Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1414 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 22/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 22/01/2020), n.1414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26675-2018 proposto da:

P.F., FRANCUS SRL IN LIQUIDAZIONE SOCIETA’ A SOCIO

UNICO in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato DEL VECCHIO FABIO;

– ricorrenti –

contro

PR.GI., S.M.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato MACCHIAROLA GIACINTO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 266/2018 della COR1E D’APPELO di CAMPOBASSO,

depositata il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 4/7/2018, la Corte d’appello di Campobasso ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da Pr.Gi. e S.M.L., ha dichiarato l’inopponibilità, agli attori, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto con il quale la società Francus s.r.l. (debitrice degli attori), riconoscendosi debitrice nei confronti di P.F., concedeva a quest’ultimo, a garanzia di tale credito, un’ipoteca di primo grado su taluni beni immobili propri;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria proposta;

che, avverso la sentenza d’appello, la Francus s.r.l. in liquidazione e P.F. propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

che Pr.Gi. e S.M.L. resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria;

che, nel corso dell’odierna camera di consiglio, è pervenuta una tardiva istanza di parte vòlta alla concessione di un rinvio della trattazione del ricorso in pendenza di trattative tra le parti.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso che alla concessione di ipoteca non trovi applicazione l’art. 2901 c.c., penultimo comma nella parte in cui dispone che non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto;

che il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1;

che, al riguardo, osserva il Collegio come il giudice a quo, nel negare l’estensibilità, all’atto di costituzione di ipoteca, dell’art. 2901 c.c., penultimo comma, nella parte in cui dispone che non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto, risulta essersi correttamente allineato all’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in forza dei quale la disposizione contenuta nell’art. 2901 c.c., comma 3, in forza della quale non è soggetto a revoca l’adempimento di un debito scaduto, ha la sua ragione d’essere nella natura di atto dovuto della prestazione del debitore, una volta che si siano verificati gli effetti della mora, ex art. 1219 c.c., e non nell’assenza di una diminuzione della sua garanzia patrimoniale generale. Tale norma, pertanto, non è applicabile, nè in via di interpretazione estensiva, nè per analogia, alla concessione di ipoteca per debito già scaduto, che è negozio di disposizione patrimoniale, ed è quindi aggredibile con azione revocatoria ai sensi degli artt. 2901 e 2902 c.c. (Sez. 3, Sentenza n. 6321 del 16/03/2010, Rv. 612245 – 01);

che, in altri termini, deve ritenersi soggetto ad azione revocatoria (art. 2901 c.c.), ove concorrano le altre condizioni previste dalla legge, l’atto di concessione della garanzia ipotecaria a fronte di un debito scaduto, atteso che la costituzione della garanzia non ha il connotato della doverosità proprio dell’adempimento (c.d. atto dovuto o atto giuridico in senso stretto) – che giustifica l’esclusione della revocatoria, ai sensi del cit. art., comma 3 – ma si fonda sulla libera determinazione del debitore, il quale, attraverso la prestazione della garanzia, dà luogo alla modifica dei suo patrimonio, con rischio di compromissione delle pregresse ragioni degli altri creditori (Sez. 3, Sentenza n. 16570 del 25/11/2002, Rv. 558688 – 01);

che, rispetto a tale arresto della giurisprudenza di legittimità, gii odierni ricorrenti hanno sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi ad esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali di merito non adeguatamente argomentati, o di fonti normative da ritenersi non decisive o pertinenti;

che, con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c., nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere la corte territoriale erroneamente affermato che la costituzione di ipoteca avrebbe determinato una diminuzione della garanzia patrimoniale generica della società debitrice, in contrasto con le risultanze di causa (il cui esame doveva ritenersi, pertanto, sostanzialmente omesso) dalle quali era emerso che il bene immobile oggetto di costituzione di ipoteca era di valore di gran lunga superiore al credito delle controparti, con la conseguente insussistenza del presupposto dell’eventus damni ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ex adverso spiegata, in assenza di alcun apprezzabile rischio di mancato soddisfacimento del credito delle controparti a momento del compimento dell’atto revocando;

che il motivo è inammissibile;

che, preliminarmente, osserva il Collegio come l’argomentazione sul punto spesa dai ricorrenti risulta argomentata in palese contraddizione con la motivazione impugnata, nella quale la questione è esaminata: ciò che basta a evidenziarne l’inammissibilità in conformità ai principi di cui a Cass. n. 359 del 205 (confermata da Cass. Sez. Un. 7074 del 2017);

che, in ogni caso, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti si siano sostanzialmente spinti a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;

che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza;

che, nel caso di specie, ai di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, rubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, infatti, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denun-ciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti da testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extra-testuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisivi-tà, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);

che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze dei ricorrenti devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5, cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione, limitatamente alla società ricorrente (in considerazione dell’ammissione del Passarelli al beneficio del patrocinio a spese dello Stato), della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Visto il D.P.R. art. 133 dispone il pagamento sia eseguito in favore dello Stato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della sola società FRANCUS s.r.l., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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