abrogato per effetto della entrata in vigore
dell’art. 654 del nuovo codice di procedura penale e dell’art.
207 disp. att. cod. proc. pen.: la nuova disciplina, “mentre ha
confermato i limiti oggettivi dell’efficacia vincolante del
giudicato penale ex art. 28 del codice di procedura penale del
1930, ne ha ridefinito i limiti soggettivi, ponendo come
condizione per l’estensione del giudicato penale nel giudizio
civile o amministrativo il fatto che l’imputato, la parte civile
o il responsabile civile abbiano partecipato al processo penale
(Cass. n. 19481 del 2004).
Poiché a norma dell’art. 654 cod. proc. pan. la sentenza
penale irrevocabile ha efficacia di giudicato nel giudizio civile
o amministrativo “quando in questo si controverte intorno a un
diritto o interesse legittimo il cui riconoscimento dipende
dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto
del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati
ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la
legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione
soggettiva controversa”, già Cass. n. 10411 del 1998, cit., ha
avuto modo di affermare che “la sentenza di proscioglimento per

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vigore del codice e per i procedimenti già iniziati a tale

un reato tributario, ancorché la amministrazione finanziaria si
sia costituita parte civile nel processo penale, non fa stato nel
processo tributario, poiché in esso vigono limitazioni della
prova”.
L’efficacia vincolante del giudicato penale, si è precisato
ancora, “non opera nel processo tributario, poiché in questo, da
un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della
prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche
condanna. A causa del mutato quadro normativo, quindi, nessuna
automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel
separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile,
di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati
tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli
stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso
l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il
giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di
una sentenza definitiva in materia di reati tributari,
estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione
accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio
dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle
parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116
cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza
nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (Cass.
n. 10945 del 2005).
Nel caso in esame, per un verso il motivo, che pure
presuppone l’applicabilità in astratto dell’art. 12 del d.l. n.
429 del 1982, è formulato in termini generici, perché non vengono
indicati “i fatti materiali che furono oggetto del giudizio
penale”, sì da consentire la verifica della loro identità
rispetto ai fatti materiali dal cui accertamento dipende il
riconoscimento del diritto nel processo tributario, e non viene
specificato se l’amministrazione era costituita parte civile nel
processo penale; per altro verso, la Commissione tributaria
centrale, ha nella sostanza compiuto la valutazione ad essa
commessa dall’art. 654 cod. proc. civ., e “stante la appurata
inoppugnabilità degli accertamenti a suo tempo ritualmente
notificati al contribuente”, una volta escluso che oggetto del

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presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di

eSRNTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 2()/4./19*6
N. 131 TAB. ALL. – N. 5

giudizio potesse essere la pretesa impositiva, per

MATERIA TRIBUTARIA
essere

l’accertamento divenuto definitivo per la mancata impugnazione
degli avvisi, ha ritenuto del tutto irrilevante ogni questione
concernente l’efficacia della sentenza penale opposta dal
contribuente nel giudizio tributario.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il contribuente al pagamento delle spese del
giudizio, liquidate in euro 4.500 oltre alle spese prenotate a
2 4 ) DALi 203
debito. RD ■AAA.
(Antonio Gr

AL4119 \1/4P)

P.Q.M.

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